Mio figlio ha visto un porno

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Che sarà mai. Succede, è normale, è l’età, sono ragazzi. Un pizzico di Ubalda, due tette, qualche culo, un paio di respiri da asmatico e quattro spinte dopo è finita. Ed è pronta la cena.

Mio figlio ha visto un porno. Non sappiamo bene quando dove o con chi. Ma il vero problema è che non sappiamo che cosa ha visto. Se pensiamo che sia sesso, quello che i ragazzi possono trovare on line digitando quattro parole sul cellulare, siamo fuori strada. E quel che è più grave, lo sono anche loro.

Non è sesso. È quasi sempre violenza mascherata da sesso. È un susseguirsi di abusi, di violazioni del corpo femminile in cui il consenso è poco più di uno sguardo in macchina. Sono stupri mascherati, la fiera di un piacere maschile malato e perverso, che si nutre di sopraffazione e di corpi vuoti e rubati. Non è proibito, è illegale. Alcuni di quei video sono la messa in scena più o meno artefatta degli articoli che leggiamo sui giornali e delle violenze che ci fanno orrore. Una visione del maschile fondata sul potere, sull’abuso, sul furto, in cui il piacere femminile non esiste e non è contemplato, se non in qualche pallida imitazione a uso e consumo di quello maschile.

Forse non sapremo mai a che età l’hanno visto le nostre figlie e i nostri figli, ma sappiamo da che età erano in grado di vederlo. Basta controllare la data della prima bolletta del cellulare che abbiamo pagato. I nostri figli preadolescenti hanno accesso a materiale pornografico in meno tempo di quanto ne impieghiamo noi a ordinare la cena online.

E così, mentre ci scandalizziamo per i testi di Sfera Ebbasta e teniamo d’occhio le letture scolastiche come tanti inquisitori e controlliamo religiosamente l’età prima di entrare al cinema o di scegliere una serie su Netflix, i nostri figli e le nostre figlie digitano “scopare” e “troia” sul cellulare con la stessa facilità con cui noi cercavamo “stronzo” sul dizionario di italiano e poi ridacchiavamo. Ma con risultati molto diversi.

“Secondo te è adatta a un dodicenne?”

“No, credo di no. A un certo punto lei si toglie la maglietta e lui le tocca le tette.”

“Peccato. Volevo portarlo al cinema. Altrimenti sta sempre attaccato al cellulare.”

Ci siamo saltati un aggiornamento, forse anche due. Come tutti i genitori, del resto. La buona notizia è che possiamo smettere di piazzare un cuscino in faccia al piccolo di casa quando in televisione un bacio si fa un po’ troppo focoso. Altro che cambiare canale quando i due protagonisti di una commedia romantica si cercano nudi sotto le lenzuola: dovremmo alzare il volume e dire: “Ecco, è questo il sesso. Si fa così, vedete? Guardate bene, state attenti che nei film finisce subito. E a volte anche nella vita vera… Si amano o forse no, ma si rispettano e lo vogliono entrambi. E se hanno un po’ di sale in zucca prenderanno le loro precauzioni. Tutto chiaro o volete rivederlo meglio?”

C’è solo un modo per combattere il lato oscuro di internet e non è tagliare le scene di nudo come tanti censori anni cinquanta: bisogna parlarne, parlarne e parlarne ancora, più che possiamo. Non solo. Bisogna parlarne e mostrarlo. È finita l’epoca dei dizionari, in quella di Youtube se non lo vedi non esiste. Il sesso dovrebbe scomparire fra i criteri di classificazione dei film e delle serie. Abbiamo messo i nostri figli adolescenti al volante di tante Ferrari senza neanche aspettare che avessero la patente. Adesso, almeno, non tappiamo loro gli occhi mentre sono alla guida.

Fai un favore a tuo figlio, regalagli un romanzo d’amore

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A partire dai 12 anni, quasi tutti i ragazzini hanno in mano un cellulare, alcuni anche molto prima. Questo significa, con buona pace dei genitori che fingono di non saperlo, che a partire dai 12 anni praticamente tutti hanno visto un contenuto pornografico. Chiunque abbia fatto una ricerca su Google sa quanto sia facile arrivarci, anche involontariamente. Da lì ai video porno la curiosità è tanta e il passo è breve. E non c’è Safe Search che tenga, purtroppo, se teniamo conto dei cellulari degli amici.

Il problema non è solo che quando penseremo che sia arrivato il momento della storiella delle api e dei fiori, nostro figlio ci chiederà se durante un sessantanove è meglio usare il preservativo oppure no, il problema non è che imparano tutto prima, il problema è che lo imparano nel modo sbagliato.

Non si tratta più di qualche rivista “sconcia” nascosta fra gli asciugamani del bagno, i nostri figli non sognano le conigliette di Playboy, perché dovrebbero accontentarsi di quelle, quando hanno un universo di dettagli anatomici e prodezze sessuali a portata di clic? Ed è così che sul terreno fertile e indifeso di un’immaginazione sessuale ancora tutta da formare, arrivano le immagini dei video porno. Un porno che a sua volta è cambiato e non si limita a essere esplicito e godereccio. I video a cui hanno accesso i nostri figli sono infarciti di violenza legittimata da una patina sottilissima di consenso; in quei video il corpo femminile viene abusato, conteso da cinque o sei uomini, sminuito, usato come strumento di castigo, in quei video l’umiliazione e la degradazione sono moneta corrente e vengono spacciate per trasgressione, divertimento ed eccitazione. Le situazioni che si sono trovati davanti i 28 miliardi di visitatori annui nel mondo (e questo solo per la piattaforma Pornhub, che rende noti i suoi dati ogni anno) in molti casi non erano dissimili da quelle che ci indignano quando le leggiamo sui giornali. Non c’era stupro, certo, ed è una differenza non da poco, ma questo non ha impedito a quei video di cementare la cultura dello stupro e renderla sempre più radicata e inattaccabile. Le cifre lo dicono meglio di qualunque post: nel 2017 le ricerche su Pornhub sono state 800 al secondo, come gli hamburger venduti da tutti i McDonald’s del mondo in un secondo, fa notare la stessa piattaforma.

“In una società senza educazione sessuale, il porno è il tuo libro di istruzioni.” Era il messaggio di un video del Salone erotico di Barcellona, che non ha molto da insegnare in termini di educazione di genere, ma che su un punto è andato a segno. Se cresci pensando che il sesso sia quello che vedi nel porno, cresci anche pensando che una ragazza scollata sia una ragazza che aspetta di essere violata, cresci pensando che se una donna non grida aiuto non si tratta di stupro, e che il rispetto sia da riservarsi per l’amore e abbia poco a che vedere con il sesso.

Serve un’educazione sessuale che compensi i vuoti in cui prolifera il porno e ne limiti i danni. Serve un porno femminile più diffuso, probabilmente, che proponga una visione diversa del sesso. I dati forniti da Pornhub per il 2017 rivelano che le donne che hanno usato il sito in Italia sono state il 23 per cento, nel mondo il 26 per cento. Un quarto degli utenti, quindi.

E le altre? Dove vanno le donne quando hanno voglia di esplorare il piacere, anche sessuale? La risposta arriva dal successo delle Cinquanta sfumature, probabilmente. Vanno in libreria, o in edicola. Leggono erotici. E leggono rosa. Per anni, soprattutto prima di internet, il rosa è stato il luogo in cui le donne andavano alla ricerca dell’educazione sentimentale e sessuale che non trovavano altrove. Era il posto in cui confrontarsi, in cui misurare le proprie emozioni, trovare conferme, rispecchiarsi, capire la propria sessualità e sentirla meno estranea. Era il posto in cui affrontare problemi tipicamente femminili che altrove venivano banditi, in cui esplorare la propria intimità, in cui i desideri e le paure venivano declinati finalmente al femminile. Non senza zone oscure, a sua volta, nei confini talvolta troppo labili fra passione e autorità, fra innamoramento e sottomissione.

Quando si parla di genere e letteratura, l’accento cade sempre su argomenti sacrosanti come il diritto delle donne a leggere e scrivere quello che vogliono. Un tempo, al termine di una cena in una nobile dimora, le donne si spostavano nel salottino rosa a chiacchierare di frivolezze come gli abiti e l’amore, e gli uomini invece migravano nel salottino blu a discutere di argomenti seri come i sigari e la guerra. Le lotte femministe sono riuscite almeno in parte a portare le donne nel salottino blu, a dimostrare che anche noi siamo in grado di parlare di argomenti seri e che quegli argomenti ci interessano, tanto quanto agli uomini. E lo stesso è successo nel mondo della letteratura, convincendo sia pure faticosamente gli amanti del giallo, per esempio, che esistono scrittrici più che valide che si cimentano in quel genere.

Quello che il femminismo non è ancora riuscito a fare, invece, è stato portare gli uomini nel salottino rosa. E non ci può essere una vittoria all’orizzonte, non si arriverà mai alla radice delle diseguaglianze di genere, finché questo non succederà, anche in letteratura. Finché gli uomini non si convinceranno che non esistono i “problemi” e i “problemi femminili”, finché non la smetteremo di essere una sottocategoria dell’umanità, finché quello che ci riguarda, che non succede solo nel salottino rosa, ma anche lì, non riguarderà tutti, uomini compresi. E quale momento migliore di questo, per farlo? Quale momento migliore per cercare di portare gli uomini nel “salottino rosa” di questo, in cui i ragazzi rischiano di diventare tasselli inconsapevoli di una cultura dello stupro sempre più pervasiva e dominante? Quale momento migliore per cercare di riscrivere la sessualità anche in questo modo, convincendoli a sbirciare nel rosa, fra le pagine delle storie d’amore?

Dopo aver usato tante energie per convincere le donne che non hanno bisogno di un principe azzurro, (travisando almeno in parte il messaggio delle favole e delle storie d’amore, che in realtà insegnano a sognare e a combattere per quel che si vuole, a sconfiggere i propri sensi di colpa e le proprie paure), perché non proviamo a usarne altrettante per convincere gli uomini a fare loro un passo in più e a spostarsi nel salottino rosa, per conoscere il sesso e l’amore da un punto di vista diverso e smettere di considerare quel punto di vista esclusivamente femminile? Perché non approfittare degli strumenti offerti dal genere letterario più venduto, per combattere un immaginario sessuale pericolosamente infarcito di violenza e abusi, che si riflette sempre più spesso nelle dinamiche sentimentali e di coppia? Per disegnare un mondo in cui ciascuno sia finalmente libero di andare nel salottino che gli pare, sulla base degli argomenti che vi si discutono e non del sesso di chi lo frequenta.

Approfittiamo dei romanzi d’amore, allora, soprattutto adesso che sono più consapevoli e femministi, popolati da donne forti, intelligenti e decise, non da donzelle svenevoli e lamentose. Difendiamo i romanzi d’amore ben scritti, sdoganiamoli, facciamo un favore a tutti e regaliamoli, soprattutto ai maschi.

Leggere sul cellulare può salvare le storie?

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«Ho ricominciato a leggere, erano anni che non leggevo più.»

«Davvero? Che bello!»

«Sì, non avevo mai tempo. Non che adesso ne abbia, eh?»

Sento odore di Sindrome dello Strofinaccio lontano un chilometro. E la mia amica, devo dirlo, ne è affetta in modo grave. Ha una figlia ormai grandicella, una casa fin troppo pulita, un lavoro part time e l’incapacità cronica di ritagliarsi tempo per se stessa senza sentirsi in colpa. Piuttosto va a fare la spesa, cucina per la settimana dopo, toglie una polvere inesistente o stira le lenzuola (segno che la Sindrome dello Strofinaccio è nella fase acuta, secondo me).

«E allora quando leggi?» le chiedo.

«Mentre cucino. Sul cellulare. Guarda.»

Mi mostra la sua biblioteca sullo schermo del cellulare e devo ammetterlo, per un attimo mi irrigidisco. Eh, no, dice una parte di me, così non vale, così si perde tutta la magia, e poi guarda che schermo minuscolo, come si fa a leggere così, così non è mica un piacere…

Poi però vedo come si illumina mentre mi mostra il suo piacere proibito e tutti i titoli sul suo cellulare. Perché sì, per la mia amica la lettura è – e forse sarà sempre – un piacere proibito. Non è quello che le hanno insegnato, non rientra fra i compiti della brava donna di casa. Uscita di casa giovanissima, con un rapporto precario con i genitori, con cui ha interrotto in pratica ogni rapporto nonostante vivano a due passi da lei, la mia amica si porta dentro più sensi di colpa di quanti ne restino sull’inginocchiatoio di un confessionale. E il suo modo per affrontarli o almeno conviverci è ammazzarsi di fatica. O convincersi di farlo. Convincere se stessa e il mondo di essere esausta e di non aver dedicato neanche un minuto a se stessa. La lettura non è contemplata nel suo stile di vita. La lettura è per le donne oziose e un po’ supponenti, per chi ha tempo per guardarsi dentro e rinchiudersi dentro di sé dimenticandosi del resto. Mica come la televisione, che ti distrae. No, la lettura è uno specchio, e come ogni specchio che si rispetti, è simbolo di egocentrismo e vanità e tempo da perdere.

Leggere sul cellulare rende tutto diverso. Guardare lo schermo del cellulare nella sua visione delle cose è concesso, e il fatto che la lettura sia un po’ meno piacevole, che ci si debba sforzare per leggere, che non sia soltanto un piacere, lo rende accettabile. Farlo mentre si cucina, poi, scaccia ogni dubbio rimasto. Forse arriverà il giorno in cui anche lei metterà da parte il cellulare e le verrà voglia di entrare in libreria o almeno di passare a un ereader, ma per ora va bene così.

E mentre parlavamo, dopo aver messo a tacere con qualche gomitata la parte di me che continuava ad arricciare il naso infastidita, ho pensato che forse è proprio questa la strada per conquistare nuovi lettori e salvare la lettura. Che il cellulare può diventare un grande alleato e che le storie troveranno sempre e comunque il modo di arrivare al lettore, anche da uno schermo minuscolo e con un’impaginazione che ai grafici editoriali farebbe venire l’orticaria, probabilmente.

In fondo, che importanza ha, se al posto del profumo della carta la mia amica sente quello dei cannelloni, al momento di leggere? La luce nei suoi occhi mentre mi raccontava dell’ultimo libro che ha iniziato (stavo per mettere le virgolette a libro, eh, ma mi sono trattenuta), il suo ritrovato amore per le storie e anche e soprattutto per se stessa e per i momenti “rubati” agli altri (qui sì, le virgolette ci volevano) e dedicati a ritrovare la persona nascosta dietro tanti compiti e doveri e sensi di colpa, è questo l’importante, e non c’è profumo della carta che regga.

Ripartiamo dai lettori, non dai libri, se vogliamo che le storie continuino a vivere. Perché sono le storie che contano, non gli scrittori, non i libri e non gli editori. Le storie e chi le ascolta, le interpreta, le guarda, le legge e poi le trasmette ad altri. Saranno le storie a salvarci, non i libri e non la carta. Le storie e la loro capacità unica di restituirci a noi stessi, di permetterci di ritrovarci, finalmente, nel riflesso di un mondo nuovo e diverso da noi.