I social ci stanno trasformando tutti in tanti Narcisi?

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Foto di Gabriel Garcia Marengo (CC)

Trolls, haters, rompicoglioni, chiamateli un po’ come volete. Sono quei commentatori social che nelle migliori delle ipotesi provocano, stuzzicano, irritano più di un maglione di lana sulla pelle nuda, e nella peggiore ti insultano apertamente con una violenza spropositata, nonostante sia la prima volta che li senti nominare.

Quale che sia il caso, sono diventata bravissima a riconoscerli e a bannarli all’istante. “Credi proprio di sapere tutto…” Bannato. “Sappi che non fa ridere per niente.” Bannato. “Se proprio vuoi saperlo…” Bannato. “Non è il caso di usare questo tono…” Bannato. “Pensi di essere spiritosa?” Bannato. Bannato. Bannato.

Ci sono giorni in cui è pioggia di ban e devo ammettere che ne vado molto fiera. Non sono caduta nella trappola più temuta dei social. Un giorno in più al riparo dalle polemiche e dagli sprechi di parole e di energie. La mia bacheca è sempre più civile e pacata, le voci che vi si alternano sono sempre più interessanti e simili alla mia, in un certo senso. Ho una bacheca personalizzata. Sono social, sì, molto social. Ma con prudenza.

Urca.

In pratica, a ben pensarci, la mia bacheca assomiglia sempre di più alla mia homepage di Amazon. Agli annunci pubblicitari di Google. Al barattolo della Nutella con sopra il mio nome! Ci sono momenti in cui apro un bookstore digitale a caso e inizio a temere seriamente che non riuscirò mai più a leggere qualcosa che non assomigli a quello che ho già letto. Sono diventata una versione vivente del telefono senza fili. Tu dici una cosa e ne capiscono un’altra e un’altra ancora e alla fine chissà che cosa salta fuori, ma il nesso c’è. C’è sempre un nesso. Un nesso che ci lega stretti stretti ai nostri vizi, alle nostre abitudini, a quello che conosciamo bene, impedendoci di evadere. Anzi, ancora peggio, illudendoci di evadere ma riportandoci sempre vicini a noi stessi. O almeno alla parte più calda, comoda, un po’ sformata e stantia ma rassicurante, di noi stessi.

La possibilità di bannare, lasciare recensioni negative, dire se un libro ti è piaciuto, se in quella stanza d’albergo il materasso è comodo, se il cameriere di quel ristorante è villano è uno strumento prezioso e praticamente indispensabile, nell’oceano indiscriminato del web. Ma forse stiamo perdendo la capacità di confrontarci con quello che non ci piace. Di scendere a compromessi, di accettare il diverso, di misurarci – non per interesse, per convinzione o per curiosità, ma per pura necessità – con quello che non ci appartiene e non ci assomiglia.

Stiamo diventando eremiti social. E non perché stiamo chiusi tutti in casa davanti al computer, ma perché ci stiamo abituando a vivere in un gioco di specchi elaborato e affascinante e ricco di possibilità, ma che ci assomiglia troppo, ogni giorno di più.

Il problema allora non è che andiamo tutti in giro con gli occhi incollati allo schermo del cellulare. Il problema è che non abbiamo più bisogno di confrontarci con gli altri, di accettarli, di dialogarci. Fare la spesa on line, lavorare da casa, trascorrere il viaggio in treno con gli occhi fissi sul cellulare non ci rende più soli. Ma rischia di renderci sempre più diffidenti verso il diverso, sempre più radicali, intransigenti, insofferenti. Io ho conosciuto persone meravigliose attraverso i social, le ho conosciute prima in rete e poi di persona e in molti casi ne sono nate delle amicizie sincere. Inizio però a chiedermi se vivere tanta parte delle mie giornate in un mondo in cui quasi tutti hanno le mie stesse opinioni politiche (Avresti votato Trump? Fuori), i miei stessi gusti letterari e in qualche caso anche musicali non abbia un prezzo. Un prezzo che ora mi sfugge, probabilmente, e che adesso come adesso sono anche disposta a pagare.

Il prezzo, forse, che si paga quando si lascia che il mondo diventi un riflesso di sé e prima o poi non si riesce a resistere alla tentazione e ci si affoga dentro, come tanti Narcisi social. Sempre se non saremo così rapidi da bannare prima noi stessi.

Ebook: è cambiato tutto perché non cambiasse niente?

Foto di Des Byrne
Foto di Des Byrne

Una mia conoscente da un po’ fa avanti e indietro fra un marito affidabile e noiosetto e un amante un po’ volgare e molto più giovane di lei. L’altro giorno la incontro e mi dice che è andata a ballare da sola. «Come da sola?» le ho chiesto stupita. «Da sola» mi ha risposto. «Con tutti gli uomini che ho. Perché non ce n’è, che siano zucche o peperoni, dopo un po’ diventano tutti uguali.»

Il commento mi è tornato in mente qualche giorno dopo mentre guardavo la classifica di Amazon dei romanzi rosa. Me la sono letta tutta, dalla prima alla centesima posizione, e continuavo a pensare: «Ma questa è l’edicola. L’edicola del digitale, ma pur sempre l’edicola. È tornato tutto come prima». C’erano gli Harmony di sempre, una sfilza di romanzi senza troppe pretese, qualche chicca inaspettata e qualche classico, capitato lì più per caso che per fortuna, proprio come una volta li si trovava in allegato al quotidiano.

Possibile? Davvero è cambiato tutto perché non cambiasse niente?

La rivoluzione del digitale, tanto gridare alla democrazia, al diritto di pubblicare, leggere a poco, sfondare limiti e pregiudizi, e tutto per ritrovarsi davanti un’altra versione della dicotomia scaffale/edicola?

Non starò qui a indagare le cause, non ne ho le competenze, ma se dovessi tirare a indovinare direi che è il risultato più logico di una politica di vendita che ha scimmiottato il cartaceo, con prezzi assurdamente alti per i titoli “da libreria”, offerte random e un abbassamento altrettanto assurdo dei prezzi sul fronte del self publishing e dell’Unlimited. Tanto che a farne le spese, almeno in termini di classifica, sono proprio le case editrici che nel digitale ci hanno creduto davvero e che l’hanno proposto e venduto come tale, con prezzi non bassissimi e non altissimi, quasi mai superiori ai 5 euro, e scelte editoriali innovative e anche rischiose.

Ma il futuro? Che cosa ci riserva?

La prossima volta che incrocio la mia amica sono curiosa di scoprire se alla fine ha optato per la versione più conosciuta e rassicurante o per quella più azzardata e meno elegante dell’universo maschile. Chissà mai che non ne tragga indicazioni preziose per il futuro del digitale. Prometto di tenervi aggiornati.

Nel frattempo, potremmo cominciare con lo smettere di dire che un libro è un libro e che digitale e cartaceo sono uguali. Non lo sono e non lo saranno mai e possono essere valorizzati solo a partire dalle rispettive differenze.

E sono pronta a scommettere che la mia amica, che non ha alcuna difficoltà a far convivere i due formati e legge in cartaceo in pubblico e in digitale in camera da letto, col cavolo che li trova uguali.

Anche se le raccontano sempre la stessa storia.