“Non riesco neanche più ad andare in bagno da sola.” “No, non posso uscire, non è capace di stare senza di me.” “Non ho mai dormito neanche una notte senza di lui, in sette anni.” “Verrei molto volentieri, ma devo aiutarlo a fare i compiti.” “Certo, a furia di scarrozzarlo di qua e di là non ho più una vita, ma mio figlio ha la precedenza su tutto.”
Si potesse ricavare energia dallo spirito di sacrificio delle mamme, non ci sarebbe più bisogno dei pannelli solari. Quanto orgoglio trattenuto dietro le loro lamentele, dietro le loro rinunce esibite come medaglie. La mamma che si sacrifica, che non dorme, che non ha più una vita.
Chili e chili di sacrificio, che finiranno per seppellirci tutte. Quanto siamo disposte a pagare l’illusione di essere indispensabili? E nel frattempo, mentre ci facciamo sempre più piccole, mentre facciamo la tara alle nostre esigenze, mentre barattiamo il nostro tempo con la sicurezza dell’approvazione altrui e del riconoscimento sociale, nel frattempo i nostri figli ci osservano. E mentre noi cerchiamo di insegnare loro a parlare inglese, a giocare a tennis, a dire grazie prego e per favore, mentre ipotechiamo il nostro tempo per la loro sicurezza in se stessi e la consapevolezza di essere amati e apprezzati, mentre li valorizziamo, li stimoliamo e li analizziamo alla ricerca di batteri e disturbi e frustrazioni ed etichette più o meno salvifiche, c’è una cosa che imparano su tutte le altre. Una lezione che respirano nell’aria ogni volta che stanno con noi.
La mamma c’è, c’è sempre. La mamma si sacrifica per me. La mamma mette la mia felicità al di sopra di ogni altra cosa. Di certo al di sopra della propria. Il tempo della mamma vale meno del mio. Il tempo del papà no.
Ogni volta che mettiamo la felicità dei nostri figli davanti alla nostra stiamo insegnando alle nostre figlie che un giorno dovranno fare altrettanto. Non importa se sanno parlare cinque lingue e sono campionesse in almeno due discipline sportive e hanno un master che ci è costato un rene: quando saranno grandi la felicità degli altri avrà la precedenza. Ogni volta che rinunciamo a uscire con le amiche, a leggere un libro, a lavorare, a creare qualcosa di nostro, a ritagliarci tempo per noi dietro una porta chiusa, stiamo insegnando alle nostre figlie che tutto quello che stanno imparando ora, che tutta la loro creatività e intelligenza e fantasia, tutte le loro risorse e il loro potenziale, un giorno dovranno scivolare sullo sfondo della vita di famiglia. E stiamo insegnando ai nostri figli che un giorno avranno accanto una donna che farà altrettanto. Che un giorno avranno una moglie che si farà carico dei bisogni altrui e metterà da parte i propri. E che è giusto così.
Dovremmo provare a guardare dietro lo schermo dei nostri sacrifici. A vederci come ci vedono le nostre figlie e i nostri figli. Dovremmo ricordarci che si impara di più a salutare la mamma che esce con le amiche o parte per un viaggio di lavoro che a leggere tante belle storie della buonanotte sulle ragazze ribelli. Perché anche le ragazze ribelli hanno figli che hanno bisogno di loro e a cui devono dire di no, ogni tanto. Anche le ragazze ribelli hanno bambini che le vorrebbero sempre accanto e da cui devono separarsi, a volte. Le ragazze ribelli ogni tanto si sentono egoiste e ingrate e mamme schifose. Le ragazze ribelli hanno dovuto scegliere e non sono sempre sicure di aver scelto bene. Le ragazze ribelli hanno bisogno di tempo per sé, hanno le case più sporche delle altre, mariti più efficienti, meno torte in forno e figli che ogni tanto sentono la loro mancanza. È questa la vera storia della buonanotte che dovremmo raccontare alle nostre figlie, se vogliamo che un giorno sappiano ritagliarsi addosso la propria vita prendendo le misure soltanto su di sé, se vogliamo che un giorno possano misurare il proprio valore sui risultati raggiunti e non su quelli a cui hanno rinunciato per amore degli altri.
Si chiama amore lo stesso, questo dovremmo dire prima di spegnere la luce, si chiama amore lo stesso, anche se non posso darti tutto il tempo che vuoi e che vorrei. Si chiama amore lo stesso, anche se ogni tanto vengo prima io.