Leggere sul cellulare può salvare le storie?

break-2297835_960_720

«Ho ricominciato a leggere, erano anni che non leggevo più.»

«Davvero? Che bello!»

«Sì, non avevo mai tempo. Non che adesso ne abbia, eh?»

Sento odore di Sindrome dello Strofinaccio lontano un chilometro. E la mia amica, devo dirlo, ne è affetta in modo grave. Ha una figlia ormai grandicella, una casa fin troppo pulita, un lavoro part time e l’incapacità cronica di ritagliarsi tempo per se stessa senza sentirsi in colpa. Piuttosto va a fare la spesa, cucina per la settimana dopo, toglie una polvere inesistente o stira le lenzuola (segno che la Sindrome dello Strofinaccio è nella fase acuta, secondo me).

«E allora quando leggi?» le chiedo.

«Mentre cucino. Sul cellulare. Guarda.»

Mi mostra la sua biblioteca sullo schermo del cellulare e devo ammetterlo, per un attimo mi irrigidisco. Eh, no, dice una parte di me, così non vale, così si perde tutta la magia, e poi guarda che schermo minuscolo, come si fa a leggere così, così non è mica un piacere…

Poi però vedo come si illumina mentre mi mostra il suo piacere proibito e tutti i titoli sul suo cellulare. Perché sì, per la mia amica la lettura è – e forse sarà sempre – un piacere proibito. Non è quello che le hanno insegnato, non rientra fra i compiti della brava donna di casa. Uscita di casa giovanissima, con un rapporto precario con i genitori, con cui ha interrotto in pratica ogni rapporto nonostante vivano a due passi da lei, la mia amica si porta dentro più sensi di colpa di quanti ne restino sull’inginocchiatoio di un confessionale. E il suo modo per affrontarli o almeno conviverci è ammazzarsi di fatica. O convincersi di farlo. Convincere se stessa e il mondo di essere esausta e di non aver dedicato neanche un minuto a se stessa. La lettura non è contemplata nel suo stile di vita. La lettura è per le donne oziose e un po’ supponenti, per chi ha tempo per guardarsi dentro e rinchiudersi dentro di sé dimenticandosi del resto. Mica come la televisione, che ti distrae. No, la lettura è uno specchio, e come ogni specchio che si rispetti, è simbolo di egocentrismo e vanità e tempo da perdere.

Leggere sul cellulare rende tutto diverso. Guardare lo schermo del cellulare nella sua visione delle cose è concesso, e il fatto che la lettura sia un po’ meno piacevole, che ci si debba sforzare per leggere, che non sia soltanto un piacere, lo rende accettabile. Farlo mentre si cucina, poi, scaccia ogni dubbio rimasto. Forse arriverà il giorno in cui anche lei metterà da parte il cellulare e le verrà voglia di entrare in libreria o almeno di passare a un ereader, ma per ora va bene così.

E mentre parlavamo, dopo aver messo a tacere con qualche gomitata la parte di me che continuava ad arricciare il naso infastidita, ho pensato che forse è proprio questa la strada per conquistare nuovi lettori e salvare la lettura. Che il cellulare può diventare un grande alleato e che le storie troveranno sempre e comunque il modo di arrivare al lettore, anche da uno schermo minuscolo e con un’impaginazione che ai grafici editoriali farebbe venire l’orticaria, probabilmente.

In fondo, che importanza ha, se al posto del profumo della carta la mia amica sente quello dei cannelloni, al momento di leggere? La luce nei suoi occhi mentre mi raccontava dell’ultimo libro che ha iniziato (stavo per mettere le virgolette a libro, eh, ma mi sono trattenuta), il suo ritrovato amore per le storie e anche e soprattutto per se stessa e per i momenti “rubati” agli altri (qui sì, le virgolette ci volevano) e dedicati a ritrovare la persona nascosta dietro tanti compiti e doveri e sensi di colpa, è questo l’importante, e non c’è profumo della carta che regga.

Ripartiamo dai lettori, non dai libri, se vogliamo che le storie continuino a vivere. Perché sono le storie che contano, non gli scrittori, non i libri e non gli editori. Le storie e chi le ascolta, le interpreta, le guarda, le legge e poi le trasmette ad altri. Saranno le storie a salvarci, non i libri e non la carta. Le storie e la loro capacità unica di restituirci a noi stessi, di permetterci di ritrovarci, finalmente, nel riflesso di un mondo nuovo e diverso da noi.

La misura della lettura

la_misura_della_felicita

«Sai qual è il vero problema con gli e-reader?»

«Ho la sensazione che stai per rivelarmelo», borbotta Amelia, senza alzare lo sguardo dal suo  libro cartaceo.

«Tutti pensano di avere buon gusto, ma la maggior parte della gente non ce l’ha. Direi anzi che la maggioranza ha gusti pessimi. Se lasciata a se stessa, sola col suo aggeggio, legge porcherie e non se ne accorge neppure.»

«Sai qual è il bello degli e-reader?» chiede Amelia.

«No, mia cara signora-lato-positivo, e non voglio saperlo.»

«Be’, per quelle di noi i cui mariti stanno diventando ipermetropi, e non faccio nomi; per quelle di noi i cui mariti stanno raggiungendo la mezz’età e stanno perdendo la vista; per quelle di noi i cui mariti sono individui patetici…»

«Vieni al punto, Amy!»

«Un e-reader permette alle sfortunate creature di cui sopra d’ingrandire il testo quanto vogliono.»

Gabrielle Zevin, La misura della felicità, Nord, 2014.

Confessioni di una lettrice sedotta e abbandonata dal Kindle

Foto Toto @ Matinino (CC)

Buongiorno, mi chiamo Mara e non tocco un Kindle da almeno un anno. Ebbene sì. L’ho detto. Il mio Kindle giace inutilizzato e, inutile dirlo, scarico, da mesi. È sempre lì, sul comodino, ma non ricordo più neanche quando è stata l’ultima volta che l’ho acceso. E sapete qual è la parte peggiore? Che non ho voglia di farlo. Nonostante, ovviamente, continui compulsivamente a comprare ebook in offerta.

Qualche spiegazione ho provato (o hanno provato) a darmela, ed erano tutte molto sensate: il cartaceo è più riposante, è meno stressante, ti libera dall’ansia del multitasking costante, ti senti più coccolata, ecc. Ma nessuno di questi motivi mi convinceva del tutto. E non sopportavo l’idea di dover ragione a quegli insopportabili gufi un po’ snob che profetizzano la scomparsa improvvisa del ditigale. Io ho sempre creduto negli ebook e negli scenari aperti dal nuovo mercato editoriale, e continuo a crederci. (Oltre al fatto che se non leggessi più in digitale avrei perso ogni possibilità di rileggere anche i miei, di libri.)

Ogni volta che pensavo di riprendere in mano il Kindle, però, finivo sempre con lo storcere il naso e cercavo un libro cartaceo. Altro che una pausa salutare o una fase di crisi di quelle che nelle coppie prima o poi arrivano sempre, la mia sembrava una situazione senza uscita. Finché non sono successe due cose.

La prima è che mi sono decisa a usare Whatsapp. Che cosa c’entra? mi chiederete voi. C’entra. Perché usando Whatsapp ho anche scoperto che tutto diventava improvvisamente meno impegnativo. Le foto che scattavo non dovevano necessariamente essere belle. I messaggi che scrivevo non dovevano necessariamente avere un’ortografia accettabile (confesso di avere fatto stragi di maiuscole, accenti e punti alla fine della frase per cui fino a qualche mese fa avrei gridato allo scandalo).

Il digitale è poco impegnativo, provvisorio, approssimativo, perché i suoi canoni e i suoi parametri sono altrove. Su Spotify credo di non essere quasi mai riuscita ad arrivare alla fine di una canzone. Quando leggo le mail sono diventata così rapida che mi perdo quasi sempre per strada la metà del messaggio. Se mi dovessi scattare un selfie (cosa a cui per ora non sono ancora arrivata, ma chi può dirlo), non andrei prima dal parrucchiere. Qualche giorno fa in aereo una ragazza davanti a me si è scattata una foto su Whatsapp mentre digitava alla velocità della luce per avvertire che era appena atterrata. Una foto seria e per niente emotiva, più dalle parti delle impronte digitali (sì, sono davvero io!) che da quelle di un emoticon. Una foto che per significato e funzioni non aveva quasi nulla a che spartire con le foto come le avevo conosciute io fino a poco prima.

Con i libri però il provvisorio e l’approssimativo non funzionano. Con i libri vogliamo l’impegno. Reciproco. E ai primi tempi con il Kindle l’avevo trovato. Avevo la sensazione che ci stessimo impegnando entrambi a cambiare le cose. Lui mi veniva incontro con prezzi e modalità di acquisto più vantaggiosi e io gli andavo incontro rinunciando al piacere di sfogliare le pagine e di avere davanti una copertina, per investire a modo mio sul futuro del digitale. E che cosa c’è di più impegnativo che andarsi incontro a vicenda e investire su un futuro in comune?

La seconda cosa che mi è successa è che ho letto il post in cui Craig Mod spiega come a lui sia accaduto qualcosa di simile e in cui critica il digitale sostenendo che è rimasto, fra le altre cose, chiuso su se stesso, senza aprirsi al lettore o alla rete di lettori. È stato un po’ come se un’amica avesse appena criticato un’abitudine insopportabile del mio fidanzato che io credevo di dover mandar giù senza fiatare.

In quest’ultimo anno, se non prima, il Kindle ha smesso di venirmi incontro. Se ne è rimasto lì, identico a se stesso, senza rinnovarsi, senza scommettere davvero sul digitale, senza rischiare, senza offrirmi almeno un decimo di quello che mi offrivano nel frattempo gli altri dispositivi.

Ecco perché non ho più voglia di prenderlo in mano. Perché mi sento tradita, perché mi ha costretta a cambiare, a rivoluzionare tutte le mie abitudini di lettura e poi se ne è rimasto lì, ingrigito e rigido come un vecchio brontolone, con tutte le sue regole del cavolo sulla condivisione dei file e il prestito e i suoi DRM e una sfilza di divieti che neanche mia nonna, altro che gioventù ribelle e pronta a rischiare.

Quando lo prendo in mano, il Kindle ha il sapore un po’ malinconico e amaro di una scommessa persa per pigrizia, di una rivoluzione lasciata a metà perché c’erano da fare i conti in cassa, di una dichiarazione d’amore tradita dalla distrazione.

Perché io lo sapevo che il Kindle in realtà mi considerava solo una consumatrice come tutte le altre, ma ho sempre fatto finta che mi considerasse anche una lettrice speciale, finché lui ha smesso di ascoltarmi e di starmi al passo ed è rimasto indietro. Non è ringiovanito. È rimasto vecchio. Non è cresciuto insieme al mio modo di leggere digitale. Non ha ascoltato le mie esigenze. Non mi ha più lusingata, blandita, coccolata come faceva all’inizio. Io ho tollerato i suoi difetti (come quelle note impossibili da prendere, un dizionario così scomodo da usare che fai prima con il cartaceo, i pdf da leggere con la lente di ingrandimento, le pagine tutte sballate) nella convinzione che prima o poi sarebbe cambiato. E invece, si sa, poche convinzioni hanno fatto affondare tante coppie come questa.

Il Kindle, insomma, mi ha trascurata. E c’è un po’ di livore adesso nel mio rifiuto a prenderlo in mano e a riaccenderlo. Un po’ di sano risentimento. Sei sicura che se lo meriti? mi sussurra una vocina ogni volta che sto per caricarlo. E alla fine decido sempre di no. Perché non è facile perdonare chi ti costringe a cambiare e poi resta ostinatamente identico a se stesso.

Ma come spesso accade nelle coppie, mentre gli volto le spalle non desidero altro che scoprire che mi sto sbagliando. E che da un momento all’altro riceverò una dichiarazione d’amore così magnificamente fasulla e impostora da convincermi a perdonargli tutti i suoi sbagli e a scommettere di nuovo sul nostro futuro insieme.

Ebook, il futuro è social

zeromsi pixabay

Il primo sbaglio è stato farla sembrare una guerra, fra cartaceo e digitale. Non lo è e non lo è mai stata. Il digitale non ha mai guardato con aria minacciosa il cartaceo annunciandogli che aveva i giorni contati. Gli ha dato una spintarella, al massimo, un fatti più in là, ora raccontiamo in due. Nient’altro. Digitale e cartaceo possono e devono convivere.

Il secondo sbaglio è stato insistere che “un libro è un libro” quando digitale e cartaceo sono diversi, si prestano a situazioni di lettura diverse, hanno dinamiche d’acquisto diverse e devono avere prezzi completamente diversi. Il supporto conta, ha sempre contato, dall’invenzione della stampa in poi, e ha sempre portato a un’evoluzione dei contenuti.

Il terzo sbaglio discende direttamente dal secondo ed è insistere che il digitale debba diventare sempre più interattivo, colorato, animato, sempre più app e sempre meno libro. Non sono d’accordo. I libri interattivi sono uno dei tanti figli del digitale, ma assomigliano più ai giochi di ruolo che alla narrativa e sono destinati, secondo me, a restare una cosa a sé. Alcuni dati recenti mettono in luce che la fetta più grande del digitale se l’è accaparrata l’editoria indipendente, che per la maggior parte è formata da autori che la scelgono come alternativa agli editori tradizionali, ma vogliono comunque un prodotto che assomigli il più possibile ai loro. Non a un gioco di ruolo, che richiederebbe oltretutto competenze e figure professionali completamente diverse.

Eppure è evidente che il digitale è destinato a cambiare, che sta attraversando una fase di passaggio, ancora costola del cartaceo e tentatore solo a metà. Ma che futuro lo aspetta?

La pubblicità a piè di pagina? Gli abbonamenti? La versione letteraria di Ryanair (che ho descritto qui)?

No, sono pronta a scommettere di no. Il rapporto fra lettore e libro è troppo prezioso e fragile. C’è solo un caso in cui siamo disposti a fare eccezione, quando l’intruso ha letto o sta leggendo lo stesso libro che stiamo leggendo o abbiamo letto noi. La longevità e l’affollamento dei gruppi nati sui social con questo scopo sono lì a dimostrarlo. C’è solo una cosa più bella della lettura, è leggere insieme, commentare, confrontarsi, tornare a rivivere le pagine amate attraverso lo sguardo altrui.

Ecco allora come immagino – e come vorrei – il futuro degli ebook: come una sorta di club del libro in diretta. Un po’ ereader, un po’ Goodreads, un po’ store, tutto in uno. Dove se voglio me ne sto per i fatti miei, se sono curiosa sbircio le evidenziazioni altrui e le loro note, se voglio lasciare traccia della mia lettura aggiungo un commento, e magari posso anche chattare alla fine di un capitolo o del libro, trovare recensioni autorevoli e altre meno autorevoli, farmi consigliare la lettura successiva, chiedere in diretta a un lettore inglese com’era in originale una certa frase.

Un digitale sempre meno freddo e solitario, senza profumo e senza peso, d’accordo, ma in grado di raccogliere intorno alle pagine di un libro la comunità dei suoi lettori, anche quando è sparsa ai quattro angoli del globo. L’equivalente digitale dei foglietti e delle storie di vita nascoste fra le pagine dei libri, tanto amati dalla libraia di Il libro dei ricordi perduti.

Un digitale sempre più social, insomma, e sempre meno cartaceo.

Ebook: è cambiato tutto perché non cambiasse niente?

Foto di Des Byrne
Foto di Des Byrne

Una mia conoscente da un po’ fa avanti e indietro fra un marito affidabile e noiosetto e un amante un po’ volgare e molto più giovane di lei. L’altro giorno la incontro e mi dice che è andata a ballare da sola. «Come da sola?» le ho chiesto stupita. «Da sola» mi ha risposto. «Con tutti gli uomini che ho. Perché non ce n’è, che siano zucche o peperoni, dopo un po’ diventano tutti uguali.»

Il commento mi è tornato in mente qualche giorno dopo mentre guardavo la classifica di Amazon dei romanzi rosa. Me la sono letta tutta, dalla prima alla centesima posizione, e continuavo a pensare: «Ma questa è l’edicola. L’edicola del digitale, ma pur sempre l’edicola. È tornato tutto come prima». C’erano gli Harmony di sempre, una sfilza di romanzi senza troppe pretese, qualche chicca inaspettata e qualche classico, capitato lì più per caso che per fortuna, proprio come una volta li si trovava in allegato al quotidiano.

Possibile? Davvero è cambiato tutto perché non cambiasse niente?

La rivoluzione del digitale, tanto gridare alla democrazia, al diritto di pubblicare, leggere a poco, sfondare limiti e pregiudizi, e tutto per ritrovarsi davanti un’altra versione della dicotomia scaffale/edicola?

Non starò qui a indagare le cause, non ne ho le competenze, ma se dovessi tirare a indovinare direi che è il risultato più logico di una politica di vendita che ha scimmiottato il cartaceo, con prezzi assurdamente alti per i titoli “da libreria”, offerte random e un abbassamento altrettanto assurdo dei prezzi sul fronte del self publishing e dell’Unlimited. Tanto che a farne le spese, almeno in termini di classifica, sono proprio le case editrici che nel digitale ci hanno creduto davvero e che l’hanno proposto e venduto come tale, con prezzi non bassissimi e non altissimi, quasi mai superiori ai 5 euro, e scelte editoriali innovative e anche rischiose.

Ma il futuro? Che cosa ci riserva?

La prossima volta che incrocio la mia amica sono curiosa di scoprire se alla fine ha optato per la versione più conosciuta e rassicurante o per quella più azzardata e meno elegante dell’universo maschile. Chissà mai che non ne tragga indicazioni preziose per il futuro del digitale. Prometto di tenervi aggiornati.

Nel frattempo, potremmo cominciare con lo smettere di dire che un libro è un libro e che digitale e cartaceo sono uguali. Non lo sono e non lo saranno mai e possono essere valorizzati solo a partire dalle rispettive differenze.

E sono pronta a scommettere che la mia amica, che non ha alcuna difficoltà a far convivere i due formati e legge in cartaceo in pubblico e in digitale in camera da letto, col cavolo che li trova uguali.

Anche se le raccontano sempre la stessa storia.

La classifica bussa sempre due volte

I_want_you

Ammettiamolo, la classifica degli ebook è diventata un po’ come il cestello dei cd a 1 euro, che trabocca di compilation di lambada e dei primi successi dei Ricchi e poveri. Qualche chicca la si trova, non dico di no, ma per lo più il panorama è sconfortante.

Lo diceva Stefano Tettamanti più di un anno fa: da strumento per leggere la realtà, le classifiche sono diventate uno strumento di vendita (lui però lo diceva molto meglio, qui). Ora dalla vendita siamo passati alla svendita. Soprattutto nella classifica dei rosa

Tanto per spazzare via ogni dubbio, se vi state chiedendo (e lo so che ve lo state chiedendo) se sono invidiosa degli autori in testa alle classifiche, certo che sono invidiosa. A chi non piacerebbe? Non ho forse provveduto a spammare ovunque lo screenshot le poche volte che ci sono arrivata, neanche fosse stato un selfie con Umberto Eco? Ma altrettanto sinceramente vi dirò che inizio a chiedermi se sia davvero un bene, stare lassù, fra emeriti sconosciuti, romanzi sgrammaticati e dai meriti discutibili, titoli a 0,99 e la calca dell’unlimited che scusatemi tanto, non per essere poco ospitale, ma dovrebbe stare altrove.

Insomma, aveva ragione Stefano Tettamanti: le classifiche di vendita andrebbero abolite, soprattutto quelle relative al digitale. E già che ci siamo si potrebbero abolire anche quelle terribili recensioni che non scendono sotto le quattro stelline neanche per le storie illeggibili, perché ormai è risaputo che si rischia il linciaggio (infatti se ne è beccate due praticamente solo Anna Karenina, probabilmente contando sul fatto che Tolstoj non ha un grande seguito sui social).

Ma non temete. La classifica di vendita come la conosciamo ha davvero vita breve. Infatti sta per essere sostituita:

– dalle classifiche personalizzate. Nell’epoca della customization, dell’unico libro per te, del nome sulla Nutella (sì, lo so, sono fissata), non vorremo mica avere tutti la stessa classifica, no? Vuoi non avere una classifica dedicata, con i libri che tu ancora non lo sai ma desideri follemente leggere, comodamente ordinati in ordine di vendite (non sia mai che ti capiti per sbaglio di leggere un libro che non ha venduto un tubo)?

– dalle classifiche-Google. Un po’ come quando basta digitare una parola e Google te la traduce in cinque lingue nel tempo che una volta ci voleva per pensare di aprire il dizionario (con buona pace del pesce scala che trovate sotto). Tipo che digiti “appartamento a Marsiglia” e ti salta fuori un romanzo di Jean-Claude Izzo. O “ricetta arancini” e ti trovi la bibliografia di Camilleri. Anzi, non ci sarà neanche bisogno di digitarlo, vi basterà dare un’occhiata agli articoli per il tennis sul sito di Decathlon e al primo passaggio su uno store vi troverete Open nel carrello della spesa. Comodo, no?

– dalle classifiche-Masterpiece. Il primo talent store in cui i lettori decidono in diretta se lo storytelling è il tuo mestiere, se sei bravo nei monologhi e come te la cavi con la scrittura veloce. In uno scenario ideale non troppo lontano (quando le case editrici saranno considerate alla stregua di mammut saccenti), succederà tutto in diretta: pitching, stesura del testo, pubblicazione, acquisto e recensioni. E tutto nel giro di mezz’ora al massimo, che poi la gente si distrae (date retta al recensore di Anna Karenina con le sue due stelline, che scrive saggiamente: “Sicuramente è un bellissimo libro ma è talmente lungo da leggere che ogni tanto ti prende lo sconforto di non riuscire ad andare avanti!”.)

Insomma, faremmo bene a frugare con attenzione nel cestello a 1 euro, perché fra un po’ ci toglieranno anche quello. Quando proveremo ad avvicinarci, una commessa cortese ma ferma ci dirà che non sono libri adatti a noi e ci piazzerà in mano il nostro cestello a 1 euro personalizzato.

E a quel punto, se ci troviamo dentro gli esordi dei Ricchi e poveri, ci toccherà pure farci qualche domanda.

traduttore

MyEbook

nutella-754483_640

Non mi stupirei se da un giorno all’altro davanti al prezzo degli ebook comparisse il segno meno. Dico davvero. Stanno scendendo così vertiginosamente che ormai non si può parlare neanche più di offerte. Se lo proponi con il 30% di sconto, l’impressione generale è che ci sia ancora un 70% di troppo.

Il mio ebook più caro costa 4,99, ossia all’incirca il prezzo che pago per due spremute fresche. Per un filone di pane al farro. O per due coni gelati. E il paragone non sarebbe dei più lusinghieri MA nessuna delle tre cose sopra citate è digitale. Quindi me ne faccio una ragione. Perfino quando una lettrice dopo aver letto l’estratto gratuito scrive nella recensione che le piacerebbe tanto leggere anche il romanzo, peccato che costi troppo. Roba che uno lo legge e pensa che ci sia da accendere un mutuo. E invece no, sono sempre 4,99.

Fino a ieri ero la prima a sostenere che un ebook dovrebbe costare al massimo 5 euro, anzi, in un panorama ideale, dovresti averlo gratis nel momento in cui compri il cartaceo, per esempio.

Ora non ne sono più così convinta. Inizio a pensare che il digitale dovrebbe adottare la strategia Ryanair. L’ebook è gratis. Ma manca il finale. Se vuoi leggere anche il finale devi pagare. Se vuoi conoscerlo prima degli altri paghi un supplemento e se vuoi leggerlo comodamente in un corpo superiore all’8, devi pagare un altro piccolo supplemento.

Ma si potrebbe inventare anche un supplemento per chi vuole che le pagine si girino da sole, per chi lo vuole retroilluminato, con colonna sonora e perché no, si potrebbe acquistare separatamente anche l’assicurazione che ci sarà il lieto fine e in caso di tragedia imprevista, l’editore si preoccuperà di inviare a proprie spese una scatola di kleenex.

Perché ammettiamolo, per il libro non siamo disposti a spendere, ma per le minchiate* inutili paghiamo tutto quello che c’è da pagare. Che non si dica. Vuoi mica che al mio vicino vibri l’ereader durante le scene in treno e a me no? Accessori idioti, trovate totalmente superflue, personalizzazioni, qualunque stronzata* venga in mente a qualche genio del marketing che ci faccia credere che siamo gli eroi di un mondo che ci si restringe sempre di più intorno, tanto non ce ne accorgiamo perché abbiamo gli occhi incollati al telefono, e poi chi se ne frega se il mondo è piccolo, se sul vasetto della Nutella c’è il mio nome? Mica quello del mio capo. Il mio.

Ecco, con un piccolo extra, diamo anche il vostro nome al protagonista del libro. Ora siete disposti a spenderli, quei 4,99 euro?

* Se volete leggere questo post senza parolacce, potete farlo tranquillamente pagando un piccolo extra.