Vita e morte di un pezzo da puzzle

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Immagina di essere il pezzettino di un puzzle. Sei sempre il pezzettino di qualcosa, non sei mai tutto quanto, solo un pezzetto, una tessera, una porzione piccola piccola di qualcosa di più grande, che ti dà un senso e ti completa.

E come tutti i pezzettini dei puzzle, quello che fai fin dal principio è cercare il tuo posto, quello che ti hanno scritto addosso, nelle tue curve, negli spigoli. La tua forma ti definisce, ma solo nella misura in cui ti promette di andare a incastrarti da qualche parte, la tua forma è un invito, è un identità spezzata e rimandata, l’impossibilità della solitudine, le tue curve ti ricordano che hai un posto, che c’è un posto per te, ed è lì, in quel posto, che avrai un senso.

I pezzettini di un puzzle sanno che è loro dovere incastrarsi, che ci sarà sempre qualche mano, qualche dito, qualche sguardo, qualche altro corpo che ci proverà. I pezzettini del puzzle ci sono abituati, lo accettano, sanno che fa parte di loro, quell’altra forma che preme addosso, che si forza, che ci prova, non si incastra ma non si arrende lo stesso. Chi non l’ha mai fatto, in fondo? Chi non ha mai cercato di barare, con i pezzetti del puzzle, di provare a incastrarli anche se loro non volevano saperne?

I pezzettini del puzzle sanno che ovunque siano, sul lavoro, per strada, sull’autobus, ci sarà sempre qualcuno che non riuscirà a distogliere gli occhi dalle loro curve, senza guardare i colori o il disegno. Sanno che ci sarà sempre qualcuno che penserà che è loro dovere incastrarsi, che sono lì per quello, che il semplice fatto di esistere è un invito ad accoppiarsi, una promessa, una provocazione. La tessera di un puzzle è fatta per quello. Una tessera che non si accoppia è uno scarto di fabbrica, un errore di produzione, un’anomalia.

E quando il pezzettino si rompe, quando a furia di premere e spingere e forzare incastri impossibili va a finire che si piega, si schiaccia, si adatta alla forma altrui, l’unica cosa che conta è che il pezzettino non è più solo e saranno in pochi a notare che non è al suo posto, che ci sta stretto, lì fra tutti quegli spigoli che gli premono addosso.

Il pezzettino del puzzle sa che c’è sempre una mano che attende il suo turno, un dito che aspetta di schiacciarglisi contro, un alito di violenza che gli soffia sul collo e sui contorni, un’altra forma che crede che le sue curve siano l’unica autorizzazione necessaria. E sa anche che sono tutte quelle mani e quelle dita che gli regaleranno il suo posto, alla fine, che sono quelle a segnare la strada, a indicare una direzione. E con un po’ di fortuna, alla fine troverà il posto in cui incastrarsi. O forse no, forse non succederà mai. E la colpa sarà soltanto sua, sua e delle sue forme solitarie e tutte sbagliate.

Perché il puzzle non sbaglia mai, il puzzle ha sempre la precedenza, e al pezzettino del puzzle, quando parla, non dà mai retta nessuno.