
I toni accesi con cui si finisce per affrontare certe questioni fra femministe, anche fra chi andava perfettamente d’accordo fino al minuto prima, sono il segno secondo me che è necessaria una nuova modalità di azione. L’astio girato in rete in questi giorni è l’urlo morente di un sistema troppo pesante e troppo vecchio, secondo me, per stare dietro ai tempi. Non riguarda solo il femminismo, ovviamente, e non è neanche così nuovo, è un cambiamento già in atto, che lascia un passo indietro i movimenti e perfino i partiti politici, per tendere verso un modo di lottare diverso, in cui si sia capaci di aggregarsi e disaggregarsi a seconda dei temi e delle occasioni. Una forma di lotta per hashtag, in un certo senso, in cui quello che conta è la battaglia, non i contorni del movimento che la porta avanti.
È un cambiamento radicale, in cui le donne potrebbero essere l’avanguardia di una trasformazione in atto, proprio come hanno già fatto gli adolescenti e i preadolescenti spostandosi progressivamente da Instagram a TikTok, sfumando la definizione di un’identità individuale fondata sull’ostentazione verso il fluire in identità e trend collettivi. Un futuro in cui la partecipazione è occasione, prima che identificazione, in cui le sigle e i collettivi continuano a esistere, ma in forma più mutevole ed elastica, sovrapponendosi se necessario, sfumando i confini, adattandosi, reinventandosi continuamente.
Ecco allora che certi temi (la prostituzione, l’identità di genere…) invece di dividere e separare finirebbero per accorpare e unire, creando nuove realtà provvisorie ma efficaci, perché liberate dal peso della polemica sterile e spesso aggressiva, delle fratture interne allo stesso movimento o collettivo. Sta già succedendo, in realtà, i social e i tempi e i modi di fruizione della cultura in generale lo impongono e lo rendono inevitabile, fluttuiamo già da una pagina all’altra, da un gruppo all’altro, a seconda dell’interesse e della battaglia del momento. E abbiamo scoperto che non ci snatura, non ci indebolisce e non ci separa, al contrario, ci rafforza e ci tiene unite.
Perché non continuare a confrontarci, allora, senza il bisogno di difendere e tenere insieme un’identità, una sigla, un collettivo che rischia di renderci tanto feroci e intransigenti. Lasciamo che quel collettivo e quella sigla scivolino sullo sfondo e che siano gli hashtag, le occasioni di lotta, gli obiettivi comuni a creare legami e momenti di condividisione e collaborazione. Non immagino un futuro fatto di manifesti e partiti politici e sigle che si stanno rivelando sempre più vecchi, rigidi e inadeguati ai tempi. E non immagino e non voglio immaginare un futuro in cui le femministe si fermano sulle divisioni e sulle fratture, quando sarebbe più semplice e costruttivo avanzare verso le occasioni di impegno comune e di condivisione.
In un futuro in cui l’identità viene ridefinita sotto ogni aspetto possibile, non è pensabile che le forme di lotta non se la lascino alle spalle, in qualche modo. Sta già succedendo, è già successo, basta pensare al #metoo. Andiamo avanti in questa direzione allora e cerchiamo i punti di incontro, senza accanirci su quelli di disaccordo. Nell’epoca degli hashtag non è più necessario, non c’è spazio per le polemiche e gli attacchi personali. Possiamo lasciarli nel passato senza che la nostra identità ne venga minimamente scalfita. La nostra identità si definisce nella condivisione e nella partecipazione, il resto ci tiene ferme a un passato che non serve più.
La polemica non è la nostra forma di lotta, la forma di lotta delle donne è la condivisione, la ricerca di punti comuni, di momenti di incontro. Non dimentichiamocene proprio adesso, che i tempi si prestano per farlo in modo ancora più rivoluzionario. Sì, è vero, per riuscirci bisogna provare a guardare al mondo in modo del tutto diverso. Ma non è questo, in fondo, il femminismo?