L’incredibile caso del furto del lieto fine

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I  pubblicitari le inseguono, i politici le blandiscono, il merchandising le scimmiotta, lo storytelling le esibisce come trofei. Le emozioni sono l’ultima frontiera della privacy, la chiave d’accesso ai nostri sogni più segreti, pronti per essere trasformati in denaro sonante.

E fin qui niente di male o almeno niente di nuovo, se non fosse che per l’altra metà del cielo le cose finora sono andate in modo ben diverso. Quante di noi sono cresciute imparando a nascondere le proprie emozioni, se volevamo sembrare credibili ed efficienti? Quante volte ci siamo sentite ripetere che le donne che si emozionano sono irrazionali, inaffidabili, fragili, isteriche, umorali? E quando leggono per emozionarsi sono superficiali, retrograde, disimpegnate? Ci hanno insegnato a diffidare dalle emozioni, a nascondere i nostri sogni dietro lo strofinaccio o almeno dietro un atteggiamento pratico e concreto. I have a dream sulle labbra di una donna sarebbe suonato ingenuo e sconveniente. Se Hillary Clinton avesse detto Yes we can probabilmente le avrebbero consigliato di smetterla con i romanzi rosa. Stay hungry stay foolish scandito da Ellen DeGeneres sarebbe stato preso come un inno alla dieta gridato nel pieno di una crisi isterica.

Di recente, una foto di Mark Zuckerberg alle prese con un pannolino ha fatto strage di like e condivisioni. Roba da non crederci. Qualunque donna si sia cimentata nell’impresa di lavorare con un bimbo piccolo in casa sa bene che il pargolo va nascosto come la peste davanti ai clienti, se si vuole conservare un minimo di credibilità. Io per mesi ho tenuto un pacchetto di biscotti vicino al telefono, da cacciare in bocca a mia figlia al primo accenno di vagito in caso di conversazione di lavoro, altro che fotografarmi con il pannolino in spalla e dire che ne avevo cambiato uno ma la strada era ancora costellata di cacche.

Insomma, donne, facciamoci furbe, non lasciamoci fregare in questo modo le emozioni dal genere maschile, dai padri tatuati e teneroni che impazzano su Instagram e dai politici che campano sul valore comunicativo dell’happy end, dopo che per anni il rosa è stato bollato per lo stesso motivo.

I pannolini possono pure tenerseli, ma i sogni e il lieto fine li rivogliamo indietro. Noi ci crediamo da un bel pezzo. Non solo, teniamo in piedi una gran fetta dell’editoria credendoci e ci crediamo soprattutto perché crediamo in noi stesse, nei nostri sogni, nelle nostre emozioni. Perché ben vengano le donne astronauta o le donne in carriera o qualunque figura femminile in una posizione considerata maschile. Ma se salveranno la società dagli stereotipi di genere, non serviranno a salvare ciascuna di noi. Nel profondo, infatti, quello che ci serve è costruire la nostra identità a partire da ciò che ci appartiene e che ci consente di esprimerci nel modo più autentico e vicino a noi stesse. Ossia a partire dalle emozioni.

Il femminismo rosa comincia da qui. Perché allora non lo rivendichiamo emozionandoci in pubblico, per esempio, mentre leggiamo un libro a nostro figlio, alla recita di Natale, davanti a due accordi stonati suonati in metropolitana. Guardando accendersi le luci natalizie, una pubblicità a lieto fine, una famiglia che si ritrova agli arrivi dell’aeroporto. Una donna anziana che piange di solitudine appena i suoi parenti escono dalla stanza, il saggio di danza di una ballerina in erba, il messaggio di un’amica che si ricorda di una visita medica importante.

Tutte le lacrime che ci teniamo dentro e di cui ci vergogniamo ci rendono più forti, non più deboli. Riprendiamoci le nostre emozioni, viviamole tutte, fino in fondo, ma a modo nostro, non diamole in pasto ai pubblicitari e ai maghi dei social media, non svendiamole per quattro gattini e qualche nonno sulla luna. Viviamole, senza vergogna. E quale occasione migliore del Natale per farlo? Commuoviamoci, sogniamo, andiamo a caccia di tutto quel che ci fa stare bene e viviamolo fino in fondo, finché non saremo sicure di esserci saziate. E poi ricominciamo. Perché una donna che non ha paura delle proprie emozioni è anche una donna che non ha paura della propria tristezza. E decide di vincerla. È una donna che non ha paura del vuoto che sente dentro. E decide di riempirlo. È una donna che non ha paura dei propri sogni. E decide di inseguirli.

Per anni hanno sorriso del nostro rosa. Ma la verità è che le donne che sognano fanno paura, perché sono donne pronte a combattere. Riprendiamoci il rosa. Riprendiamoci le nostre emozioni. E quando arriveremo al fondo di quella che chiamavano la nostra debolezza, scopriremo di essere più forti che mai.

13 risposte a "L’incredibile caso del furto del lieto fine"

  1. 😀 La commozione è mia e la gestisco io!
    ( e dopo meno gattini sui social anche Gramellini si vedrà di meno..)

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  2. Cara Mara, ho letto con interesse il tuo articolo che ha quell’ironia indispensabile per affrontare tematiche come questa in cui è un attimo cadere nello stereotipo o nella banalità.
    Questa sfumatura del rosa mi appassiona molto! Sono più che d’accordo che la sola via praticabile sia quella di seguire se stesse, con emozioni e sogni, senza compromesso e non pensando al prezzo che potremmo pagare. Alla prossima!

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