Libertà

_MG_1571
Foto di Isidre Garcia Puntí

Per chi ha sogni piccoli, che arrivano alla fine del giorno.

Per chi ha sogni grandi, che arrivano alla fine della storia.

Per chi vuole essere lasciato tranquillo.

Per chi tranquillo non ci sa stare.

Per chi si sente vivo lottando.

Per chi vive schivando la lotta.

Per chi crede nella forza delle idee.

Per chi crede nella forza dei pugni.

Non c’è bisogno di assomigliarsi, non c’è bisogno di piacersi, non c’è bisogno di pensarla allo stesso modo.

Non c’è bisogno di volere un mondo migliore, non c’è bisogno di desiderare la democrazia, non serve la forza per lottare e non serve il coraggio di rischiare. Serve solo la consapevolezza che ci riguarda, che vivere significa prendere posizione. Come si può. Ciascuno con le sue armi, le sue parole, la sua musica, i suoi colori, i suoi gesti, le sue note e le sue emozioni. Ciascuno come può, perché tutti possano.

Qualcuno si sentirà grande, qualcuno piccolo e inutile, qualcuno ci metterà il coraggio e qualcun altro la paura. Qualcuno la musica e qualcun altro le parole. Qualcuno la rabbia e qualcun altro la calma. Qualcuno la speranza e qualcun altro il rancore. Qualcuno l’ottimismo e qualcun altro il sarcasmo. Ma i sogni che nascono all’ombra della repressione sono i sogni che nessuno vorrebbe. Lottiamo per poter essere vigliacchi e banali, per poter essere superficiali e meschini, lottiamo per poter sognare in tutte le lingue e con tutte le voci e le idee possibili. Lottiamo per continuare a pensarla diversamente.

Lottiamo, come possiamo, anche solo cinque minuti al giorno, ma lottiamo per il diritto di esprimerci. E per il diritto degli altri a farlo. Lottiamo per essere liberi. Lottiamo per la libertà di chi lotta contro di noi. Lottiamo, se necessario, per il diritto di lottare. E sì, dobbiamo iniziare a farlo subito.

Arriva la tormenta Ana, seguita da Bruno, Carmen, David, Emma… in fila per due col resto di uno

Ana, Bruno, Carmen, David, Emma, Félix, Gisele, Hugo, Irene, José, Katia, Leo, Marina, Nuno, Olivia, Pierre, Rosa, Samuel, Telmva, Vasco y Wiam.

Sono i nomi che avranno le prossime tormente che investiranno la penisola iberica provenendo dall’oceano Atlantico. Ana, prevista nella notte fra oggi e domani, lunedì 11 dicembre, è una tormenta storica, quindi, e non solo perché porterà ventiquattro ore di pioggia e venti fino a 140 km orari e perché rischia di provocare “danni significativi”. Resterà nella storia soprattutto per essere stata la prima tormenta ad avere un nome, da queste parti. Quelle che seguiranno alterneranno nomi maschili e femminili, che non si dica, e seguiranno un rigoroso e rispettoso ordine alfabetico.

Non sarà l’ordine alfabetico, però, ad aiutarci a far fronte al caos portato dalla tormenta, e neanche il fatto che si alterneranno fra maschi e femmine, come bravi bambini delle elementari in coda verso lo scuolabus. Ad aiutarci sarà, secondo gli esperti, il fatto che abbia un nome. Non è lo stesso, insomma, gridare di stare attenti alla tormenta che gridare di stare attenti alla tormenta Ana. La popolazione, pare, reagisce con più solerzia se il pericolo ha un nome di battesimo.

Resta da vedere se la reazione cambierà a seconda del nome. Ana ha qualcosa di inquietante, in effetti, nella sua apparente semplicità  evoca un discreto potere distruttivo, volendo. Con Carmen secondo me avremo qualche difficoltà in più, perché sfido chiunque a non pensare a Bizet e a chiedersi se arriverà a passo di danza suonando le nacchere. Per non dire della tormenta Rosa, dove l’amor si posa, che forse avrà le sue difficoltà a essere credibile. Con Telmva probabilmente saremo così impegnati a cercare di pronunciarlo che la tempesta ci coglierà tutti alla sprovvista in un groviglio di consonanti.

Stiamo a vedere se funziona. Nel caso, forse varrebbe la pena di estendere l’iniziativa. Propongo un nome di battesimo anche per le elezioni politiche, per il campionato di calcio, per qualche guerra lontana di cui non frega niente a nessuno. Più nomi di battesimo per tutti, insomma, come sulla Nutella. La soluzione era così facile, ce l’avevamo sotto il naso e non ce n’eravamo accorti.