Caccia allo Strega

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Da quando Nicola Lagioia ha vinto lo Strega, su Facebook stiamo assistendo a un curioso fenomeno: l’Antifascetta, la stroncatura senza cognizione di causa, lo strillo che si fa vanto della propria assenza di argomentazioni e della mancata lettura del libro. Il giudizio insomma espresso con la stessa faziosità, arbitrarietà e inventiva di una fascetta promozionale, solo di segno opposto.

Non mi riferisco soltanto ai post in cui ci si accanisce, di solito con un livore esagerato, contro qualche frase di La ferocia, prontamente estrapolata dal contesto ed esposta al pubblico ludibrio stile quiz: “chi riesce a capire il significato di questa frase?” Circola anche una foto in cui si riportano alcune righe con contorno di punti esclamativi, insieme all’accorata opinione di una cara “professoressa, di quelle che non ne fanno più così”, che segnala il paragrafo in questione “tra lo sconvolto e l’indignato”. E giù commenti altrettanto sconvolti e indignati, derisori nei migliori dei casi, volgari nei peggiori, sulla prosa di Lagioia.

Solo in un caso, trattandosi della pagina di una persona che stimo, ho deciso di dare la risposta al quiz e di dimostrare come le frasi in questione avessero un senso eccome, anzi, più di uno, a ben vedere. Ma il punto non è questo. Non spetta a me difendere la prosa di Nicola Lagioia (un susseguirsi di percorsi di significato nettissimi, secondo me, di una precisione chirurgica, e al tempo stesso incredibilmente sensoriali, in cui non c’è mai una parola di troppo), proprio come non spettava ai commentatori di Facebook distruggerla senza altro argomento che il “io non la capisco” e, inutile dirlo, senza aver letto il romanzo. Il punto è l’evolversi e il proliferare dell’eco. Ne ho parlato in L’eco di Eco: il messaggio nell’era dei social non è più il messaggio in sé, ma l’eco di quel messaggio. Non importa la fonte, non importa il contesto, importa quel ritaglio più o meno corrotto che riportiamo e che verrà a sua volta riportato, condiviso, commentato, perdendo ogni legame con la forma originaria, proprio come la frase di Lagioia ha perso ogni legame con il libro da cui è stata estrapolata.

Questi sfoghi inneggianti al rispetto della lingua italiana (che dovrebbe secondo qualcuno sporgere addirittura “denuncia per stalking”) da parte di chi non la sa evidentemente piegare alla propria volontà espressiva con la stessa violenza, abilità e ferocia di Lagioia, hanno qualcosa della caccia alla strega, nella loro ansia di distruggere ciò che si ignora e non si arriva a capire. Che si tratti dell’establishment letterario o delle tante strade che può prendere la lingua italiana.

Non c’è bisogno di scomodare la dotta ignoranza di Socrate, con grande sollievo di chi vuole essere rassicurato dalle cose semplici. Basta ricordarsi quel che ripetono le mamme a tavola: “Non si dice fa schifo, si dice non mi piace”. Anche sui social, a volte, la democrazia va a braccetto con la buona educazione.