
Al femminile. Perché i corsi di autodifesa sono la dimostrazione che viviamo in una società al maschile, in cui si declina, si adatta, si ingentilisce, ma si parte spesso da modelli e presupposti maschili. I corsi di autodifesa “al femminile”, infatti, di femminile a pensarci hanno ben poco. Sono in realtà corsi maschili, pensati con metodi maschili per combattere la violenza subita dagli uomini, non dalle donne. Non che non siano utili. Ti insegnano a difenderti a borsettate o con un colpo di nocche allo sterno o sul cranio, dove anche l’aggressore più nerboruto si piega dal dolore, o con il classico calcio fra le gambe. Sono corsi pensati per difendersi da un avversario sconosciuto, che aggredisce per strada o comunque in un luogo pubblico, fuori di casa.
Le statistiche però dicono chiaramente che non è quella la violenza da cui devono difendersi le donne. Sono gli uomini che hanno maggiori probabilità di essere aggrediti da sconosciuti e per strada. Le donne subiscono violenza soprattutto per mano di persone conosciute e fra le pareti domestiche. Non solo, certo, ma più spesso. E non sarà una borsettata o un mazzo di chiavi stretto fra le dita a salvarci da un marito violento o da un ex fidanzato. Magari bastasse. No, quello che serve davvero alle donne è tutto ciò che avviene prima dei calci e delle borsettate. È la consapevolezza di avere il diritto di difendersi, il diritto e il dovere verso se stesse di farlo.
Per un corso di autodifesa al femminile non c’è bisogno di tuta o di borsette o di chiavi. Serve uno specchio.
Posizioniamoci davanti allo specchio, guardiamoci negli occhi il tempo sufficiente e rilassarci e a smettere di sentirci a disagio sotto il nostro sguardo. E quando avremo dimenticato tutto il resto e riusciremo a guardarci e a riconoscerci, iniziamo l’esercizio.
«No.»
«No, non è il suo modo di volermi bene.»
«No, non è vero che non può fare altrimenti.»
«No, non è fatto così, si comporta così.»
«No, non sarà una volta sola.»
«No, non cambierà.»
«No, non ne ha il diritto.»
«No, non lo fa per te.»
«No, gli uomini non sono tutti così.»
«No, dopo uno schiaffo non si torna più indietro.»
«No, non è colpa mia.»
«No.»
«No.»
«No.»
«No.»
«No.»
Diciamolo davvero, impariamo a dire di no. Non è così facile, ovviamente, e non si risolve così la violenza di genere, ma è l’unico esercizio di autodifesa che abbia un senso, secondo me, e che può essere davvero utile. Imparare a dire di no. Non sarà mirare ai punti vitali dell’avversario o imparare a schivare un colpo a difenderci. E meno che mai camminare con le spalle dritte e controllare l’ambiente in cui ci muoviamo. A difenderci dalla violenza di un compagno può essere solo la convinzione di avere il diritto di farlo. Il diritto e il dovere. A salvarci sarà la certezza che non è colpa nostra. Non è mai colpa nostra. Non ce l’hanno insegnato abbastanza. Alle donne insegnano a dire di sì, a dire certo, a restare in silenzio, a non alzare la voce e la testa, a non creare problemi, a non farsi riconoscere, a lasciar fare. Alle donne non insegnano mai abbastanza a dire di no, perché il no delle donne è pericoloso, il no delle donne è un muro, è un terremoto, il no delle donne cambia tutto, non lascia nulla com’era. Dirlo più spesso farà bene alle donne e sentirlo più spesso farà bene agli uomini.
Ma lo faremo per noi, non per loro.
Davanti allo specchio, inspirare, espirare. Dieci volte per ogni esercizio.
«No.»
«Non è il suo modo per volermi bene.»
«No.»
«No.»
«No.»
«Sì, è grave.»
«Sì, ti meriti di essere trattata diversamente.»
«Sì, esiste un’alternativa.»
«Sì, ce la farai anche senza di lui.»