Come il confinamento può far nascere tanti piccoli lettori

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Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

Ci ho provato in tutti i modi. Erano anni che ci provavo in tutti i modi. La casa era piena di libri, entravamo in libreria a ogni occasione, anche solo per curiosare, gli leggevo la storia della buonanotte, lasciavo che fosse lui a scegliere le storie che più gli piacevano e al ritmo che preferiva. Ma niente da fare.

Entravamo in biblioteca e appena mi distraevo per prendere un altro libro dagli scaffali me lo ritrovavo davanti ai computer. A scuola durante la mezz’ora di lettura si fiondava sul libro dei labirinti e quando proprio gli andava di leggere, su quello delle barzellette. E ogni volta che lo sentivo pronunciare la frase fatale, mi si stringeva il cuore. “A me non piace leggere.” La persona di turno gli spiegava perché leggere era bellissimo fantastico meraviglioso e lui la fissava e ripeteva, scandendo meglio le parole e probabilmente chiedendosi quale fosse la parte difficile da capire: “A. Me. Non. Piace. Leggere”.

Poi ci siamo chiusi in casa, isolati dal coronavirus. I libri erano sempre gli stessi, di nuovi non ne entravano, e compiti da scuola neanche, le maestre erano scomparse nel nulla e insieme a loro anche il legame quotidiano con la parola scritta. Niente più amici, niente più attività nel pomeriggio, niente più uscite. Si prospettava una lunga caduta a precipizio nel mondo dei videogiochi, trattenuta a stento da divieti e norme e limiti massimi di tempo sempre più difficili da far rispettare. E invece no.

I videogiochi resistono, ovviamente, padroni del tempo concesso e anche di quello non concesso, che occupano comunque in forma di schemi mentali e desideri e fantasie di battaglie e armi e chissà che altro. Ma davanti a tutto quel tempo vuoto anche loro si sono dovuti arrendere. E così ho scoperto qual era l’alleato migliore della lettura. Era talmente facile, in realtà, che non so perché non ci sono arrivata prima. Era la noia.

È bastato annoiarsi, per riprendere in mano i libri e i fumetti. Anzi, no. Neanche questo è del tutto vero. È bastato rallentare. Rallentare fino a fermarsi. I bambini delle elementari sono forse gli unici che hanno la possibilità di farlo davvero, in questi giorni. Ed è stato in quel vuoto, in quel ritmo ritrovato, in cui il tempo si allargava e si distendeva e si faceva meno frenetico ed esigente, che le storie hanno ricominciato a far sentire la propria voce. È bastato rendere tutto più semplice, togliere le piccole sfide e le mille pressioni e le ansie quotidiane a cui era sottoposto fino a ieri, senza che ce ne accorgessimo. In questo tempo sospeso i bambini forse non sono più felici e di certo risentono di tante ore al chiuso e del poco esercizio, ma stanno tirando il fiato, secondo me, stanno rallentando. Hanno smesso di rincorrere i minuti e gli impegni e una soglia di attenzione che sembrava diventata infinitesimale e invece forse era soltanto vittima di una curiosità iperstimolata.

E in questo tempo sospeso, quasi per magia, sono tornate a vivere le storie.

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Tre cose che ho scoperto sui libri e i ragazzi

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Foto di Pexels da Pixabay

1. Proprio vero che i ragazzi non leggono i libri. Li divorano. Se amano un romanzo lo finiscono in una sera. Se non sono interessati, invece, lo mettono giù dopo poche pagine e non lo riprendono più in mano. Leggono eccome, solo hanno il privilegio di leggere come vivono, senza mezzi termini e mezze misure.

2. Quando chiedi qualcosa a un adolescente non otterrai quasi mai la risposta che cercavi. “Che libro vorresti leggere? Su che argomento?” E se la ottieni, di solito è dopo un sacco di sbuffi e dopo averglielo chiesto cento volte e con ogni probabilità avrà finito per dirti quello che immaginava volessi sentirti dire, perché ti togliessi dai piedi. Le risposte degli adolescenti e dei preadolescenti, però, sono anche piccole esplosioni meravigliose di significato, che non c’entrano niente eppure contengono esattamente quello che cercavi prima ancora di avere capito che cercavi proprio quello. Perché la verità è tangenziale e caotica, e loro lo sanno, siamo noi che ce ne siamo dimenticati e abbiamo finito per credere ai nostri criteri patetici per inscatolarla e tenerla a bada.

3. Se domandi a un ragazzo se un libro gli è piaciuto ti risponderà semplicemente sì o no. E se gli chiedi anche perché probabilmente ti risponderà con una scrollata di spalle scocciata, perché il piacere andrebbe vissuto, non raccontato e di certo non analizzato. Il piacere è intimo e prezioso. Chi ha voglia di raccontare il gusto di una tavoletta di cioccolato mentre la mangia o mentre ne conserva ancora il sapore sulla lingua? E quando invece ti rispondono, spesso lo fanno con una frase sola, che le contiene tutte e il cui significato è riassumibile con: “Perché parla di me”. E il senso dei libri non è proprio quello, il senso più profondo e prezioso, il motivo per cui sono indispensabili?

Insomma, altro che preoccuparci perché i ragazzi non leggono. Dovremmo ricominciare da capo a imparare a leggere da loro.

 

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Come convincere un bambino a leggere in dieci passi

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1. Per prima cosa, non cercate di “convincerlo” a leggere. La lettura è una delle attività più intime e private che esistano; se sente che non gli appartiene, che gli viene imposta, non diventerà mai un lettore.

2. “Mio figlio non legge.” Ne siete proprio sicuri? Vostro figlio legge eccome, solo che non legge quello che volete voi. Legge le istruzioni dei giocattoli, le scritte delle pubblicità, qualche ricetta di cucina se preparate insieme una torta. Legge tutto quello che lo incuriosisce. È circondato dalle parole, sta solo cercando quelle giuste per lui (o per lei).

3. Non ditegli che non legge abbastanza. Nell’istante in cui lo se lo sente dire diventa un non-lettore, non leggere sarà un tassello della sua identità e tutto il resto accadrà a partire da lì. Spiegategli perché per voi è importante leggere, piuttosto, che cosa lo rende così speciale.

4. Non date, vi prego, retta alle maestre che dicono di farlo leggere mezz’ora al giorno. Come si può amare qualcosa che sei costretto a fare mezz’ora al giorno? Io finirei per odiare perfino la Nutella, se mi obbligassero a mangiarne un cucchiaino al giorno. Tutto il tempo che non lo costringete a leggere vi sarà restituito, con gli interessi, quando lo vedrete prendere in mano un libro di sua iniziativa.

5. Circondatelo di libri. Non c’è bisogno di rimetterci uno stipendio, ci sono biblioteche magnifiche, librerie da visitare e in cui curiosare, ci sono i vostri libri. E non solo libri. I fumetti sono perfetti per iniziare a leggere, fra immagini e lettere maiuscole. L’importante è che la pagina scritta e illustrata diventi un’abitudine, una presenza familiare. Che faccia parte della sua vita e della vostra. Sì, anche se non ne ha mai letto uno.

6. “No, quello no, prendi un libro vero, per favore!” disse una madre al figlio, in biblioteca. E lui mise giù il libro a fumetti su Batman rassegnato e prese un volume di fiabe che gli interessava più o meno come un manuale di astrofisica. E che probabilmente non aprì mai. Se volete che vostro figlio legga, lasciatelo libero di scegliere.

7. Dove non arriva la parola scritta, possono sempre arrivare le storie. E le storie, come le parole, sono ovunque. Sono una sfida durante un viaggio in macchina, il compagno perfetto al momento di andare a dormire, lo scacciafantasmi migliore che c’è. E nascono ovunque, in un pezzetto di carta trovato per strada, in una fotografia, in una lettera, in quello che avete fatto mentre eravate lontani. Siamo circondati dalle storie. E ne abbiamo bisogno più di quanto crediamo.

8. Dopo aver disubbidito alla maestra, ignorate  i consigli dell’optometrista. Certo, ha ragione. Leggere tutti storti, sdraiati a letto o sul divano, è il modo migliore per rovinarsi la vista e la cervicale. Ma se l’optometrista assomiglia a quello da cui sono andata io e dice a vostro figlio di leggere seduto a tavola, tenendo il libro nel modo giusto, se possibile su un leggio, allora i libri sono spacciati. Si fa sempre in tempo ad accendere una lampadina o a consigliargli di non tenere la pagina incollata al naso, se sarà necessario.

9. Non proponete la lettura come un’alternativa a quello che gli piace di più. “Se non mangiassi tutto quel cioccolato, allora sì che ti piacerebbero i broccoli al vapore.” Che effetto vi fa, messa così? Se per leggere deve rinunciare ai videogiochi, la prospettiva di aprire un libro non sarà molto allettante. I libri non sono un’alternativa ai videogiochi o alla televisione. Non si escludono a vicenda, possono convivere serenamente.

10. Leggete. Sembra banale, ma è fondamentale che la lettura faccia parte della vita di tutti. Leggete quello che piace a voi, davanti a loro. Non sentitevi in colpa a dire a vostro figlio che in quel momento non potete dargli retta perché state leggendo. Se i libri sono tanto importanti, allora ogni tanto è giusto che vengano prima di tutto il resto.

Barcellona fra le pagine

Avete già letto tutto Zafón e tutto Montalbán, conoscete La cattedrale del mare a memoria e avete ancora voglia di libri ambientati a Barcellona? Ecco allora una lista con otto titoli per tutti i gusti: per chi ama i romanzi storici, per chi legge volentieri i gialli, per chi preferisce le storie al femminile e perfino per i più piccoli.

Come dicono qui, in Catalunya: Bones lectures!

Un atelier a Barcellona

Núria Pradas, trad. it. Sara Cavarero (Salani)

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Barcellona, 1926. Ferran Clos ha disegnato una collezione che sta per trasformare la sartoria Santa Eulalia nel regno della haute couture spagnola. È uno stilista brillante, non ha nulla da invidiare a Chanel, e per creare i suoi abiti trova ispirazione nelle donne, innamorandosene, tradendole. Una di queste è Laia. Giovane apprendista, bellissima, spensierata, non sa nulla dell’abbandono, della preoccupazione, del dolore acuto della perdita, quando la sua vita ne viene investita inesorabilmente. Ma Laia cresce, è forte e determinata a farcela, a sopravvivere e, quando possibile, a vivere davvero. Quando gli anni Venti lasciano spazio agli anni bui della Guerra civile, la ragazzina dalle gonne svolazzanti non c’è più. Al suo posto c’è una madre, una donna moderna ed elegante, che è ancora sensibile all’amore e alla passione, ma con gli occhi bene aperti. Laia ha fatto carriera, è stata una colonna portante dell’atelier durante tutte le vicissitudini che lo hanno coinvolto: quando era un salone vivo e colorato, punto di riferimento dell’alta società, quando i repubblicani lo hanno sequestrato, quando resisteva in una Barcellona mesta e bombardata, quando il ritratto di Franco è stato affisso al muro, per forza. A Barcellona, oggi, c’è un atelier dalle vetrine scintillanti: Santa Eulalia. La storia della casa di moda è talmente affascinante e ricca da essere perfetta per un romanzo, questo. È la saga di una famiglia, è il racconto corale delle vite intrecciate delle sarte e degli apprendisti, è la Storia di un’Europa euforica e di un’Europa schiacciata.

La dama di Barcellona

Daniel Sànchez Pardos, trad. it Claudia Marseguerra (Corbaccio)

51synisqnIL._SX322_BO1,204,203,200_1854, Barcellona. Una città soffocata dalla paura e da un’incombente epidemia di colera è il palcoscenico di una serie di morti misteriose. Quando il cadavere di una fanciulla viene ritrovato in fondo al pozzo di un monastero, da tempo immemore al centro di oscure leggende, il terrore non può che fomentare l’immaginazione popolare. Octavio Reigosa, ispettore del Corpo di vigilanza, sarà chiamato a indagare sui crimini che sconvolgono la città e sugli assurdi miracoli che l’anziano vescovo Riera si ostina a leggere come altrettanti segni dei tempi. Non solo: cosa si nasconde dietro l’estrema segretezza della clinica psichiatrica Neothermas, diretta dal dottor Carrera? A dipanare questo folle intrico di sacro e profano interverrà Andreu Palafox, giovane chirurgo con un passato torbido, affiancato dalla conturbante scrittrice Teresa Urbach e dalla sua ingegnosa e giovane governante. Ma, soprattutto, Palafox ha un dono, o forse una maledizione: «abitare il tempo sacro»…

Lezioni di disegno

Roberta Marasco (Fabbri Editori)

cover leggeraUn amore finito, un impiego insoddisfacente lasciato indietro e una vita che, a 39 anni, non ha ancora messo radici e sta tutta in una valigia. Come quella con cui Julia arriva a Barcellona, nella lussuosa villa di Pedralbes che lei e le sorelle sono costrette a vendere dopo la morte della madre Gloria. Fra i ricordi di un padre autoritario e severo, complice della dittatura franchista, e i segreti di famiglia occultati fra le pareti delle stanze deserte, Julia ritrova anche una fotografia della madre da giovane, abbracciata a un bellissimo sconosciuto. Alle prese con la sfrenata nipote, figlia della ribelle Olga, Julia si trova a fare i conti con un passato pieno di rivelazioni. Dalla Barcellona in fermento degli anni Settanta, quella delle prime manifestazioni e delle assemblee femministe, dell’amore libero, della musica e della controcultura, emerge il volto segreto di Gloria, una donna che la figlia conosceva solo a metà, capace di vivere una passione clandestina e travolgente che molto ha da insegnare, sull’amore e sulla vita. E sulle ribellioni silenziose che ci conducono verso i nostri sogni.

Mio caro serial killer

Alicia Giménez-Bartlett, trad. it. Maria Nicola (Sellerio)

413KX0Or-8L._SX349_BO1,204,203,200_L’ispettrice Petra Delicado di Barcellona è un po’ giù, sente che gli anni le sono piombati addosso tutti insieme. Un nuovo caso la scuote, un delitto «mostruoso e miserabile» che la rimescola dentro in quanto donna. Una signora sola, mai sposata, con un piccolo lavoro e una piccola vita, è stata trovata accoltellata. L’assassino si è accanito su di lei e ha poggiato sul corpo martoriato un messaggio di passione. L’indagine mette in luce che in quella esistenza era entrato l’amore, quello che illude e sconvolge una «zitella», come ripetono i maschi facendo imbestialire Petra. Tutto parla di femminicidio. Inizia con l’inseparabile vice Fermin Garzón il tran tran da segugi di strada che annusano il sospetto, un uomo insignificante che non lascia tracce. Però il rituale di sangue e lettere d’amore si ripete uguale ai danni di altre vittime. Si stende l’ombra preoccupante del serial killer e, anche per compiacere la stampa, alla coppia viene aggiunto, con funzione direttiva, un ispettore della Polizia autonoma della Catalogna, un giovane dal piglio moderno, rigido e pedante. Tutto l’opposto della collaudata coppia di sbirri, abituati a farsi sorprendere dalle intuizioni, ad attardarsi tra burette e tapas insaporite dal continuo battibecco. Così l’indagine prosegue nella tensione tra due generazioni e due modi opposti di investigazione e di vita. E forse questo allude metaforicamente allo scontro attuale tra i due patriottismi iberici. E porta dentro un bizzarro mondo metropolitano, le agenzie per cuori solitari. Nulla di straordinario per Petra che finisce sempre coll’immergersi dentro i misteri di una quotidianità piena di risvolti oscuri. Ma stavolta per sciogliere un’intricata matassa di colpevoli che sembrano vittime e vittime colpevoli Petra e Fermín devono affidarsi a un’indagine logica, quasi da detective deduttivi non da piedipiatti; e soprattutto la dura ma empatica poliziotta deve affrontare un assassino disumano. «L’essere umano può essere rabbioso e crudele, ma se non è psicopatico non arriva a tanto». E, forse a causa dello stress, forse per l’amarezza della verità, la commedia tra lei e Fermín corre più veloce del solito.

 

Barcellona mi amor

Melinda Miller (Tre60)

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A Barcellona, il 23 aprile è il giorno di Sant Jordi, la festa degli innamorati e dei libri. Chi si ama si scambia un regalo: le donne ricevono una rosa, gli uomini un libro. Proprietaria della libreria Bésame Mucho, Paloma ama quel giorno più di ogni altro, e sa consigliare sempre il libro perfetto da regalare, specialmente se si tratta di un dono che deve “valere” come dichiarazione d’amore. Eppure, lei, l’anima gemella non l’ha ancora incontrata… Enrique è un uomo affascinante, giornalista affermato con una passione smodata per la buona cucina ed un segreto che custodisce gelosamente. Anche lui si troverà a festeggiare Sant Jordi e, alla ricerca di un regalo per la sua compagna, entrerà nella libreria di Paloma. Ma il destino, un misterioso taccuino vergato a mano e una rosa stuzzicheranno la sua curiosità sino a travolgerlo e fargli conoscere il vero amore…

Il signore di Barcellona

José Lloréns, trad. it. Pierpaolo Marchetti (Mondadori)
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Barcellona, anno 1052. Quando Martí Barbany de Montgrí, giovane contadino, varca per la prima volta le porte della città che cambierà per sempre la sua vita, un anello e una piccola pergamena sono tutto ciò che possiede e che gli serve per riscattare la cospicua eredità lasciatagli dal padre. Ha così inizio la grande avventura che lo porterà a diventare un personaggio di spicco nella città dalle mille opportunità. Con grande fiuto e ingegno, Martí si arricchisce sempre più dedicandosi al commercio, ma l’impresa più ardua è quella di diventare cittadino di Barcellona e coronare il suo sogno d’amore contrastato con la dolce Laia, figliastra di un malvagio e influente personaggio. Il cammino si presenta irto di ostacoli e difficoltà, e non sempre la fortuna sarà dalla sua parte. La storia di Martí Barbany si intreccia con quella dell’amore tra Ramón Berenguer I, conte di Barcellona, e Almodis de la Marca, contessa di Tolosa, il cui legame adultero minaccia la pace della città, causando problemi politici con le contee vicine e addirittura con il pontefice. Il signore di Barcellona è un romanzo che emoziona con l’avvincente racconto di un’epoca oscura. Con grande maestria José Lloréns unisce fiction e storia per dare vita a una minuziosa ricostruzione della Barcellona medievale dell’XI secolo, una città di duemilacinquecento abitanti, che il lettore vedrà crescere pagina dopo pagina. I patti, le alleanze, gli intrighi di palazzo, l’ambizione economica e la convivenza tra differenti religioni sono animati dai sentimenti più intensi: passione, amicizia, invidia, lealtà e onore.

Imprevisto a Barcellona

Sir Steve Stevenson, illustrazioni di Stefano Turconi (De Agostini)
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Il nuovo caso che attende Larry è più strano del solito. Il giovane detective è stato contattato da un agente esperto per svolgere un incarico segretissimo: dovrà volare a Barcellona, incontrare l’agente JC33 e consegnargli un misterioso pacco. Sembra una missione molto delicata, ma tranquilla… finché, giunto in Spagna insieme ad Agatha, Larry scoprirà che è solo l’inizio di un caso decisamente complicato! Età di lettura: da 8 anni.

 

 

 

Trizia a Barcellona

Pedro Pérez (Dentiblù)
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Questo è il secondo volume di Trizia, la sexy protagonista del fumetto di Pedro Pérez. Sono passati due anni da quando Trizia e la sua migliore amica Olivia hanno trovato un editore per il loro primo fumetto. Adesso che il libro è pubblicato, partono alla volta di Barcellona per una sessione di dediche. È lì che lei e Olivia si accorgeranno di quanto una comic convention ti possa davvero mandare fuori di testa, specialmente se ci incontri una rivale con un enorme ego. A questo si aggiungerà un’orda di strambi personaggi in coda per una dedica. Un weekend che indubbiamente porterà molte emozioni alla splendida e ingenua Trizia.

Caccia allo Strega

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Da quando Nicola Lagioia ha vinto lo Strega, su Facebook stiamo assistendo a un curioso fenomeno: l’Antifascetta, la stroncatura senza cognizione di causa, lo strillo che si fa vanto della propria assenza di argomentazioni e della mancata lettura del libro. Il giudizio insomma espresso con la stessa faziosità, arbitrarietà e inventiva di una fascetta promozionale, solo di segno opposto.

Non mi riferisco soltanto ai post in cui ci si accanisce, di solito con un livore esagerato, contro qualche frase di La ferocia, prontamente estrapolata dal contesto ed esposta al pubblico ludibrio stile quiz: “chi riesce a capire il significato di questa frase?” Circola anche una foto in cui si riportano alcune righe con contorno di punti esclamativi, insieme all’accorata opinione di una cara “professoressa, di quelle che non ne fanno più così”, che segnala il paragrafo in questione “tra lo sconvolto e l’indignato”. E giù commenti altrettanto sconvolti e indignati, derisori nei migliori dei casi, volgari nei peggiori, sulla prosa di Lagioia.

Solo in un caso, trattandosi della pagina di una persona che stimo, ho deciso di dare la risposta al quiz e di dimostrare come le frasi in questione avessero un senso eccome, anzi, più di uno, a ben vedere. Ma il punto non è questo. Non spetta a me difendere la prosa di Nicola Lagioia (un susseguirsi di percorsi di significato nettissimi, secondo me, di una precisione chirurgica, e al tempo stesso incredibilmente sensoriali, in cui non c’è mai una parola di troppo), proprio come non spettava ai commentatori di Facebook distruggerla senza altro argomento che il “io non la capisco” e, inutile dirlo, senza aver letto il romanzo. Il punto è l’evolversi e il proliferare dell’eco. Ne ho parlato in L’eco di Eco: il messaggio nell’era dei social non è più il messaggio in sé, ma l’eco di quel messaggio. Non importa la fonte, non importa il contesto, importa quel ritaglio più o meno corrotto che riportiamo e che verrà a sua volta riportato, condiviso, commentato, perdendo ogni legame con la forma originaria, proprio come la frase di Lagioia ha perso ogni legame con il libro da cui è stata estrapolata.

Questi sfoghi inneggianti al rispetto della lingua italiana (che dovrebbe secondo qualcuno sporgere addirittura “denuncia per stalking”) da parte di chi non la sa evidentemente piegare alla propria volontà espressiva con la stessa violenza, abilità e ferocia di Lagioia, hanno qualcosa della caccia alla strega, nella loro ansia di distruggere ciò che si ignora e non si arriva a capire. Che si tratti dell’establishment letterario o delle tante strade che può prendere la lingua italiana.

Non c’è bisogno di scomodare la dotta ignoranza di Socrate, con grande sollievo di chi vuole essere rassicurato dalle cose semplici. Basta ricordarsi quel che ripetono le mamme a tavola: “Non si dice fa schifo, si dice non mi piace”. Anche sui social, a volte, la democrazia va a braccetto con la buona educazione.

MANUALE DI NON SCRITTURA CREATIVA/3

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E siamo al terzo post del manuale che nelle mie intenzioni dovrebbe cercare di farvi capire che cosa passa nella testa delle persone che leggeranno il vostro manoscritto. Una sorta di traduttore simultaneo, dal Voglio diventare scrittore al Prima devi passare sul cadavere del tuo manoscritto (no, non è davvero così, ma non ho resistito…).

Nei due post precedenti avete risposto alla prima domanda e anche alla seconda, quindi ora dovreste avere le idee più chiare. O almeno sapere per quale motivo qualcuno dovrebbe leggervi (secondo voi, ma è sempre meglio di niente) e che cosa volevate raccontare (ed è la parte più difficile, credetemi, anche se sembra la più scontata).

Terzo passaggio, ossia il terzo aspetto che viene preso in considerazione dopo la lettura di un inedito. Il protagonista.

Sorvoliamo per il momento sul fatto curioso che di solito il protagonista è meno riuscito dei personaggi secondari (stress da prestazione, immagino) e anche sul fatto che ci sono protagonisti talmente odiosi che viene sinceramente da farsi qualche domanda sull’autore. Sorvoliamo anche sul fatto che suscitano sempre qualche sospetto i protagonisti super eroi, super dotati, super simpatici, super sexy, super intrepidi (un po’ è lecito usare la letteratura per compensare la vita reale, ma non esagerate, che si nota; e sì, ho usato solo il maschile, perché mi spiace dirlo, anzi no, non mi spiace neanche un po’: a farlo sono quasi sempre gli uomini).

Sorvoliamo, appunto, e poniamoci la nostra fatidica domanda. Che in questo caso non è una ma sono due.

Com’è il protagonista all’inizio del libro? Domanda numero uno e domanda numero due:

Com’è il protagonista alla fine del libro?

Trova le 10 differenze.

E vi conviene trovarle, perché altrimenti ci sono serie possibilità che il romanzo non funzioni. Se non racconta una trasformazione, una crescita, un percorso di qualche tipo, potrebbe significare che non c’erano abbastanza ostacoli o conflitti che lo obbligassero a cambiare e che in definitiva, il protagonista deve essersi annoiato parecchio. Quindi figuratevi il lettore.

Sì, è vero, c’è una possibile eccezione: che il protagonista sia rimasto lo stesso e sia il mondo intorno a lui a essere cambiato. Ma a parte il fatto che vi sconsiglio sempre caldamente di cercare rifugio nelle eccezioni, anche in questo caso almeno qualche differenza dovreste trovarla. Perfino il granitico Bruce Willis, insomma, in Trappola di cristallo cambia almeno il colore della canottiera. 🙂

Ioleggoperché, tuleggiperché, noileggiamoperché e lorochesiattacchino

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Davanti alle ultime iniziative a favore della lettura, confesso, mi sono sentita un po’ come quando mi chiedevano un sms per qualche catastrofe.

È tutto molto nobile, per carità, e a qualcosa servirà. E poi un sms, che cosa mi costa? Ma ho sempre un po’ la sensazione di essere presa in giro. Premesso che semplifico per ragioni di spazio e che non condanno affatto né gli uni né gli altri, trovo che gli sms solidali abbiano in comune con le ultime iniziative a favore dei libri i seguenti effetti:

– ci fanno sentire tutti persone migliori, con un minimo sforzo;

– giustificano indirettamente il dolce far niente di chi invece dovrebbe occuparsene;

– semplificano irrimediabilmente il problema.

Insomma, i motivi per cui amiamo leggere erano quasi tutti molto poetici e condivisibili, ma davvero in qualche momento abbiamo pensato che qualcuno li avrebbe letti e si sarebbe detto “Toh, quasi quasi ci provo anch’io”? Perché in questo caso, forse di tempo con il naso cacciato nei libri ne abbiamo passato fin troppo.

Quello che serve perché le persone leggano di più è un sistema bibliotecario capillare, attivo, presente sul territorio, che organizzi iniziative in grado di attirare le persone in biblioteca. Servono programmi scolastici che fomentino davvero la lettura, a cominciare dai gusti dei bambini, dai comics, dai nuovi formati, non (solo) dai classici. Servono iniziative culturali nuove e originali, rivolte alle scuole e alle famiglie. Servono politici e giornalisti che ci ricordino che la cultura è una cosa seria, che non si fa strada a colpi di boutade e di battute. Che il sapere non è un vezzo, la precisione non è un optional e la cultura non passa (solo) per wikipedia.

Finché non succederà, possiamo anche dire che leggere aiuta a sentirsi liberi, a non essere mai soli, che è quasi come viaggiare, ma ce lo stiamo ripetendo fra noi. Un po’ come entrare in pasticceria e gridare viva il cioccolato. Ci scapperà anche l’applauso, ma non avremo certo fatto cambiare idea a qualcuno.

Non solo, sono convinta che gli sforzi a fin di bene possano rivelarsi dannosi. Perché se la smettessimo di mandare sms e di twittare slogan e buoni propositi, forse, ma solo forse, chi di dovere si deciderebbe a prendersi le sue responsabilità.