Perché non sei stata più femminista, mamma?
Perché non mi hai insegnato a lottare per i diritti delle donne? Perché dicevi sempre che era il papà a decidere e quando lui riposava non potevamo parlare ad alta voce e tu invece non ti riposavi mai? Perché quando il papà cucinava gli dicevi sempre quanto era bravo e invece quanto cucinavi tu mangiavamo e basta? Perché il lavoro del papà era tanto importante e il tuo meno? Perché non sei mai uscita con le amiche, non ha mai fatto un viaggio da sola, non andavi alle mostre e al cinema per i fatti tuoi? Perché non hai mai preso neanche la patente?
Io ti voglio bene, mamma, ma vorrei tanto avere avuto una mamma di quelle che vanno in manifestazione, di quelle ribelli e orgogliose e coraggiose. Vorrei avere avuto una mamma che sfidava il marito, che metteva il proprio lavoro davanti a tutto il resto, che inseguiva i suoi sogni e non lo faceva di nascosto. Vorrei avere avuto una mamma che non si lasciava schiacciare dalla casa e dai figli e dal marito. Vorrei avere avuto una mamma che mi insegnasse l’orgoglio di essere donna, prima che i doveri di una donna.
Tesoro mio, mi dispiace. Ma se sei nata chiocciola non ti spunteranno gli aculei o le ali soltanto perché lo desideri. Se sei nata chiocciola sai di essere fragile e vulnerabile, impari a temere il caldo improvviso e a tenerti caro il nido che ti porti addosso. Se sei nata chiocciola impari a misurare le forze e a fermarti un attimo prima che finiscano.
Quando sei nata chiocciola, però, impari anche a muoverti lenta e inavvertita. Impari a non mollare, a tenere duro, a tracciare scie silenziose e a segnare il cammino per chi verrà dopo di te. Quando sei nata chiocciola ti porti tutto il passato dietro e sai che non puoi tradirlo e non puoi gettartelo alle spalle. Quando sei nata chiocciola hai un debito con il passato che potrai saldare a colpi di fedeltà e di tenacia e di sacrificio.
Per ogni slogan che non ti ho insegnato c’è un debito che ho saldato al posto tuo, perché tu potessi volare più leggera. A ogni battaglia vinta in silenzio ti ho spinta un po’ più in là e ti ho dato la forza. Vorrei averti insegnato a riposarti e a manifestare, ma ti ho insegnato a tener duro e a non mollare. Vorrei averti insegnato a viaggiare da sola e a sfidare la solitudine, invece ti ho insegnato a sfidare me e i miei divieti.
Per ogni regola che ti ho imposto c’era la volontà di saperti più forte. Per ogni dovere che ti ho imposto c’era una paura che cercavo di mettere a tacere. Non ho sognato come avresti voluto, ma ti ho insegnato a sognare senza confondere i miei sogni con i tuoi. Non lottato come avresti voluto, ma ti ho insegnato a lottare ogni volta che te la sei presa con me. Non ti ho voluto bene come avresti voluto, ma non ho mai smesso di farlo.
Il mio femminismo non era il tuo e non eri tu. Il mio femminismo erano tante piccole battaglie contro me stessa e contro la fatica e non sono arrivata a vincerne neanche la metà. Il mio femminismo era affrontare ogni giorno un concentrato di sensi di colpa e di obiettivi che non mi appartenevano. Il mio femminismo è stato tenere buono il passato e spingerti verso il futuro. E anche se probabilmente non sarai d’accordo e non ci crederai, il mio femminismo a conti fatti mi è costato più coraggio più forza e più avventatezza di quanti me ne sarebbero mai serviti per scendere in strada a manifestare con le donne che ammiri tanto. Il mio femminismo è diverso, è il femminismo di una chiocciola timida e fragile e cosciente dei suoi limiti. Ma vale tanto quanto il tuo e forse ha sfondato più muri e più pregiudizi del tuo. Il mio femminismo non va di moda e non fa sognare, ma si paga a caro prezzo e incide le sue battaglie e le sue vittorie nel tempo, per sempre. Non ti chiedo di capirlo o di condividerlo, ma non farmelo sembrare ancora più solitario di quanto non mi sia sembrato in tutti questi anni. Perché di una cosa sono sicura, non ero sola, nelle mie battaglie silenziose.
Ti voglio bene, mamma.