In Lezioni di disegno ci sono due donne. Ce ne sono molte, in realtà, ma qui ce ne interessano due in particolare. Le incontriamo entrambe negli anni Settanta, a Barcellona, in piena Transizione, quando Franco è morto da poco e la controcultura, le droghe, il sesso libero, lo sberleffo come forma d’arte e di vita danzano sulle sue ceneri (che calde erano e calde resteranno in realtà fino a oggi, ma questo è un altro discorso).
Una di queste due donne è l’emblema di quegli anni: giovane, disinibita, insofferente a qualunque regola, battagliera e femminista. L’altra è l’emblema di ciò che in teoria sarebbe dovuto restare nel passato: perbene, attenta alle apparenze, ligia alle regole, sottomessa al marito in nome non tanto dell’amore quanto della compostezza e della sicurezza che comporta avere un posto chiaro e saperci restare.
Per una delle due la libertà è uno stile di vita, per l’altra una tentazione improvvisa e una sfida. Quale delle due è la più femminista, secondo voi? Lo sono entrambe?
È con questa domanda in testa che ho scritto il romanzo. Che cosa succede a una donna che ha fatto della pacatezza il proprio stile di vita davanti all’occasione di una libertà impossibile? Fino a dove sarà disposta a spingersi per reclamare i propri diritti e la propria felicità? La sua battaglia non è forse quella di molte donne anche oggi, non è forse una battaglia femminista, di quel genere di battaglie che le donne spesso combattono contro se stesse, prima che contro gli altri, i mariti e la società, quando vengono messe di fronte a scelte impossibili, come quelle che comportano i figli?
Vi lascio con questa domanda, senza svelare troppo della storia raccontata nel romanzo. Non c’è bisogno di averlo letto, in realtà, per rifletterci e provare a rispondere.
Che cosa ci rende più femministe? Scendere in piazza ed essere libere, forti e battagliere, l’emblema di quello che per molte è già un risultato impossibile? O combattere mille battaglie silenziose fra le pareti domestiche, qualche volta anche solo per mettere a tacere i nostri sensi di colpa? E spesso senza riuscire a vincerle. Del resto, non è la vittoria a rendere tale una lotta. E sono pronta a scommettere che quelle combattute da sole in famiglia, in casa e all’interno della coppia siano molto più dure e dolorose di quelle combattute insieme, per strada e fra la gente. Allora non lasciamoci sole, mai, tendiamo una mano a ogni tipo di lotta femminile. Questo romanzo è la mia mano tesa, a tutte le donne che hanno un prezzo altissimo da pagare per essere felici e non sono sicure di essere disposte a pagarlo.