Sui social siamo tutte ribelli, condividiamo i post più battaglieri, esortiamo le altre donne a fare la voce grossa e ci facciamo grasse risate al primo segno di debolezza altrui.
In libreria siamo tutte ribelli, ci riempiamo le braccia di libri sul femminismo, riempiamo i nostri scaffali di storie di donne che ce l’hanno fatta e la testa e i sogni delle nostre figlie di parole come forte, indipendente, guerriera.
Eppure io di donne ribelli fuori dai social e dalle librerie ne vedo poche, confesso. Vedo donne stanche, esauste, che schizzano via dall’ufficio per portare i figli in piscina perché il marito non può, deve andare a correre con gli amici. Vedo donne oberate di carichi e di pensieri, che si svegliano mezz’ora prima per stirare la camicia al compagno, che si affannano per essere o sembrare l’angelo del focolare. Vedo donne che si vantano di non sedersi fino a fine giornata, che si vantano di farsi in quattro e in otto e in cento mille pezzi per i figli e un’idea di famiglia che poco assomiglia alla felicità.
Vedo donne che si indignano al primo slogan in odor di maschilismo, ma che criticano le donne che hanno accanto al primo segno di debolezza. Vedo donne che confondono la forza con il valore, l’efficienza con la felicità, la cura degli altri con la propria. Sento di donne che continuano a morire per mano dei compagni, che continuano a non essere indipendenti economicamente perché mettono il proprio lavoro in secondo piano, che continuano a occuparsi di tutto prima che di se stesse.
Che cosa ce ne facciamo, allora, di tante storie di donne ribelli? Dove vanno a finire, una volta uscite dai social e dalle librerie? Forse le donne non hanno bisogno di tanti slogan, ma di essere più sincere con se stesse, di pretendere meno o di più dalle proprie forze, di ignorare le richieste altrui, di imparare a perdonarsi. Forse non hanno bisogno di esempi illustri, ma di accettare la propria debolezza, la propria leggerezza e la propria stanchezza. E forse hanno bisogno (anche) di ribellioni diverse da quelle di cui parlano i social. Di ribellioni silenziose e discrete, di piccoli gesti, di no prima sussurrati e poi detti ad alta voce, di non perdere mai di vista il proprio spazio e i propri sogni, di avere sempre “una stanza tutta per sé”.
Vedo donne che avrebbero bisogno di essere meno ribelli, forse, e più più felici.
Ribellarsi forse non e compiere imprese epiche ma come dici anche tu, piccoli gesti quotidiani che possono anche passare inosservati ma ci consentono di vivere meglio
"Mi piace""Mi piace"
E soprattutto che non ci facciano sentire inadeguate, come a volte ci succede con il mito della donna ribelle. Grazie, Barbara!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Essere più sincere con sè stesse come primo passo di “ribellione”: sono molto molto d’accordo. Il confronto con l’ideale di donna libera, indipendente, forte…spesso si scontra con la nostra realtà quotidiana e i compromessi che a volte dobbiamo fare, facendoci sentire inadeguate anche quando cerchiamo di aspirare a modelli femministi — il colmo. Ascoltarmi di più e agire di conseguenza, rifiutare certi comportamenti nella mia sfera familiare spiegandone il perchè…sono piccole cose ma hanno fatto la differenza.
"Mi piace"Piace a 1 persona
La penso esattamente così anch’io!
"Mi piace"Piace a 1 persona