Dove c’è donna c’è casa

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“Comincia!” urlavamo in famiglia quando finiva la pubblicità e il film ricominciava. E il membro della famiglia di turno tornava di corsa in sala.

“Finisce!” potremmo urlare in coro quando inizia la pubblicità. Finisce la speranza di esserci lasciati alle spalle gli stereotipi di genere; finisce l’illusione di poter decidere della nostra vita senza rendere conto ai bisogni altrui; finisce la tregua nell’eterna battaglia contro i sensi di colpa.

Finisce tutto davanti al sorriso angelico della super mamma che in abiti pudici e impeccabili con una mano tira fuori l’arrosto e con l’altra toglie macchie impossibili. La mamma armata di integratori e microfibra nell’eterna lotta contro nemici terrificanti come i germi, i batteri, gli aloni e l’inettitudine del marito. La mamma che sta in casa, sempre in casa, solo in casa, tranne quando il dovere la chiama e corre al parco giochi a passo di pinguino per distribuire merendine leggere e nutrienti e vigilare sulla percentuale di fango addosso alla prole, a bordo di una maccchina facile facile, che può guidare perfino lei. La fidanzata che davanti a un dito che indica romantico la luna riesce a vedere solo l’impronta digitale sulla finestra. La donna che se soffre è perché se l’è voluta, altrimenti si prenderebbe una bella pastiglia e continuerebbe ad ammazzarsi di fatica senza fare tante storie.

Ogni tanto però arriva anche lui. Il padre. Il nostro eroe, che affronta le lavatrici con lo spirito con cui qualcun altro – una donna, probabilmente – affronterebbe la teoria quantistica dei campi, e che infila una pizza surgelata in forno con un talento degno di Masterchef, fra applausi e lodi sperticate.

Che cosa ci vorrà mai, vien da pensare, per essere felici quando sei donna? Un assorbente con cui saltellare nei pantaloni bianchi, un figlio a prova di macchia e olio di palma, un marito a cui spalmare l’unguento balsamico e un integratore che ci permetta di non schiattare nell’intento senza perderci in cose superflue come il tempo per noi stesse.

Dove c’è donna, c’è casa. Dove non c’è una donna, c’è una casa lasciata a se stessa, una famiglia allo sbando, vestiti macchiati e bambini cresciuti a pane e conservanti.  Ci siamo abituati, le critichiamo da sempre e loro sono sempre lì, fedeli a se stesse. Non sono solo pubblicità. Sono il modo in cui il mondo ci ricorda quali dovrebbero essere i nostri compiti, sono l’unità di misura dei nostri sensi di colpa. Sono l’orizzonte dei nostri sogni e dei nostri desideri, un orizzonte che corre spietato lungo la linea delle necessità familiari e del superamento delle nostre umane possibilità.  Sono lo specchio di un mondo che ha imprigionato la nostra felicità fra i bisogni altrui.

(Grazie come sempre alla pagina Facebook di Rosapercaso, per il post collettivo da cui ho preso gli esempi citati.)