Bene, con il primo post immagino che avremo già fatto fuori una buona parte di aspiranti scrittori. Proseguiamo allora nel nostro piccolo corso su come capire che non c’è trippa per gatti o per dirla in termini più professionali, se faremmo meglio a reindirizzare le nostre energie verso progetti più realizzabili (magari anche un nuovo romanzo, perché no?).
Lo dicevamo l’altra volta, cominciamo dalla fine, non dall’inizio. Avete terminato il romanzo e inizia il calvario: a chi spedirlo, come, quando? Fermi lì. Prima di tutto: sicuri che ne valga davvero la pena? Siamo sinceri con noi stessi. Scriverlo ci ha fatto stare meglio e ci ha aiutato a superare un periodo deprimente. Ma questo non è un buon motivo per cui qualcuno dovrebbe comprarlo, giusto? Voi spendereste 15 euro per incoraggiare chi ha dedicato le sue notti alla scrittura per sentirsi una persona migliore? (Se state per rispondere di sì, fate ancora in tempo a cambiare idea dopo aver saputo quante sono, quelle persone.)
Allora, se state leggendo queste righe immagino che avrete dato una risposta soddisfacente alla domanda del primo post, quindi procediamo. E ci troviamo davanti un’altra domanda. La seconda domanda che consiglio quasi sempre di porsi dopo aver letto e valutato un manoscritto.
Ma esattamente, che cos’è che voglio/volevo/vorrei raccontare?
Ah ah! Sembra facile, eh? Non lo è per niente. Perché nella maggior parte dei casi, confessatelo, non lo sapete bene neanche voi. O meglio, come sono sicura che risponderebbe qualcuno, lo sapete così bene, che non riuscite a spiegarlo. È impossibile riassumerlo in poche parole. Il lettore lo capirà da solo. È soprattutto una questione di suggestioni. Detto così sembra banale ma leggendolo si coglie meglio il senso. Io avevo fatto il compito ma l’ha mangiato il cane.
– Voglio raccontare una storia d’amore: troppo generico
– Voglio raccontare la storia d’amore di mio padre e mia madre nel Veneto del dopoguerra: troppo generico
– Voglio raccontare la storia d’amore di mio padre e mia madre nel Veneto del dopoguerra fra gli stenti e le difficoltà materiali e la paura di ricominciare a vivere: fuochino
– Voglio raccontare di come una donna a cui la guerra ha portato via tutto ritrova la fiducia e la voglia di vivere, mentre il suo paese cerca di fare altrettanto: tombola!
Certo, non è una sinossi esauriente e mancano molti dettagli. Ma che cosa differenzia l’ultima risposta dalle altre? C’è un tema. C’è uno spunto che dà unità alla storia, abbozza i personaggi, lascia immaginare un’atmosfera, introduce un conflitto. Rende quella storia d’amore particolare diversa dalle altre.
Ispiratevi alle quarte di copertina dei libri che vi piacciono o ai riassunti di quarta elementare. Come volete. Ma finché non avrete individuato quel benedetto tema (uno o più d’uno, ma non troppi), farete una gran fatica non solo a sistemare la trama, ma soprattutto a catturare l’interesse di qualche potenziale editor.
Come direbbe Tim Robbins nei Protagonisti di Altman: “Raccontami la tua storia in venticinque parole”. E sì, prima che iniziate a protestare, 25-50 parole possono bastare. (Quasi sempre, ma se fossi in voi, non conterei di rientrare in quel quasi, per sicurezza.)
Cara Mara, sono assolutamente d’accordo su tutto, tranne che su una cosa: il tema lo si dovrebbe conoscere PRIMA di cominciare a scrivere! Al contrario di quello che può sembrare, il tema è la cosa più difficile da definire, come i tuoi esempi dimostrano, ma è essenziale. E’ l’anima della nostra storia e le dà la direzione. Il rischio, se andiamo a cercarlo dopo, è di non trovarlo e dover ricominciare da capo! 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Concordo assolutamente! Grazie Elisabetta!
"Mi piace""Mi piace"
grazie a te! continua così, è ora che qualcuno parli con chiarezza! siamo con te 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona