Perché dovremmo smetterla di paragonare le mestruazioni alle feci

Solo il titolo del post è assurdo, verrebbe da dire, se non fosse che il paragone viene proposto di continuo, ogni volta che si cerca di abbattere il tabù delle mestruazioni. Quale tabù? chiederà qualcuno. Lo stesso che ha scatenato una valanga di commenti indignati allo spot #trueblood di Nuvenia, che mostra il sangue mestruale (spot che risale al settembre del 2019 ma che è stato ripreso di recente dai social, in occasione della nuova campagna “Viva la vulva”). “IO MI VERGOGNO!!!” ha scritto una donna, proprio così, in lettere maiuscole e con tre punti esclamativi, una delle dimostrazioni più inequivocabili della mancanza di un discorso pubblico sulle mestruazioni, che permetta di renderle meno intime, per cominciare, di riconoscere nell’argomento un discorso collettivo, non solo individuale. Il deodorante per le ascelle non è meno intimo, in realtà, ma nessuno salta su scandalizzato perché in tv si parla dei suoi odori corporei.

Dopo “che schifo”, comunque, la parola più frequente nei commenti è “cacca”. Sono sicura che l’accostamento alle feci abbia più a vedere con il “disgusto” che suscita il sangue mestruale che con la confusione scientifica, ma forse fare chiarezza e distinguere per bene le due cose aiuterà a capire perché il sangue mestruale, appunto, non dovrebbe farci schifo e soprattutto perché non ha niente a che spartire con “la cacca”.

1. Le feci sono scorie che il nostro corpo espelle con una serie di atti fisiologici volontari e involontari. Sono quindi un materiale di rifiuto, in parte di origine alimentare, e possono essere veicolo di malattie. Le mestruazioni sono una perdita di sangue involontaria dovuta allo sfaldamento dello strato superficiale dell’endometrio, che avviene quando non c’è stata fecondazione. Non si tratta di scorie, ma di una fase del ciclo mestruale, ossia di quella serie di cambiamenti che avvengono nell’apparato riproduttivo femminile. E non sono un mezzo di trasmissione di infezioni, a parte ovviamente quelle che si trasmettono in generale per via ematica.

2. A nessuna persona è mai stato impedito di prendere parte ad alcuni aspetti della vita sociale solo perché quel giorno aveva defecato, a nessuno è stato vietato per esempio di entrare in un tempio, nessuno deve ritirarsi in una capanna appartata nei giorni in cui defeca o non può toccare le piante o impastare il pane o fare il bagno, e così via. Per farla breve, per quanto si tratti comunque di un argomento che viene spesso rimosso, non esiste nessuno stigma sulle feci.

3. La defecazione e tutto quello che la riguarda è prevista negli spazi pubblici interessati. Le mestruazioni, no, sono ignorate.

4. In quanto atto fisiologico tendenzialmente soggetto al controllo della persona, la defecazione occupa un lasso di tempo limitato e gestibile, non riguarda intere giornate della vita di una persona.

L’unica ragione per cui si continua ad associare le feci alle mestruazioni, quindi, è una sorta di generico disgusto, la tendenza a rimuoverle, a tacere. E proprio questa tendenza, viene da aggiungere, è causa di problemi di salute che, in entrambi i casi questa volta, si sarebbero forse potuti evitare o diagnosticare prima se l’argomento non fosse condannato al silenzio (e quindi a una sostanziale ignoranza, in molti casi). Nel momento in cui si prova a paragonarle, dunque, arriviamo esattamente alla conclusione opposta: le mestruazioni hanno un ruolo nella vita delle donne che rende indispensabile parlarne e renderle parte del discorso sociale e collettivo, renderle presenti. Non è una provocazione, è un obbligo a cui nessuna società civile dovrebbe sottrarsi.

Le mestruazioni non fanno schifo

Il sangue mestruale non è l’unico sangue che vediamo in televisione eppure è l’unico che suscita reazioni così violente. Nei commenti alla pubblicità di Nuvenia infatti si spazia da posizioni molto diverse e premesso che sono tutte rispettabili e valide, perché non siamo tutte e tutti uguali, alcune meritano secondo me una riflessione ulteriore.

Qualcuna è infastidita dall’uso che fa la pubblicità del corpo femminile, qualcuna è infastidita in generale dalla visione del sangue, qualcuna la trova brutta a prescindere. Molte donne però la trovano violenta, si sentono violate da quell’immagine, la considerano una mancanza di rispetto, un’invasione della loro intimità. Ed è su questi commenti che secondo me vale la pena di spendere qualche parola in più, perché evidenziano due punti fondamentali.

Primo, manca completamente un discorso pubblico sulle mestruazioni, tanto che nel momento in cui le vediamo il rimando immediato è alla “nostra” intimità. Se ci sentiamo invase e violate è perché pensiamo che quella rappresentazione parli di noi e questo perché si parla ancora troppo poco di mestruazioni perché esista un discorso pubblico al riguardo. Se vediamo un deodorante in tv non pensiamo che si stia alludendo alla nostra puzza, eppure anche quello è un aspetto intimo, ma esiste un discorso collettivo che ci permette di prendere le distanze e di parlarne in terza persona plurale. Con le mestruazioni no. Il sangue delle campagne per la donazione ci parla di vita e della possibilità di salvare gli altri, perché quello mestruale non dovrebbe fare altrettanto?

Secondo punto. Molti di quei commenti parlano di schifo e di qualcosa che andrebbe negato e se sulla sensibilità individuale non si discute, vien da chiedersi che legame esista fra questo bisogno di nascondere le mestruazioni e le malattie come l’endometriosi, che continuano a essere invisibili nonostante riguardino una donna su dieci. Vien da chiedersi come si possa vivere serenamente il proprio corpo se ogni ventotto giorni ci vergogniamo di quello che ci succede, se qualcuna non arriva a considerare il dolore mestruale una parte inevitabile di quello “schifo” che vorremmo rimuovere e forse perfino un modo per espiare la colpa di sanguinare.

Ogni donna ha il diritto di vivere le mestruazioni con serenità e in modo indolore e ha il diritto trovare una cura e una risposta attenta quando non è così. A ogni donna succede di macchiarsi almeno una volta durante il ciclo e dovrebbe sapere che non è colpa sua, che non c’è assorbente che tenga a volte e che la vista del suo sangue non offende nessuno. Può infastidire, ma non deve mai offendere. Ecco perché parlare delle mestruazioni è importante. Perché viverle di nascosto significa troppo spesso viverle in modo colpevole e doloroso. Le mestruazioni non sono una punizione e men che meno una colpa o una vergogna. Una volta chiarito questo, come vengono pubblicizzati gli assorbenti non ha più la minima importanza.

Perché un Period party potrebbe essere un’ottima idea

Una festa per celebrare l’arrivo delle mestruazioni. Ma anche un appuntamento annuale per festeggiarle fra amiche, volendo. Negli Stati Uniti i period party impazzano sempre di più e stanno raggiungendo per popolarità i baby shower. Allora perché non provare a organizzarle anche in Italia?

Ma perché una festa per le mestruazioni? Il comico Bert Kreischer ha raccontato di averne organizzata una per la figlia e ha consigliato a tutti i padri di fare altrettanto, superate le perplessità iniziali sulla indispensabile red velvet cake. Uno dei motivi per cui un period party potrebbe essere una buona idea, infatti, è che si tratta di un ottimo modo per condividere l’esperienza anche con padri e fratelli. Un’occasione per parlarne, insomma, per smontare i tabù divertendosi, per confrontarsi, raccontarsi, ma anche per informare, per riderci sopra, per aiutarsi a vicenda.

Il rosso è l’ospite d’onore, ovviamente, ma a partire da lì tutto è lecito. Vi sono le versioni più allegre, festive e fantasiose, per sbizzarrirsi con dolci, bevande e aperitivi a tema (a cominciare dallo sciroppo di fragola per cui avrebbe optato la mamma di Luna in Fazzoletti rossi), oltre che con la decorazione, l’abbigliamento, i regali (è il momento ideale per la prima coppetta, per un fazzoletto rosso da sfoggiare a scuola o per un kit personalizzato, come questi suggeriti su Pinterest) e i giochi. “Pin the uterus” è un’ottima alternativa all’attacca la coda all’asino, per non parlare delle tombole o dei giochi dell’oca sull’argomento. Assorbenti, salvaslip e tampax possono rivelarsi molto versatili e non avere niente da invidiare a striscioni e bandierine. E fra dolcetti e decorazioni, tutti gli invitati usciranno di lì con un’idea molto più chiara dell’anatomia femminile.

Ma una festa dedicata alle mestruazioni può anche essere un modo per affontare argomenti più seri, fra invitate un po’ più adulte. Riunendo competenze diverse si può parlare della dieta consigliata per i diversi giorni del ciclo, di endometriosi, fare lezione di yoga per imparare ad alleviare i dolori mestruali o, perché no, iniziare ad affrontare la menopausa.

C’è la versione solidale, in cui raccogliere fondi o assorbenti da donare a centri e associazioni per le donne e le ragazze in difficoltà, oltre a promuovere iniziative di informazione e sensibilizzazione. Ma anche la versione bookclub, se ci si riunisce attorno a uno “scaffale rosso” popolato di romanzi, saggi e manuali per tutte le età, o quella cinematografica o musicale (se volete risparmiare tempo, c’è già una playlist su Spotify, da The Tide is High a Bleeding Love, passando per Purple Stain).

Insomma, non ci sono limiti alla fantasia. L’importante è parlarne, parlarne e ancora parlarne. Capire, imparare. E riderci sopra. Fra le tante testimonianze sul menarca raccolte sul sito fazzolettirossi, una costante è l’ansia, la difficoltà di vivere il momento con serenità, quel “signorina” che ti pesa addosso come un dovere, più che come un privilegio. I ricordi più belli invece sono quelli festivi, i regali, le piccole celebrazioni, l’affetto e la tenerezza. Perché allora non aggiungerci anche due risate? Dopo essere state lasciate fuori dalla porta come Malefica, le mestruazioni adesso non si meritano forse una bella festa?

Fazzoletti rossi Materiali didattici

Scaricate la scheda didattica con i percorsi tematici, le attività e i materiali di approfondimento:

Scaricate il Diario di Camilla da leggere gratis qui.

«Posso andare in bagno, prof?»

Nella scuola ai tempi del Covid, uno dei tanti problemi legati alle nuove misure di sicurezza è la gestione dei bagni. Ci sono centri che hanno pensato di chiuderli e molti altri che ne regoleranno l’accesso per evitare assembramenti o gli spostamenti incontrollati degli studenti per l’edificio scolastico. E così, fra una riunione virtuale e una misura straordinaria e l’altra, è emerso in modo abbastanza chiaro che il bagno della scuola, nell’immaginario collettivo, serve per i richiami più o meno impellenti di vescica e intestino, per fumare di nascosto e forse pure per atti di vandalismo e bullismo assortiti.

Manca qualcosa? Uteri a scuola ne abbiamo?

Le mestruazioni nei discorsi ufficiali della scuola non esistono, con poche eccezioni, non sono previste. Certo, ragazze e ragazzi fra loro ne parlano molto più serenamente e apertamente di prima (non tutti, però, e non mi stancherò mai di ripetere che la voce di quelle per cui non è così non la sentiamo, proprio perché tacciono) e in ogni scuola c’è almeno una o un docente o collaboratore scolastico che ha sempre pronto un sorriso e un assorbente nel cassetto per le emergenze, ma non basta.

La metà circa della popolazione scolastica sanguina ogni ventotto giorni al mese e ha diritto che le sue necessità al riguardo siano rispecchiate apertamente e senza sottintesi o giri di parole negli spazi e nei regolamenti scolastici. La parola “mestruazioni” deve essere pronunciata da insegnanti e presidi, perché le ragazze non siano costrette a fingere mal di pancia o a sussurrare vergognose quando scoprono di dover andare in bagno a metà di una lezione e no, non possono aspettare l’intervallo come vuole la nuova normativa della scuola. Possiamo raccontarci finché vogliamo che questo non è più un tabù, ma diciamo la verità: quanto coraggio ci vuole, ancora oggi, per alzare la mano e dire davanti all’intera classe che devi cambiarti l’assorbente? O che ti sono arrivate all’improvviso e ti stai sporcando di sangue? (Tra l’altro, se di mestruazioni si parlasse più spesso, forse non le sentiremmo più paragonare ad altre necessità fisiologiche con cui non hanno niente a che spartire. )

La Tampon Box è uno dei tanti modi per rendere visibile il ciclo mestruale a scuola e sì, è vero che le misure Covid rendono tutto più complicato, ma se davvero la ritenessimo necessaria, troveremmo una soluzione anche per questo, come l’abbiamo trovata per tutto il resto. Ma non solo. Le storie di vita sulle mestruazioni sono un patrimonio prezioso, di una ricchezza infinita (le sto raccogliendo sul sito fazzolettirossi.wordpress.com, se volete provare a leggerne qualcuna). Perché non inserirle fra le attività scolastiche, perché non incoraggiare il racconto del ciclo mestruale, da parte di ragazze e ragazzi, con interviste in famiglia, temi sull’argomento, o la creazione di un fumetto o di un video, per esempio, e includere il loro vissuto nella nostra storia, personale e non? Una lettrice molto speciale di “Fazzoletti rossi” ha deciso di portarlo all’esame di terza media, all’interno di un discorso sulla donna che andava dalla Turandot di Puccini a Malala Yousafzai, passando per Elsa Morante e le donne in Afghanistan. Si può fare, insomma, basta volerlo fare. Perché non riempire le scuole di fazzoletti rossi simbolici, che poi altro non sono che un inno alla vita e al nostro istinto di sopravvivenza, nonostante ogni paura? Andrà tutto bene possiamo dirlo anche così, in fondo.

Non basta che le mestruazioni non siano più un segreto, devono diventare una presenza. Non abbiamo il diritto di costringere le ragazze a viverle in modo clandestino, facendo lo slalom fra tabù e imbarazzi. Non abbiamo il diritto di passare il messaggio che se le mestruazioni nello spazio pubblico non esistono è perché quello spazio pubblico in fondo a loro, in quanto donne, non appartiene del tutto. Sì, è una battaglia importante. Un mondo in cui non c’è posto per le mestruazioni è un mondo in cui non c’è posto neanche per le donne.

Le donne in Nepal: Kumari la dea bambina e l’isolamento mestruale

MATERIALE DIDATTICO PER ACCOMPAGNARE LA LETTURA DI “FAZZOLETTI ROSSI”

La Kumari: la dea bambina in Nepal

kUMARI

La Kumari, o Kumari Devi, è una dea bambina, la reincarnazione di una divinità conosciuta come Durga, nella religione indù. Una dea vivente, insomma.

La più conosciuta è quella di Kathmandu ed è scelta fra le bambine di un’alta casta buddista quando è ancora molto piccola. Le candidate poi vengono sottoposte a una serie di prove, da cui emergerà la futura Kumari. Perfino il suo oroscopo deve ricevere l’approvazione di un astrologo! Devono avere una pelle e una dentatura perfetta, nessuna cicatrice e una bellezza fuori dal comune, oltre ovviamente a essere sane. Inoltre non devono avere mai perso sangue, neanche per un taglietto. Ma come si definisce e si riconosce la bellezza necessaria per diventare una Kumari? Nulla è lasciato al caso. Esistono infatti ben 32 criteri di perfezione, che devono essere rispettati. La lingua piccola, per esempio. Il collo come una conchiglia e le cosce di un daino. Le ciglia di una mucca e una pelle chiara e profumata. Piedi proporzionati e le guance di un leone e una voce morbida e limpida. E via così.

Fra le prove, alcune servono a dimostrare che la bambina ha un carattere sereno, che non ha paura, in particolare del sangue, e che non piange mai. Per questo viene rinchiusa in una stanza con decine di teste mozzate di capra e 108 bufali morti e lasciata lì tutta la notte, mentre alcuni uomini mascherati da demoni cercano di spaventarla. Solo la bambina che resterà impassibile diventerà la nuova Kumari, che letteralmente significa “vergine”.

A quel punto dovrà abbandonare la sua famiglia e trasferirsi a palazzo, da dove non potrà mai uscire, se non per occasioni particolari. Si vestirà sempre di rosso e non potrà mai toccare terra con i piedi. L’unico posto in cui può camminare infatti sono le sue stanze, per il resto dev’essere portata in braccio o su una portantina. È circondata da servitori pronti a esaudire ogni suo desiderio e negli ultimi anni riceve anche una certa istruzione, a differenza di quanto accadeva in passato; i suoi tutori però non possono obbligarla a studiare o darle ordini: si tratta di una dea, non di un’alunna qualsiasi!

Nelle rare occasioni in cui esce o si affaccia alla finestra, viene venerata e osannata e la folla si accalca attorno a lei, nella speranza di una benedizione. L’occhio disegnato al centro della sua fronte rappresenta il potere divino di cui è portatrice e ogni sua reazione e ogni minimo gesto acquistano un significato preciso: se resta immobile, per esempio, significa che la richiesta che è stata fatta verrà esaudita; se trema significa che qualcuno finirà in prigione; se piange, che il futuro riserva morte e malattia.

Non si resta Kumari per sempre, però. Vi è un evento ben preciso nella vita di quelle ragazze che segna la fine della loro condizione divina. E quell’evento è l’arrivo delle mestruazioni. Da quel giorno infatti cessano di essere Kumari e tornano a essere comuni mortali. Devono abbandonare il palazzo, che verrà occupato dalla nuova Kumari, e prepararsi a una vita tutto fuorché facile. Avranno un vitalizio, certo, ma non hanno ricevuto un’istruzione adeguata e sono completamente impreparate ad affrontare il mondo. Come se non bastasse, la leggenda dice che l’uomo che sposa una Kumari è destinato a morire giovane.

copertina fazzoletti rossi

Le mestruazioni in Nepal

Nel maggio del 2019, alcune donne del villaggio nepalese di Ripi si ribellarono e rifiutarono di sottomettersi al rito mestruale della chapaudi. In che cosa consiste? Nelle zone rurali del Nepal occidentale, quando le donne hanno le mestruazioni sono considerate impure, quindi devono allontanarsi da casa e rinchiudersi in capanne primitive, spesso di fango e senza finestre, dove non possono lavarsi e non possono consumare carne o latticini, né usare coperte per scaldarsi. L’isolamento nel chaughot, come è chiamata la “capanna delle mestruazioni” inizia fin da giovanissime, anche a 13 anni, e significa dover restare da sole e al freddo, di notte e di giorno, senza poter prendere parte alla normale vita familiare.

È stato calcolato che ogni anno almeno una donna muore durante quei giorni, spesso asfissiata dopo aver acceso un fuoco per cercare di riscaldarsi. In un caso, una giovane morì morsa da un serpente. La chapaudi è stata dichiarata illegale più di una volta, eppure l’usanza prosegue. Non basta infatti la legge a cancellare la convinzione che le donne con le mestruazioni siano pericolose per la loro famiglia e che quindi isolarsi sia un modo per proteggerla. Se una donna che ha le mestruazioni tocca un uomo, per esempio, questo si ammalerà; se beve latte, la mucca non ne darà più; se attinge acqua dal pozzo, il pozzo si prosciugherà. Per ragioni analoghe, legate alla stessa visione del femminile come impuro, durante le mestruazioni le donne non possono andare al tempio o a scuola, e hanno il divieto di toccare gli uomini o di mangiare determinati alimenti.

Scaricate la scheda didattica Raccontare le mestruazioni, con i percorsi tematici e le attività da svolgere in classe.

Consultate la scheda del romanzo su LeggendoLeggendo, il sito per insegnanti, con altre proposte didattiche di approfondimento e le pagine del Diario di Camilla da scaricare gratuitamente.

Perché leggere “Fazzoletti rossi” a scuola:

  • Un libro che ha il coraggio di affrontare una tematica considerata tabù e di normalizzarla.
  • Una storia che parla di bullismo e sessismo a scuola.
  • Un inno all’amicizia tra ragazze che farà molto bene anche ai ragazzi

Tre cose che ho scoperto sui libri e i ragazzi

book-1854207_1920
Foto di Pexels da Pixabay

1. Proprio vero che i ragazzi non leggono i libri. Li divorano. Se amano un romanzo lo finiscono in una sera. Se non sono interessati, invece, lo mettono giù dopo poche pagine e non lo riprendono più in mano. Leggono eccome, solo hanno il privilegio di leggere come vivono, senza mezzi termini e mezze misure.

2. Quando chiedi qualcosa a un adolescente non otterrai quasi mai la risposta che cercavi. “Che libro vorresti leggere? Su che argomento?” E se la ottieni, di solito è dopo un sacco di sbuffi e dopo averglielo chiesto cento volte e con ogni probabilità avrà finito per dirti quello che immaginava volessi sentirti dire, perché ti togliessi dai piedi. Le risposte degli adolescenti e dei preadolescenti, però, sono anche piccole esplosioni meravigliose di significato, che non c’entrano niente eppure contengono esattamente quello che cercavi prima ancora di avere capito che cercavi proprio quello. Perché la verità è tangenziale e caotica, e loro lo sanno, siamo noi che ce ne siamo dimenticati e abbiamo finito per credere ai nostri criteri patetici per inscatolarla e tenerla a bada.

3. Se domandi a un ragazzo se un libro gli è piaciuto ti risponderà semplicemente sì o no. E se gli chiedi anche perché probabilmente ti risponderà con una scrollata di spalle scocciata, perché il piacere andrebbe vissuto, non raccontato e di certo non analizzato. Il piacere è intimo e prezioso. Chi ha voglia di raccontare il gusto di una tavoletta di cioccolato mentre la mangia o mentre ne conserva ancora il sapore sulla lingua? E quando invece ti rispondono, spesso lo fanno con una frase sola, che le contiene tutte e il cui significato è riassumibile con: “Perché parla di me”. E il senso dei libri non è proprio quello, il senso più profondo e prezioso, il motivo per cui sono indispensabili?

Insomma, altro che preoccuparci perché i ragazzi non leggono. Dovremmo ricominciare da capo a imparare a leggere da loro.

 

copertina fazzoletti rossi