Come farsi lasciare in dieci post

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Foto mkhmarketing (CC)

1. Tirare fuori a ogni piè sospinto le vecchie fotografie.

2. Ripetergli ogni mattina che “per te è importante”.

3. Ricordargli quello che ti diceva un anno fa.

4. Chiedergli con insistenza dove ha studiato.

5. Obbligarlo a vedere video assurdi fatti da te con le foto più imbarazzanti che abbia mai scattato.

6. Raccontare a tutti i suoi amici che è sano e salvo subito dopo un tifone in Birmania, quando lui era stato lì un mese prima e solo in attesa del volo successivo.

7. Sapere quello che gli piace prima di lui.

8. Ricordargli i compleanni di TUTTI i suoi amici e parenti, compresi quelli che non vede più da decenni.

9. Dirgli che c’è una cyclette in offerta solo perché si è lasciato sfuggire di aver messo su un paio di chili.

10. Chiedergli che cosa sta pensando.

14 frasi che non dirò mai più

Beatrice Murch
Foto Beatrice Murch (CC)

Buoni propositi per il 2016, all’insegna del femminismo rosa e del social, perché ho scritto questo post grazie ai suggerimenti che sono arrivati su Facebook. La strada verso il falò dello strofinaccio è ancora lunga, lo so, ma cominciamo dalle piccole cose, che poi tanto piccole non sono: ecco le frasi che dovremmo smettere di dire (e di pensare!) nell’anno nuovo.

1. Mio marito mi dà una mano in casa.

2. Potresti portare tu i bimbi a scuola stamattina?

3. Che bravo, cambia il pannolino alla piccola.

4. Stasera uscirei, la cena è già pronta.

5. Mi apparecchi la tavola?

6. Non ti preoccupare, faccio prima a farlo che a spiegarlo.

7. I calzini sono nel secondo cassetto.

8. Accendi il forno? Sto arrivando!

9. Scusa, non sono riuscita a passare dal supermercato.

10. Non posso lamentarmi, le camicie se le stira lui.

11. Non preoccuparti, continua pure a guardare la televisione.

12. Come lava i piatti lui, nessuno.

13. No, lui stende sempre la lavatrice, povero.

14. Lascia, faccio io.

Grazie di cuore a Rossella Boriosi, Noemi Bengala, Benedetta Marasco, Loredana Falcone, Laura ZG Costantini, Amneris Di Cesare, Giovanna Barbieri, Alessia Savi, Lidia Calvano, Masella Maria e a tutte le altre persone che hanno arricchito il post con i loro commenti. 

Non è vero, ma ci credo: il prossimo tasto di Facebook

Foto Nicholas Erwin
Foto Nicholas Erwin

Ora che il caro Mark Zukky ha annunciato al mondo l’arrivo del pollice verso, che tutti volevano e che nessuno saprà come usare, è giunta finalmente l’ora di introdurre un’altra icona imprescindibile nell’universo social: Non è vero, ma ci credo. Perfetta per tutte quelle balle clamorose che spargiamo in giro per le bacheche altrui quasi senza più neanche accorgercene. Al punto che secondo me, quando le scriviamo, ci crediamo davvero. Per esempio:

. “Bellissima”, “Sei uno schianto”, “Meravigliosa”. E sopra non c’è mica la foto di Bo Derek. La bellezza è negli occhi di chi guarda, si sa, ma a volte la foto in questione non rende neanche giustizia al soggetto ritratto. Eppure non ce n’è, se siete appena passabili, il giusto, neanche tanto, fioccano complimenti di quelli che il nostro ego ci campa per un anno.

. “Congratulazioni.” “Ho sempre saputo che sarebbe arrivato questo momento.” “Sono felicissima per te.” Roba da discorso della tua migliore amica il giorno del tuo matrimonio. E invece no. Hai appena annunciato di aver vinto il concorso letterario della parrocchia e chi ti risponde ti ha chiesto l’amicizia da un paio di giorni e non ti ha mai vista in faccia. Il successo è social. Si condivide anche quello. Altrimenti che gusto c’è?

. “Sono con te.” “Hai tutte le ragioni del mondo.” “Chi non ti ama non ti merita.” “Fregatene e lascia correre.” Quest’ultima è la mia preferita, come fare a fregarsene e a lasciar correre, quando sotto il post in questione c’è un diluvio di commenti, tutti inneggianti al linciaggio, altro che peace and love o lo zen e l’arte dei social.

Il punto, con tutte queste frottole, è che quando le scriviamo ci crediamo davvero. Fa parte del gioco. No, certo che non è bellissima, ha le occhiaie e sembra che abbia cinque chili di troppo, ma non importa. E no, in realtà non è che ci cambi la vita che Marta, ah, no, Marina, abbia vinto il secondo premio al concorso di poesia del campetto, ma perché non prenderci anche noi un briciolo della sua gioia, già che siamo qui? E anche se non può fregarcene di meno se una perfetta sconosciuta ha litigato con chissà chi, chissà quando e per chissà quale motivo, che cosa c’è di più irresistibile di qualcuno che ha bisogno di essere consolato?

Non importa quello che scriviamo, importa il bisogno di crederci. Ci siamo collegati a caccia di emozioni e non ce ne andremo finché non le avremo trovate. Allora, Zukky, dai, stacci a sentire anche questa volta, aggiungi un altro ditino in posizione scettica e rassegnata.

Ci sentiremmo un po’ tutti come se ci avessi dato finalmente le chiavi di casa. Come utenti maturi, degni della tua fiducia. Mettici alla prova, Zukky, siamo più intelligenti di quello che sembriamo. Ti stupirebbe scoprire quanto. Provare per credere. O non credere.

Sette post che funzionano (quasi) sempre

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Foto Misspixels
  1. Quelli con la vostra foto. Non importa se siete giovani e belli (anche se aiuta). Non importa quanto sono professionali i vostri contatti. Facebook nasce per farsi i fatti altrui e tale rimane. Servite la vostra vita su un post e diventerà d’argento. L’arte, in questi casi, è riuscire a raccontare di sé senza raccontare niente di sé. La community è assicurata.
  2. Quelli polemici. Tutti dicono di odiare le polemiche ed è quasi sempre vero. Ma tutti ci si buttano a pesce. La tentazione è troppo forte. Qui però non c’è arte che tenga. Un post funziona. Il secondo forse anche. Ma al terzo avrete stufato e a seguirvi saranno i pochi che nelle polemiche ci sguazzano davvero. Che di solito non sono una compagnia piacevole.
  3. Quelli autoironici. Il trucco è riuscire a ridere di voi stessi, senza per questo perdere fascino e carisma, anzi, acquistandone nel momento stesso in cui lo fate. Diventare l’eroe dei nerd, dei nevrotici, degli imbranati e degli outsider, ma mai quello dei pessimisti, dei rinunciatari e dei vittimisti. Ci riescono in pochi, ma quelli che ci riescono possono contare su vagonate di like e di gratitudine.
  4. Quelli in cui esprimete ammirazione per qualcuno. Che lo facciate con l’entusiasmo dell’amica o con quello della scoperta, le dimostrazioni di stima su Facebook sono rare e spesso bene accette (oltre che condite da un pizzico di invidia). Ma fatelo solo se pensate davvero quello che scrivete e spiegate perché.
  5. Quelli che richiedono un piccolo sforzo di interpretazione. Quasi sempre sono post in cui il testo dice una cosa e l’immagine un’altra, lasciando un piccolo vuoto di significato che può essere riempito solo nella testa di chi legge e che fa scattare automaticamente il like (“Capito!”), come se fosse il pulsante di un concorrente televisivo. Non è necessario ricorrere a grandi artifici retorici. A volte basta il fattore sorpresa.
  6. Quelli cinici. Sono l’altra faccia dei gattini, risvegliano la piccola carogna che c’è dentro ciascuno di noi. Quando sono intelligenti, originali e misurati, quasi garbati, sono in grado di scatenare piccole rivoluzioni, oltre a essere spassosi. Unica avvertenza, i commenti fanno quasi tutti a gara a chi è più divertente del padrone di casa. E a volte ci riescono.
  7. Quelli in cui chiedete aiuto. Che abbiate bisogno di un consiglio su come cambiare le impostazioni del profilo, di una ricetta, di un rimedio per il mal di piedi o di trovare la borsa per la spiaggia messa via l’inverno prima, è incredibile quante persone cercheranno di risolvere il vostro problema, desiderando sinceramente esservi utili, che vi conoscano o meno, non importa. Certo, c’è il rovescio della medaglia. Se chiedete un rimedio per un problema alle spalle, almeno la metà vi consiglierà un massaggiatore di un’altra città, qualcuno si sbaglierà e vi spiegherà nei dettagli come curare la pelle, qualcun altro insisterà perché prendiate un farmaco anche se avete precisato che volete un rimedio naturale, e probabilmente ne nascerà un’accesa discussione sull’efficacia dei rimedi naturali. Ma con un po’ di fortuna arriverà anche il rimedio giusto e male che vada ci si sentirà un po’ meno soli.
  8. Quelli fortunati. Che non rispettano nessuna regola, sembrano votati all’insuccesso, troppo colti, troppo banali, troppo di parte, troppo sentimentali, e invece, per qualche ragione misteriosa, fanno scattare una sintonia immediata con chi ci legge, una prossimità inspiegabile, un’affinità destinata a durare il tempo di una condivisione, ma sincera. Ecco, forse la chiave è proprio quella, la sincerità. E in quei casi, per quanto rari siano, pensiamo sollevati che forse è valsa davvero la pena di sprecarci tante ore, su questi benedetti social.

Il social è rosa

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“Tanti auguri! Perché non ti regali un ebook? Ovviamente sto parlando di un bellissimo libro… il mio! Ne vuoi sapere di più?” (messaggio privato)

“Io mi sto leggendo, e voi?” (in bacheca, con foto dell’autore del post intento a leggere il proprio libro e una cinquantina di tag)

“Ciao! Ho appena scritto un libro e sono sicuro che ti interesserà, è proprio il tuo genere!” (messaggio privato)

Vediamo se indovinate che cos’hanno in comune questi tre messaggi… Sono stati tutti e tre scritti da uomini! È una costante, ormai verificata: se qualcuno ti piazza il suo libro in bacheca o fa avance letterarie in privato, 9,99 volte su 10 è un uomo.

Non sto dicendo che le donne non facciano spam, ci mancherebbe, lo fanno eccome, ma in tutt’altro modo. Le donne si intrufolano nei commenti ai post altrui, si autoinvitano in decine di gruppi, copertina del romanzo in bella vista, si autocitano. Ma si consigliano a vicenda, anche. Si aiutano. Si fanno promozione. Sono inarrestabili, certo, ma collaborative. Fanno rete, appunto.

Gli uomini no. Gli uomini quando devono parlare di sé invadono gli spazi altrui, e più sono privati più sembrano ringalluzzirsi. Sono pronta a scommettere che siano davvero convinti che io debba leggere il loro libro, che non possa farne a meno, che è impossibile che non finisca per amare follemente la loro scrittura.

Per quanto sembri assurdo, in questa parodia del rapporto amoroso ho trovato le chiavi di lettura di alcune degenerazioni dei comportamenti di coppia. La ferocia degli uomini respinti, gli abusi, la tracotanza. I palpeggiamenti in autobus non sono poi molto diversi da una foto di se stessi leggendo il proprio libro sbattuta nella mia bacheca. Il principio di fondo è molto simile: prendilo, lo so che ti piace, bellezza.

Ovviamente non tutti gli uomini sui social sono così, anzi, grazie al blog, curiosamente (considerato che è un blog femminista, sui generis, certo, ma pur sempre femminista), ne ho conosciuti di molto interessanti, collaborativi, oltre che intelligenti e cortesi. Una rarità, però, sui social, va detto.

In un post sul blog di Emma Books intitolato Il rosa è conservatore o progressista? rispondevo alla domanda concludendo che il rosa è social. Oggi sono convinta che sia vero anche l’inverso.

Perché gender o non gender, e con buona pace delle poche mosche bianche maschili che vale la pena di avere fra le proprie amicizie, la collaborazione, la condivisione, il chiacchiericcio sfrenato e indiscriminato sono un dono tutto nostro.

Il social è rosa, signori.

Voi farete anche gol, ogni tanto. Ma quando si tratta di fare rete, le donne non le batte nessuno.

Manuale di NON scrittura creativa/8

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Le emozioni sono la nuova frontiera della pornografia. L’ultimo modo rimasto per spogliarci, dopo aver già visto centimetri di pelle a sazietà. E le emozioni positive, la felicità, la speranza, la gioia improvvisa, arrivano perfino più in là di quelle negative, ormai abusate. Se non credete a me, date retta ai pubblicitari, che ci si sono buttati a capofitto, con spot che strizzano l’occhio ai reality, il bello della diretta aggiornato al ventunesimo secolo.

Le aspirazioni letterarie, come i sogni in generale, sono uno strumento particolarmente raffinato di invasione della privacy. Ma non è mica solo Masterpiece a mettere a nudo i sogni altrui fra sorrisetti condiscendenti, anzi, quasi sempre facciamo tutto da soli. Nell’epoca dei social il pudore è diventato anacronistico, quasi asociale. Ogni giorno ci si ritrova circondati dalla messa in scena del processo creativo altrui. Baricco scrive in diretta il proprio romanzo e la sensazione è quella di sbirciare nell’intimità della sua camera da letto, cosa di cui personalmente farei volentieri a meno.

Facebook è diventato una tabella di marcia per aspiranti scrittori, con statistiche accuratissime sul numero medio di pagine che possiamo scrivere al giorno, un occhio sempre puntato sui computer altrui. Conosciamo i volti dei personaggi prima ancora di trovarli sulla carta, la loro casa, sappiamo come si vestono e dove si troveranno, i luoghi in cui si muoveranno, il tutto fra confronti accesi e preoccupati circa le proprie fatiche di scrittore. E a poco a poco, nell’indifferenza generale, la scrittura perde la propria anima, si riduce a un susseguirsi di numeri, prestazioni, tempistiche, tutto si uniforma e si appiattisce, anche ciò che per definizione è individuale e irripetibile, come il processo creativo.

Non solo tendenzialmente non frega niente a nessuno di quante pagine abbiamo scritto oggi, di quante ne abbiamo cancellate, se abbiamo messo la parola fine o scritto un nuovo numero di capitolo nel nostro manoscritto. Non solo. Credo che ci sia qualcosa di impudico. Che sia sbagliato. Sbagliato come raccontare le emozioni dei vostri figli a loro insaputa (sto aspettando con ansia la vendetta dei futuri diciottenni, quando scopriranno di essere diventati virali mentre ballavano in pannolino insieme al gatto di casa). La vostra storia è innocente. Ha bisogno di silenzio e discrezione. E il vostro dovere è proteggerla.

Ecco allora che in questo improvviso affollamento di scrittori potrebbe essere utile affidare loro un nuovo compito, quello di custodi delle emozioni, del loro segreto. Nella speranza che aiuti a tracciare una linea fra storie e storytelling, fra le trame che nascono dove nascono le emozioni e l’atto di raccontare che si fa merchandising.

Riprendiamoci il silenzio, nel caos entusiasmante del digitale. Fra tante voci, lasciamo che la scrittura almeno cresca nel silenzio.

Ogni tanto, tacciamo.

Caccia allo Strega

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Da quando Nicola Lagioia ha vinto lo Strega, su Facebook stiamo assistendo a un curioso fenomeno: l’Antifascetta, la stroncatura senza cognizione di causa, lo strillo che si fa vanto della propria assenza di argomentazioni e della mancata lettura del libro. Il giudizio insomma espresso con la stessa faziosità, arbitrarietà e inventiva di una fascetta promozionale, solo di segno opposto.

Non mi riferisco soltanto ai post in cui ci si accanisce, di solito con un livore esagerato, contro qualche frase di La ferocia, prontamente estrapolata dal contesto ed esposta al pubblico ludibrio stile quiz: “chi riesce a capire il significato di questa frase?” Circola anche una foto in cui si riportano alcune righe con contorno di punti esclamativi, insieme all’accorata opinione di una cara “professoressa, di quelle che non ne fanno più così”, che segnala il paragrafo in questione “tra lo sconvolto e l’indignato”. E giù commenti altrettanto sconvolti e indignati, derisori nei migliori dei casi, volgari nei peggiori, sulla prosa di Lagioia.

Solo in un caso, trattandosi della pagina di una persona che stimo, ho deciso di dare la risposta al quiz e di dimostrare come le frasi in questione avessero un senso eccome, anzi, più di uno, a ben vedere. Ma il punto non è questo. Non spetta a me difendere la prosa di Nicola Lagioia (un susseguirsi di percorsi di significato nettissimi, secondo me, di una precisione chirurgica, e al tempo stesso incredibilmente sensoriali, in cui non c’è mai una parola di troppo), proprio come non spettava ai commentatori di Facebook distruggerla senza altro argomento che il “io non la capisco” e, inutile dirlo, senza aver letto il romanzo. Il punto è l’evolversi e il proliferare dell’eco. Ne ho parlato in L’eco di Eco: il messaggio nell’era dei social non è più il messaggio in sé, ma l’eco di quel messaggio. Non importa la fonte, non importa il contesto, importa quel ritaglio più o meno corrotto che riportiamo e che verrà a sua volta riportato, condiviso, commentato, perdendo ogni legame con la forma originaria, proprio come la frase di Lagioia ha perso ogni legame con il libro da cui è stata estrapolata.

Questi sfoghi inneggianti al rispetto della lingua italiana (che dovrebbe secondo qualcuno sporgere addirittura “denuncia per stalking”) da parte di chi non la sa evidentemente piegare alla propria volontà espressiva con la stessa violenza, abilità e ferocia di Lagioia, hanno qualcosa della caccia alla strega, nella loro ansia di distruggere ciò che si ignora e non si arriva a capire. Che si tratti dell’establishment letterario o delle tante strade che può prendere la lingua italiana.

Non c’è bisogno di scomodare la dotta ignoranza di Socrate, con grande sollievo di chi vuole essere rassicurato dalle cose semplici. Basta ricordarsi quel che ripetono le mamme a tavola: “Non si dice fa schifo, si dice non mi piace”. Anche sui social, a volte, la democrazia va a braccetto con la buona educazione.