
Non la mamma. Non la moglie. Non la milf attempata. La cinquantenne e basta.
Arriva un punto nella vita di una donna in cui vivere stretta fra le esigenze e i parametri altrui non è più soltanto sbagliato e inaccettabile, è anche impossibile. Se hai sempre tirato la coperta da una parte e dall’altra, lasciando scoperto ogni volta qualcosa (il lavoro, i figli, la tua autostima, la tua fragilità, il tuo corpo), arriva un momento in cui quella coperta ti si strappa fra le mani. E tu non hai più voglia di rattopparla.
Sei sempre stata la figlia di, la fidanzata di, la madre di. Hai vissuto proiettando un’ombra di desiderabilità e piacevolezza, hai finito per accettare che le tue idee e i tuoi succcessi fossero rinchiusi fra parentesi di paternalismo e occhiate alle tette, soppesando affondi aggressivi per farsi valere e ritirate dietro sorrisi modesti e innocui, quando era più facile tenere buono l’ego maschile che tirarselo contro. Hai finito per accettare che venisse prima il tuo aspetto, la tua carica sensuale, poca o tanta che fosse, che la tua disponibilità a incassare battute maliziose e occhiate insistenti facesse parte del gioco, comunque decidessi di spenderla. Hai assottigliato i tuoi progetti di vita come un elastico teso fra la coppia e la maternità. E adesso, arrivata ai cinquant’anni, che cosa dovresti fare, secondo il mondo degli uomini?
Arrivata ai cinquanta fra te e l’invisibilità resta tutto quello che appartiene esclusivamente a te. E diventa frustrante e spossante difenderlo incollandosi addosso la maschera di una finta fertilità, di una sensualità da ventenne a misura dei desideri altrui, di una giovinezza di cui non sentiresti neanche la mancanza, se essere donna non la rendesse tanto indispensabile.
Eccola allora la gravità del body shaming, del giudizio costante sul corpo delle donne, eccolo il peso di una vita passata a schivare commenti e mani sul culo e sorrisetti per poter dire come la pensi. Lo senti tutto quando arrivi a cinquant’anni e diventi invisibile, un bozzo a forma di mamma accanto alla figlia adolescente a cui sono indirizzati adesso sguardi e sorrisi, una forma umana con un paio di guanti da forno che prepara pizze per gli amici del figlio, una creatura in menopausa che aleggia invisibile fra gli ormoni altrui. E ti starebbe benissimo così, se questo non finisse per passare un colpo di spugna anche sul tuo valore in quanto persona, sui tuoi desideri e sul tuo desiderio, sulla tua autonomia, sul senso della tua presenza.
Nello spaesamento di una donna di cinquant’anni, nella sua fragilità, nel corpo segnato dalla vita propria e altrui, si nasconde una risorsa preziosa, c’è una direzione da seguire, non un pozzo di botox e inadeguatezza. C’è tutto quello che resta quando ci scrolliamo di dosso il peso delle aspettative altrui, quando non ci incastriamo più a forza nei contorni tracciati dal desiderio e dalle esigenze maschili e riproduttive. Lasciateci fare le cinquantenni, allora, non imitazioni raffazzonate della ventenne che siamo già state. Basta invertire lo sguardo, e imparare a raccontare le donne partendo dalle donne.