Sul body shaming e il fat shaming immagino saremo tutti d’accordo, prendere di mira il corpo di una persona – di solito una donna – e deriderlo sui social o sulla stampa è non solo ingiusto e abbastanza vigliacco, ma pericolosamente sessista. Il messaggio di fondo è che il valore una donna si misuri dal suo corpo, da quanto risponde a canoni di bellezza astratti, e che una donna debba sempre e comunque essere all’altezza di quei canoni, in qualunque momento della sua vita, salvo esporsi in caso contrario al pubblico ludibrio.
Nell’universo femminile però trova posto anche un altro fenomeno altrettanto sbagliato e pericoloso, più simile al body shaming di quanto possa sembrare: il romance shaming.
Anche qui come nel body shaming purtroppo sono spesso le donne a prendere di mira le altre donne, con una differenza importante: che spesso a farlo sono le stesse donne impegnate altrove in battaglie contro gli stereotipi e le discriminazioni. Il romance però non riescono proprio a digerirlo.
Ma perché? Perché un genere letterario che ha conquistato negli anni una fetta così ampia di pubblico femminile, un genere in cui le donne si sono rispecchiate quando non trovavano altrove il modo e lo spazio per farlo, un genere in cui la donna è protagonista e in cui le vicende sentimentali non sono spesso il vero argomento della storia, perché suscita tanto accanimento? Proprio da parte del femminismo?
Negli anni in cui l’amore gay lottava per potersi manifestare liberamente, in tutta la sua trasgressiva tenerezza, le battaglie femminili sembravano voler fare di tutto per sgombrare il campo proprio da quella tenerezza, scambiandola erroneamente per un segno di debolezza.
Chi conosce il romance sa che spesso – spesso, non sempre – la debolezza non è un tratto delle sue protagoniste. La debolezza tutt’al più è ciò che impedisce loro di amare ed essere amate, l’ostacolo che verrà rimosso dal lieto fine. Ma soprattutto chi conosce il romance sa che l’amore non è che uno degli argomenti della storia, spesso neanche il più importante. Il romance nasconde quasi sempre una vicenda di riscatto personale, il superamento di un passato difficile o di una colpa irrisolta, il bisogno di ritrovare la forza e la fiducia per tornare a combattere, la convinzione di avere il diritto di essere felice. Non solo, il romance è stato lo spazio in cui affrontare tematiche femminili anche prima che arrivassero i gruppi di autocoscienza in cui potersi finalmente confrontare. Nel romance si è parlato di stupri, di violenza di genere, nel romance molte donne trovavano le risposte alle domande che avevano insegnato loro a non fare e a non porsi, sulla sessualità, il rapporto con gli uomini e con il proprio corpo, sui sensi di colpa e sul diritto a vivere le proprie emozioni, anche quando le si voleva relegate nel ruolo di angeli del focolare. Non è forse femminismo anche questo?
Certo, il romance è un genere tendenzialmente conservatore, narrativamente parlando, perché impone la consolazione dell’happy end. In questo però non è poi tanto diverso dal giallo e come il giallo ha saputo rinnovarsi e trasgredire lasciando intatta la cornice del genere.
Non si sta dicendo che il romance sia alta letteratura, ovviamente, è letteratura di genere, è intrattenimento, ma a bollarla come “roba da donnette” si cade in un pregiudizio maschilista: che i sentimenti siano superficiali e indice di debolezza, che la donna innamorata debba automaticamente rinunciare alle proprie battaglie (convinzione diffusa e molto molto pericolosa) e soprattutto che la leggerezza sia proibita alle donne, perché una donna deve sempre e comunque essere all’altezza di ciò che ci si aspetta da lei, che si tratti di sforzo fisico o intellettuale, di un corpo atletico o di una mente impegnata.
Allora facciamo un favore alle donne e smettiamola anche con il romance shaming. Non solo perché le lettrici di romance sono molto più colte e femministe di quanto ci si aspetti, non solo perché il romance ha fatto per le donne più di quanto si creda, colmando un vuoto anche sociale. Smettiamola con il romance shaming perché le donne non debbano sentirsi sempre sotto esame, perché la libertà di essere se stesse senza pregiudizi passa anche per la libertà di emozionarsi come ci pare, indossando la taglia che ci pare, con in mano il libro che ci pare.
Non siamo perfette, non abbiamo corpi perfetti e non leggiamo neanche libri perfetti, ma non c’è niente che ci avvicini tanto a noi stesse come un’emozione vissuta senza sensi di colpa. E che ciascuna si senta libera di trovarla dove meglio crede è importante tanto quanto poter vivere serenamente nel proprio corpo, con qualche chilo di troppo o senza.