“Me l’ha data o me la sono presa?”

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“Me l’ha data.”

A ben vedere, comincia tutto da qui.

Le donne vogliono essere corteggiate. Gli uomini vogliono portarti a letto.

È uno scambio. Nella cultura dominante e negli stereotipi diffusi il sesso è uno scambio. Io te la do, e se te la do significa che tu mi hai dato qualcosa in cambio: attenzioni, un mazzo di rose, un tot di messaggini e di telefonate a discrezione dell’interessata. I più tirchi se la cavano con un paio di complimenti. Il conto no, quello tocca dividerlo, altrimenti sei poco emancipata. Per i più galanti lo scambio include la telefonata del giorno dopo, che deve fare rigorosamente lui, mai lei, altrimenti pare che gli uomini corrano tutti all’aeroporto e prendano il primo volo disponibile per poi cambiare numero di telefono, identità, connotati e tutti gli account social.

Se di scambio si tratta, questo significa che qualcuno può anche saltarsi qualche passaggio e prendersela senza aspettare che gliela diano, un po’ come se sgraffignasse una busta di caramelle al supermercato. Non c’è mica sempre bisogno di immobilizzare la cassiera e tirare fuori il coltello, per la miseria, se sei un po’ abile te la infili in tasca senza tante storie. “Oh, guarda là, che begli occhi quanto sono triste e depresso e mia mamma mi trascurava e il mio capo è uno stronzo e tu sei così comprensiva e così dolce e tanto carina con me per fortuna ci sei tu, e zac, è un attimo, il tempo che la cassiera si distragga e tu hai già la busta in mano e non vorrai mica mollarmi adesso sul più bello, che fai, la gatta morta, provochi e poi ti tiri indietro?” Et voilà, te l’ha data. Facile, no?

Stupro? Ma non diciamo sciocchezze. Se la cassiera stava guardando dall’altra parte è furto lo stesso? Se non aveva voglia, se stava dormendo, se prima dice di sì e poi di no, se è mia moglie, se è la mia fidanzata, se è sbronza, se è già nuda nel mio letto, se dice di non volerlo ma lo vuole eccome, è davvero tanto grave se me la prendo e basta? Stupro? Chi ha parlato di stupro?

In teoria non è difficile: dove non c’è consenso c’è stupro. Ma il consenso strappato a forza è un consenso? Il consenso perché non hai voglia ma se no tuo marito si incazza è un consenso? Il consenso perché altrimenti ti licenziano è un consenso? Il consenso perché lui ha pagato un conto astronomico al ristorante e ti senti in colpa a dirgli di no è un consenso? Il consenso perché non vuoi che vada in giro a dire a tutta la scuola che sei una sfigata è un consenso? E se stai zitta e gemi e apri le gambe è un consenso sufficiente? O meglio tirare fuori un modello prestampato, per sicurezza?

Quanti uomini hanno stuprato una donna e non ne sono consapevoli? Per quanti uomini si è trattato solo di semplificare un po’ lo scambio e prendersela, senza aspettare che lei gliela desse? Quanti uomini sono convinti che basti una fede al dito per assolvere la propria parte dello scambio e che il resto sia dovuto? Quanti uomini sono sinceramente e profondamente convinti, per pigrizia o ignoranza o analfabetismo emotivo, che prendersela fosse un loro diritto, quando non un dovere?

Non basta parlare di consenso. E non basta neanche parlare di potere, perché se è vero che lo stupro è una questione di potere, è altrettanto vero che non lo è sempre. O meglio, a volte basta il potere di essere uomo. Secondo la Treccani lo stupro è “un atto di congiungimento carnale imposto con la violenza”. Eppure quante donne sono state stuprate senza violenza?

Per affrontare la cultura dello stupro bisognerebbe innanzitutto smettere di considerare il sesso uno scambio. Serve una campagna che affronti il tema del consenso in tutte le sue forme e sfaccettature, che insegni alle donne che il sesso non è uno scambio, non è la moneta con cui siamo tenute a ripagare le attenzioni maschili e che il piacere maschile non è una nostra responsabiltà, non più di quanto sia una responsabilità dell’uomo il nostro. Detto in altri termini, possiamo fare a meno di sentirci in colpa se a fine serata ha bisogno di farsi una doccia fredda.

Non basta parlare di sesso nelle scuole, cosa che peraltro si fa ancora troppo poco. Non basta neanche parlare di contraccezione e di orgasmo, che pure è fondamentale. Dobbiamo insegnare alle nostre figlie e ai nostri figli che il sesso non è mai una concessione o un diritto, non lo si dà e non lo si pretende. Dobbiamo insegnare ai ragazzi e agli uomini a riconoscere comprendere e cercare il consenso, e insegnare alle ragazze e alle donne a riconoscere comprendere e cercare il desiderio. Bisogna raccontare il sesso e il piacere dal punto di vista delle donne e smettere di considerarlo una necessità soltanto maschile, neanche Madre Natura avesse dato a loro l’orgasmo e a noi il parto.

Cercheranno di farvi sentire sbagliate, stupide, ingenue, piccole e ignoranti, quando l’unica cosa che vi mancava era il desiderio. Questo dovremmo cacciare in testa alle nostre figlie e alle donne che conosciamo. Cercheranno di farvi passare per guastafeste per mascherare la propria incapacità. Vi daranno delle frigide o delle puttane a seconda di quello che reclama la loro insicurezza. Travestiranno il desiderio e il sesso con il volto di una mascolinità in cui forse non si riconoscono neanche e che proprio per questo rincorrono con più ansia e rabbia del dovuto.

Che paura, un esercito di donne consapevoli del proprio desiderio. Che comodo, tante donne che pensano di dovertela dare, prima o poi. Ma no, dai, ripensandoci, che cosa la facciamo a fare quella campagna? Sai che sbattimento, poi, mettere le mani su quella borsa di caramelle?

 

Mamma, ti leggi una storia?

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Alzi la mano chi dopo dieci minuti di gioco con i cubi o con le macchinine insieme al pargolo non ha provato il desiderio improvviso di fare qualcosa di più gratificante, tipo pulire il water. E per quanto io adori leggere insieme ai bambini, all’ottava rilettura di Riccioli d’oro credo che avrei preso la sedia di papà orso e gliel’avrei tirata in testa. All’orso, non al bambino.

No, non siete finite in un blog per mamme. Si parla sempre di rosa e femminismo. Perché uno dei motivi per cui il rosa può essere femminista è che insegna a essere felici. Ma allora, considerato che come è noto insegna più l’esempio di mille parole, per quale motivo dopo aver letto Peppa Pig non possiamo prendere in mano il nostro libro per dieci minuti, con buona pace del pargolo? Quale modo migliore per insegnare ad amare la lettura? Non sarebbe fantastico per le nostre figlie vedere che la mamma ogni tanto legge qualcosa che le piace? Così sì che si sentirebbero autorizzate e incoraggiate a fare altrettanto. Perché allora leggiamo il nostro libro di nascosto, la sera, quando i bambini sono andati a dormire, neanche fosse un piacere proibito, e di giorno ci facciamo vedere lavorando e o svuotando lavatrici? Che messaggio crediamo di trasmettere con tanta abnegazione, se non che altrettanta abnegazione sarà richiesta loro più avanti?

Intendiamoci, non sto dicendo di fregarsene mentre il pargolo fa l’equilibrista sul davanzale e neanche di creare un clima di terrore imponendo il silenzio assoluto. Anzi, se il libro o l’età del pargolo lo permettono, potete leggerlo a voce alta. Si tratta solo di educare alla lettura, davvero, nel quotidiano.

Di educare al piacere, senza sensi di colpa. Per non rischiare di insegnare anche quelli.