
Dopo l’errore del Pesce rosso, arriva l’errore del Manichino. Anche questo molto più comune di quanto si creda. Se il pesce rosso vive in una boccia completamente vuota, circondato soltanto dalle sue bollicine d’aria, il manichino è… No, non è nudo. Anche, a volte, ma piuttosto che leggere il catalogo di Zara ogni volta che uno dei personaggi esce di casa, meglio lasciare alla fantasia del lettore il loro abbigliamento. Qualche capo sparso qua e là basterà a rendere l’idea.
Non è nudo. Il manichino che rischiate di trovare nella vostra storia è… immobile. Perfettamente, completamente, assolutamente immobile. Non gesticola, non cammina, non inclina la testa, non compie la benché minima azione, mai. Quando parla (perché parlare parlano sempre, ’sti benedetti manichini, pure troppo, di solito, e sempre con una voce un po’ enfatica, come quella che usano i bambini quando mettono le parole in bocca alle bambole), quando parla, dicevamo, il manichino non muove un muscolo. Non sorride, non si muove sulla sedia, non gli prude mai un piede, figuriamoci compiere una qualsiasi azione come, che so, bere un caffè o fumare una sigaretta. Niente, rigido come una statua di cera.
Eppure io sono convinta che nella testa dell’autore quel manichino fosse vivo, in carne e ossa. E che avrebbe potuto e voluto fare un sacco di cose, se solo l’autore si fosse ricordato di osservarlo un po’ più spesso, mentre scriveva, e gliel’avesse permesso. E invece l’autore era troppo preso dalla trama, dal dialogo, da quello che voleva dire, per ricordarsi del suo personaggio, mollato lì su una sedia e destinato a non fare più assolutamente – e intendo proprio assolutamente – niente fino alla fine del dialogo o della scena. Con un po’ di fortuna, prima della scena successiva l’autore si sarà ricordato di metterlo in una posa diversa, perfetta per la nuova vetrina, ma poi ancora una volta il dialogo ha il sopravvento e il manichino resta lì, dimenticato, senza potersi grattare quel piede che gli prude terribilmente, senza poter fare l’occhiolino a una ragazza di passaggio, sbuffare, agitarsi sulla sedia, sistemarsi una ciocca di capelli caduta sull’occhio, mordersi il labbro, sospirare, tossire… ossia fare tutte quelle cose che un personaggio farebbe volentieri, durante un dialogo. Un personaggio, non una persona, attenzione: una persona ne fa molte molte di più, ma sulla carta arriveranno solo quelle che sono significative per la scena e per la caratterizzazione del personaggio in questione.
Ancora una volta, è più facile di quanto sembri. Si tratta solo di ricordarsi dei personaggi, di scendere dal piedistallo dell’autore, fregarsene per un attimo del messaggio imprescindibile che trasmetteremo all’umanità con il nostro libro e delle parole meravigliose che abbiamo pensato per quel dialogo e raggiungere i nostri personaggi, vivere la scena insieme a loro. Anche solo il tempo di una rapida grattatina di piedi.
Hai ragione Mara! Il rischio manichino è sempre dietro l’angolo. Io cerco di evitare il problema scrivendo tutto il dialogo e poi tornando indietro a inserire gesti e azioni. Se faccio tutto insieme rischio di perdere il filo. A volte quando torno indietro, mi accorgo che la gestualità della scena impone qualche cambiamento al dialogo, ma poi alla fine il risultato diventa più naturale e logico.
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È un’ottima dritta, grazie Edy!
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hai ragione ed è azzeccatissimo il riferimento al manichino!
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Grazie Jessica!
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L’ha ribloggato su Through the Wormholee ha commentato:
Riflessione del tutto condivisibile su un errore piuttosto comune.
“L’autore era troppo preso dalla trama, dal dialogo, da quello che voleva dire, per ricordarsi del suo personaggio, mollato lì su una sedia e destinato a non fare più assolutamente – e intendo proprio assolutamente – niente fino alla fine del dialogo o della scena. Con un po’ di fortuna, prima della scena successiva l’autore si sarà ricordato di metterlo in una posa diversa, perfetta per la nuova vetrina, ma poi ancora una volta il dialogo ha il sopravvento e il manichino resta lì, dimenticato, senza potersi grattare quel piede che gli prude terribilmente, senza poter fare l’occhiolino a una ragazza di passaggio, sbuffare, agitarsi sulla sedia, sistemarsi una ciocca di capelli caduta sull’occhio, mordersi il labbro, sospirare, tossire… ossia fare tutte quelle cose che un personaggio farebbe volentieri, durante un dialogo. Un personaggio, non una persona, attenzione: una persona ne fa molte molte di più, ma sulla carta arriveranno solo quelle che sono significative per la scena e per la caratterizzazione del personaggio in questione.”
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Anche questo è un ottimo consiglio! Grazie
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Grazie a te, Alice!
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