Riscrivere per ritrovarsi

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Foto jev55 (CC)
Le storie già scritte sono come le case in cui abbiamo abitato un tempo. In cui abbiamo sognato, ci siamo emozionati, abbiamo fatto progetti e coltivato relazioni fatte di conflitti e di prove. Quando ci torniamo dopo anni, ci aggiriamo fra le loro stanze credendo di conoscerle bene, di sapere che cosa troveremo svoltato l’angolo, ma prima o poi finiscono sempre per sorprenderci, per metterci davanti qualcosa che non ci aspettavamo e non ricordavamo. Tanto da farci sorgere il dubbio, per quanto assurdo sia, che sia passato qualcun altro dopo di noi a cambiare le cose.
Se bussiamo piano alle pareti e ascoltiamo con attenzione, poi, riusciamo a sentire se sono davvero solide o pericolanti, se sono intere o se nascondono un passaggio segreto, un nascondiglio, una cavità ancora tutta da esplorare.
A tornarvi dopo un po’ di tempo, il tempo necessario per dimenticare abbastanza e permettere alla nostra memoria di farci da editor, le pareti della storia a volte riservano grandi sorprese. Scopriamo per esempio che alcune possono essere abbattute senza pericolo, lasciando entrare aria e luce nella storia. E un attimo dopo ci accorgiamo che da qualche altra parte è necessario sollevarne subito un’altra, per evitare un cedimento strutturale di cui non avevamo tenuto conto.
Scopriremo porte che non conducono da nessuna parte, stanze che non comunicano fra loro, finestre troppo piccole che non valorizzano il panorama all’esterno. Ci sono stanze a cui non si può arrivare in alcun modo, perché ci siamo scordati la porta o le scale. Le abbiamo create per poi dimenticarcene e abbiamo costruito la storia tutt’attorno, soffocandole o riducendole a uno sgabuzzino.
A volte sentiamo il bisogno di aggiungere una cantina piena di tesori nascosti, o una soffitta in cui mettere quel che non ci servirà subito ma che tornerà utile più avanti. Altre volte dovremo andare a stanare quel tesoro e sistemarlo nella stanza giusta, perché ce l’eravamo scordato in garage o fuori dalla porta.
Anche le case più belle, quelle in cui siamo stati più felici, possono riservare sorprese, viste con altri occhi. A volte ci accorgiamo di essere stati troppo timidi, troppo preoccupati dalle necessità strutturali e dal bisogno che la casa fosse solida, per esempio, per ricordarci di fare in modo che ci assomigliasse davvero. Con le storie è lo stesso. In alcuni casi si ha bisogno di scriverle più volte, la prima per iniziare a conoscerle e imparare a costruirle senza che ci crollino addosso, la seconda per scoprire che quello che volevamo dire è rimasto in un angolo e che nessuno lo noterà, se non cambiamo il piano della casa. Qualche volta tocca sacrificare un personaggio e cacciarlo fuori di casa, qualche altro personaggio avrà una stanza più grande o magari addirittura un piano nuovo, tutto per sé. Possiamo togliere un’ala o aggiungerne una nuova, cambiare il colore della facciata e magari aprirvi intorno un bel giardino, o un piccolo parco. L’importante è che sentircisi a casa e lasciare che parli di noi.
La riscrittura, quando la affrontiamo con un pizzico di freddezza necessaria, ha qualcosa di frastornante e di rassicurante al tempo stesso, come smarrirsi in un labirinto e poi trovare finalmente l’uscita. Un labirinto costruito da noi, ma di cui abbiamo smarrito la mappa. E come per ogni viaggio, è quando ci si perde che si fanno le scoperte più belle. E si capisce che cosa è davvero importante.
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2 risposte a "Riscrivere per ritrovarsi"

  1. Fare l’editor a me è sempre sembrato una specie di via di mezzo fra architettura e interior design. L’abitazione c’è, è stata costruita, però mancano quelle parti che la renderanno una casa da abitare, una dimora felice. Può essere una scala messa al posto sbagliato; una serie di finestre da cambiare; oppure un colore, che non si accorda con gli altri e stride. Può mancare quella stanza intima, nella quale rifugiarsi ogni tanto. L’editor suggerisce dove sistemare quello che è stato messo al posto sbagliato; mostra che un po’ di rosa non guasta, anzi. Disegna quella piccola stanza, e invita lo scrittore a disegnarne i particolari e l’uso.
    Che bel mestiere!

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