Mini corso di scrittura creativa per ragazzi

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Foto di fancycrave1 da Pixabay

Mini che più mini non si può. Cinque regole rapidissime per provare ad affrontare la pagina bianca con qualche punto di riferimento in più.

1. Prendete la vostra idea e spaccatela in due. Dovete tirarci fuori due mondi il più distanti possibile. Più saranno diversi, più la vostra storia sarà efficace. E sarà proprio il confronto fra questi due mondi a rendere il percorso del protagonista interessante. Povertà/Ricchezza Freddo/Caldo Realtà/Magia Sconosciuto/Famoso Timido/Estroverso Di successo/Imbranato… Se poi si tratta di una storia d’amore, la regola vale anche per i due protagonisti. Più saranno diversi, più la loro storia sarà impossibile, più il lettore si appassionerà. ESEMPIO: Élite, la serie di Netflix, non sarebbe la stessa cosa senza Samuel, Nadia e Christian, se tutti i protagonisti fossero ricchi.

2. Qualcuno ha detto impossibile? Ogni storia ha una posta in gioco, ossia quello che c’è in ballo e che il protagonista, o l’intera società, rischia di perdere. Quello che si vuole ottenere davvero. Un poliziotto può desiderare di risolvere un caso per il proprio senso innato di giustizia, ma se lo fa anche per riscattarsi, per mettere a tacere un senso di colpa nascosto, perché anni prima per esempio non è riuscito a salvare qualcuno che amava, la storia diventerà molto più appassionante. Nella posta in gioco è implicita anche la difficoltà della missione che aspetta i personaggi. Più l’obiettivo è difficile, più la storia sarà intrigante. ESEMPIOLa casa di carta, la serie di Netflix, a chi era mai venuto in mente di derubare proprio l’inespugnabile Fábrica Nacional de Moneda y Timbre?

3. A cena con il protagonista. Non basta dargli un nome, un passato, un colore per gli occhi e i capelli. Il vostro protagonista deve prendere vita sulla pagina. Significa che dobbiamo vederlo muoversi, dobbiamo sentire il suo tono di voce, dobbiamo sapere come cammina, che cosa lo spaventa, che cosa nega perfino a se stesso. Immaginatevelo davanti a una porta. Come la apre? Bussa? La spalanca? Aspetta di sentire chi c’è dall’altra parte? Se bussa lo fa con decisione o con discrezione? Si pulisce i piedi sullo zerbino? Non è necessario sapere tutto dei vostri personaggi, ma quando si muovono sulla carta dovete vederli, il movimento deve nascere da loro, non dovete muoverli voi come marionette. Date loro spazio, guidateli e lasciatevi guidare da loro. ESEMPIO: una storia di Instagram. Quante cose vi rivela una storia di Instagram dei vostri amici? Molto più di quello che crede chi l’ha postata. Sapremo qualcosa della sua casa, dei suoi gusti musicali, dei suoi orari, del suo stato d’animo… Con i vostri personaggi è lo stesso, ogni volta che agiscono ci svelano molto di più di quanto credono.

4. Sì, ma dove? Tutto ciò che accade nella vostra storia si svolge in uno spazio ben preciso, non avviene nel nulla. Questo non significa che ogni volta dobbiate fermare l’azione e descrivere tutto nei dettagli, stile catalogo Ikea, ma è importante che ci arrivi almeno l’atmosfera, qualche pennellata, i colori, la luce, un soprammobile, un profumo, un suono fuori dalla finestra. Non riferite quello che succede ai vostri protagonisti, non riassumete, mostratelo. Per questo non deve esserci nulla di casuale. La vostra stanza vi assomiglia, giusto? Ecco, anche il mondo della vostra storia deve assomigliare alla vostra storia. ESEMPIO: i meme di Harry Potter. Se non conosciamo il mondo di Harry Potter, i meme non ci diranno niente, al massimo potranno strapparci un sorriso poco convinto. Se scoppiamo a ridere quando li vediamo su Instagram è perché conosciamo il mondo a cui appartengono, proprio come la vostra storia ha bisogno di appartenere a un mondo.

5. La battaglia reale. Una storia non è una linea tesa fra l’inizio e la fine, ogni tanto bisogna aggrovigliarla, scomporla e cambiare l’ordine dei tasselli, spostare le informazioni qui e là, per rendere tutto più avvincente. Vi sono poi alcune tappe che tornano spesso e che possono aiutarvi a costruire la vostra trama. Ci sarà per esempio un momento in cui l’equilibrio iniziale del vostro protagonista cambia, per esempio quando riceve una notizia o conosce qualcuno o riceve un nuovo incarico. Ci sarà un momento in cui conosce i suoi nuovi compagni di viaggio e di avventura, ci sarà un momento in cui affronterà un mondo nuovo (forse perché si è messo in viaggio, forse perché ha conosciuto qualcuno che lo porta in quel mondo) e un altro in cui capirà che non può più tornare indietro, ci sarà un primo scontro con il nemico da cui uscirà malconcio, ma soprattutto ci sarà un momento in cui penserà che tutto è perduto, prima della battaglia finale. Per chi è interessato ad approfondire, cercate le 12 tappe dell’eroe di Christopher Vogler. Gli sceneggiatori dicono che quando scrivi una storia devi prendere il tuo protagonista, farlo salire su un albero, iniziare a tirargli le pietre e poi farlo scendere dall’albero. Solo mentre lo prendiamo a sassate infatti il nostro protagonista ha occasione di cambiare, di capire che cosa vuole davvero e di fare scelte diverse. ESEMPIO: i videogiochi ci portano in un mondo diverso, di cui dobbiamo conoscere le regole, per cui dobbiamo attrezzarci. Nel corso del gioco possiamo stringere alleanze e avere nuovi compagni e il nostro personaggio può cambiare pelle, come le skin di Fortnite, per avere maggiori possibilità di vincere. E più andiamo avanti, più il gioco si fa difficile. Proprio come per i nostri personaggi.

Dopo aver buttato giù la vostra storia, se volete fare la prova del nove, cercate il Manuale di NON scrittura creativa, crudele, ma utile. 🙂

Buon lavoro!

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Sì, scrivere è un mestiere. E sì, bisogna impararlo

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274. È il numero dei testi di esordienti che ho letto in questi anni, per lavoro. Non è una cifra altissima, ci sono professionisti che probabilmente ne leggono quasi il doppio in un anno solo. Il dato interessante è un altro, ossia che nella stragrande maggioranza dei casi, le debolezze dei testi erano le stesse. E si traducevano in due parole: non raccontavano.

È curioso, ma neanche tanto, se pensiamo che la letteratura è forse l’unica arte che, per molti, non si impara.

Nessuno trova strano che Rembrandt abbia avuto un maestro, prima di diventarlo a sua volta. I pittori, si sa, vanno a bottega come apprendisti per imparare il mestiere. I ballerini si ammazzano di fatica in palestra e si allenano per ore, per conseguire il movimento e la posizione perfetta, ed è proprio quello, la perfezione della tecnica, a sorreggere la loro arte. Gli sceneggiatori studiano sceneggiatura. I fotografi devono studiare a lungo, se vogliono fare qualcosa di diverso dalle foto ricordo delle vacanze. I pianisti passano ore al pianoforte, per eseguire o comporre.

Gli scrittori no. Gli scrittori in un immaginario popolare ancora più vivo di quanto si creda, si ubriacano e poi riversano tutto il loro furore sulla carta o sui tasti del computer. Et voilà, il capolavoro è servito. A partire da lì, tutto il resto è marketing e prostituzione. Non appena una matita rossa si avvicina al testo, questo perde la sua innocenza, viene snaturato, corrotto, piegato alle leggi del mercato. E nessuno pensa che prima delle leggi del mercato vengono quelle del romanzo. Che ogni arte ha le sue regole e i suoi strumenti. Che raccontare è un mestiere e come tutti i mestieri, deve essere imparato. Non tutti imparano allo stesso modo, non tutti faranno ricorso alle stesse regole, i più bravi ne scriveranno di nuove, qualcuno le piegherà alla propria ispirazione e qualche altro piegherà la propria ispirazione a quelle regole. Ma le regole (da regere, “guidare diritto”), o strumenti narrativi, se si preferisce, esistono. Altrimenti succede quello che succede in molti dei testi mandati in valutazione alle case editrici: possono essere ben scritti, possono avere spunti interessanti, ma non raccontano.

Ecco allora i difetti più ricorrenti nei manoscritti:

  1. Non raccontano, riassumono

Il testo riferisce, riassume, corre veloce sugli eventi, sorvola, informa. Veniamo a sapere che cosa è successo al personaggio, ma succedere non succede mai niente, o poca cosa. È tutto già successo. Ciò che preme all’autore o all’autrice, sembrerebbe, è informarci, non raccontarci la storia. Così non vediamo i personaggi in azione, non li sentiamo parlare, non sappiamo che cosa provavano in un determinato momento, che gesti facevano, dove si trovavano, se faceva freddo o caldo, se era sera o giorno, se erano stanchi o pieni di energia. Il romanzo finisce per assomigliare alla sua quarta di copertina. Non sono le quarte di copertina però a fare le storie, ma i dettagli che le rendono uniche.

  1. Non raccontano, spiegano

Sono i romanzi a tesi. Qui all’autrice o all’autore ciò che preme non è riassumere, ma dimostrare. Il tema c’è, e può essere originale e interessante e sincero, ma straborda e finisce per invadere l’intera storia. I personaggi invece di dialogare impartiscono lezioni all’autore, invece di riflettere dimostrano l’esattezza delle loro teorie, invece di agire, sbagliare, mettersi alla prova, soffrire, essere messi di fronte alle proprie ferite e costretti a guardare in faccia i propri conflitti, spiegano al lettore come la pensano.

  1. Non raccontano, illustrano

Sono le trame statiche, che non avanzano, che non propongono azione. Le storie in cui non c’è conflitto, non c’è posta in gioco, non c’è desiderio. Non è detto che non succeda niente, qualcosa succede, spesso si tratta di trame dispersive e poco equilibrate, ma il loro difetto principale non è questo, è che manca una linea d’azione e che i conflitti dei protagonisti sono già stati risolti fin dall’inizio. A muovere la storia non è quindi il loro desiderio, non sono le loro ferite, ma il desiderio dello scrittore di descrivere una determinata situazione, un mondo, un universo. E non perché in quel mondo non succeda niente, non perché l’assenza di azione sia una caratteristica di quell’universo e sia importante da raccontare. I protagonisti non aspettano nessuno, per scomodare Godot. Il punto non è quello. Il punto è che in realtà manca il racconto, perché l’autore sta illustrando, appunto, e non ha scosso abbastanza il suo mondo, non l’ha esaminato e messo alla prova abbastanza da capire che cosa fosse ad attirarlo davvero, dove si nascondesse il vero motivo della sua ispirazione. “Fate salire i vostri protagonisti su un albero, tempestateli di pietre e poi fateli scendere”, ricordo di aver letto in un manuale di scrittura creativa. Ecco, nei romanzi che illustrano senza raccontare i protagonisti restano ai piedi dell’albero, con il naso all’insù.

Insomma, 274 manoscritti per arrivare alla conclusione a cui qualcuno probabilmente era arrivato già molto prima. Scrivere e scrivere romanzi non sono sinonimi più di quanto lo siano farsi il bagno e gareggiare per i cinquanta metri stile libero. O indossare un accappatoio ed essere uno jedi, come dice il meme. Nessuno, credo, andrebbe a vivere nella casa progettata da un architetto senza studi e senza esperienza, quindi non vedo perché dovrebbero leggere il romanzo di un autore che non ha dimestichezza con le regole narrative. E se è vero, parafrasando Truffaut, che tutti hanno due mestieri, il loro e quello di scrittore, allora forse converrà iniziare a imparare anche il secondo. E no, stiamo pure tranquilli, non abbiamo venduto l’anima e la penna a nessuno. Stiamo solo imparando.

Manuali di scrittura creativa: da dove cominciare?

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Non aprite quella porta!

La porta in questione è quella del mondo editoriale e della scrittura creativa. Una volta aperta, infatti, ci si trova irrimediabilmente sperduti. Si scrive, si sogna, ci si ritrova soli con le proprie frustrazioni, non si capisce più dove stia il problema, si cade nella tentazione del “tanto pubblicano solo i figli di qualcuno” “il mio è un libro troppo raffinato per le regole del marketing editoriale” “non lo mando a nessuno si sa mai che me lo copino” “non ci sono più gli editori di una volta”.

Non è vero, in realtà. I buoni libri possono trovare la strada della pubblicazione. Non è facile, bisogna adattarsi, imparare, accettare consigli e cambiamenti, ma è una strada percorribile, a patto di percorrerla con gli strumenti giusti. Ma quali sono questi strumenti?

Come orientarsi nella giungla di manuali di scrittura creativa? È utile una scheda di valutazione? A che cosa serve esattamente? Per stendere un breve elenco di testi che possano aiutare gli scrittori esordienti mi sono rivolta a una delle agenzie migliori di Italia, la Grandi & Associati, che ha un servizio di valutazione inediti che funziona ormai da più di trent’anni, e ho chiesto consiglio a loro.

D: In cosa consiste esattamente un servizio di lettura e valutazione?

R: Valutiamo gli esiti, i pregi e i limiti di un testo, oltre che le potenzialità di un’eventuale revisione. La scheda di lettura analizza tutti gli aspetti del lavoro, sia quelli letterari e formali (analisi dei temi, struttura, stile, lingua), sia quelli legati al possibile accoglimento dell’opera da parte del mercato editoriale (valutazione commerciale). Discute pregi e difetti del testo e, se opportuno, contribuisce con consigli e suggerimenti a un’eventuale revisione da parte dell’autore.

D: A chi è rivolto il servizio?

R: A chi ha “un libro nel cassetto” e vuole capire se può aspirare alla pubblicazione, a chi avverte la necessità di una valutazione professionale di quanto ha scritto, a chi ha difficoltà a ottenere risposta dagli editori cui ha inviato il libro in lettura, ma anche a chi vuole migliorare la propria scrittura e avere un riscontro sulla validità letteraria e editoriale del proprio testo.

D: I manuali di scrittura servono? Da quale cominciare?

R: Com’è noto esistono svariati manuali di scrittura creativa ma il nostro consiglio è di partire dai classici più collaudati. Eccovi qualche titolo, per cominciare, a cui potete aggiungere qualunque testo, romanzo o saggio, di Alberto Arbasino, che tratta in più occasioni di come si costruisce un romanzo contemporaneo.

Il mestiere di scrivere, di Raymond Carver

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Esercizi di scrittura creativa, lezioni, istruzioni per la composizione di una short-story, note sull’arte della concisione. L’insegnamento della scrittura creativa è stato per Raymond Carver qualcosa di piú che un modo per guadagnarsi da vivere: cominciò negli anni ’70 a tenere le sue memorabili lezioni di Creative Writing – in un periodo segnato dalla devastazione dell’alcolismo – e quelle lezioni oltre a dare origine a una vera e propria tendenza letteraria furono per Carver un modo per riflettere sul senso del narrare e per confrontarsi con i grandi scrittori suoi maestri – da Checov a Hemingway -, in particolare sulla forma della short-story. (Dalla quarta di copertina)

Nuotare sott’acqua e trattenere il fiato, di Francis Scott Fitzgerald34449958

Questo volume raccoglie le riflessioni e i giudizi espressi dal grande scrittore americano, lungo tutta la sua vita, sul tema dello scrivere: cos’è lo scrittore e che cosa fa, cosa vuol dire scrivere, come si gestiscono i personaggi di un romanzo, qual è il rapporto tra lo scrittore e il mondo dell’editoria e della critica. L’autore simbolo dei Roaring Twenties fornisce suggerimenti assai vari, assecondando la sua naturale tendenza a insegnare, a comunicare la propria esperienza. In tempi in cui tutto sembra procedere verso lo smascheramento dell’apparenza, Fitzgerald va nella direzione opposta, lontano dalle certezze che ostacolano il cammino verso l’illusione della bellezza. «Scrivere bene», dice, «è sempre nuotare sott’acqua e trattenere il fiato». (Dalla quarta di copertina)

Variazioni sulla scrittura – Il piacere del testo, di Roland Barthes

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Di che cosa tratta Il piacere del testo? Delle emozioni che il testo suscita nel lettore. Osserva giustamente Barthes che se alla domanda « cosa conosciamo del/dal testo ?» la semiologia è riuscita a dare risposte convincenti, la stessa cosa non è però accaduta per l’altra domanda fondamentale: «che cosa godiamo nel testo ?» Si tratta dunque, nelle parole dello stesso Barthes, di «riaffermare il piacere del testo contro l’indifferenza scientifica e il puritanesimo dell’analisi sociologica, contro l’appiattimento della letteratura a un suo semplice apprezzamento». Ma come rispondere, concretamente, a quest’ultima domanda ? poiché il piacere è, per sua stessa natura, inesprimibile, un testo sul piacere del leggere non potrà che assumere la forma di una successione di frammenti, in una sorta di messa in scena del problema che rigetta dal principio la scientificità dell’analisi testuale. Contemporanee al Piacere del testo, le Variazioni sulla scrittura, originariamente commissionate per un volume dell’Istituto Accademico di Roma, rivelano una perfetta solidarietà di concezione e struttura con quel saggio. Come sottolinea Carlo Ossola, ciò che Barthes aveva felicemente concepito «era un unico saggio, una sola movenza», che va dal lavoro di incisione della materia attraverso lo scrivere alla libera fruizione del testo. (Dalla quarta di copertina)

 

Per chi volesse saperne di più sul servizio di valutazione inediti dell’Agenzia, trovate tutte le informazioni qui.

Per chi volesse mettere alla prova il proprio testo con una serie di domande divertenti, invece, qui nel blog trovate il Manuale di NON scrittura creativa.

Riscrivere per ritrovarsi

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Foto jev55 (CC)
Le storie già scritte sono come le case in cui abbiamo abitato un tempo. In cui abbiamo sognato, ci siamo emozionati, abbiamo fatto progetti e coltivato relazioni fatte di conflitti e di prove. Quando ci torniamo dopo anni, ci aggiriamo fra le loro stanze credendo di conoscerle bene, di sapere che cosa troveremo svoltato l’angolo, ma prima o poi finiscono sempre per sorprenderci, per metterci davanti qualcosa che non ci aspettavamo e non ricordavamo. Tanto da farci sorgere il dubbio, per quanto assurdo sia, che sia passato qualcun altro dopo di noi a cambiare le cose.
Se bussiamo piano alle pareti e ascoltiamo con attenzione, poi, riusciamo a sentire se sono davvero solide o pericolanti, se sono intere o se nascondono un passaggio segreto, un nascondiglio, una cavità ancora tutta da esplorare.
A tornarvi dopo un po’ di tempo, il tempo necessario per dimenticare abbastanza e permettere alla nostra memoria di farci da editor, le pareti della storia a volte riservano grandi sorprese. Scopriamo per esempio che alcune possono essere abbattute senza pericolo, lasciando entrare aria e luce nella storia. E un attimo dopo ci accorgiamo che da qualche altra parte è necessario sollevarne subito un’altra, per evitare un cedimento strutturale di cui non avevamo tenuto conto.
Scopriremo porte che non conducono da nessuna parte, stanze che non comunicano fra loro, finestre troppo piccole che non valorizzano il panorama all’esterno. Ci sono stanze a cui non si può arrivare in alcun modo, perché ci siamo scordati la porta o le scale. Le abbiamo create per poi dimenticarcene e abbiamo costruito la storia tutt’attorno, soffocandole o riducendole a uno sgabuzzino.
A volte sentiamo il bisogno di aggiungere una cantina piena di tesori nascosti, o una soffitta in cui mettere quel che non ci servirà subito ma che tornerà utile più avanti. Altre volte dovremo andare a stanare quel tesoro e sistemarlo nella stanza giusta, perché ce l’eravamo scordato in garage o fuori dalla porta.
Anche le case più belle, quelle in cui siamo stati più felici, possono riservare sorprese, viste con altri occhi. A volte ci accorgiamo di essere stati troppo timidi, troppo preoccupati dalle necessità strutturali e dal bisogno che la casa fosse solida, per esempio, per ricordarci di fare in modo che ci assomigliasse davvero. Con le storie è lo stesso. In alcuni casi si ha bisogno di scriverle più volte, la prima per iniziare a conoscerle e imparare a costruirle senza che ci crollino addosso, la seconda per scoprire che quello che volevamo dire è rimasto in un angolo e che nessuno lo noterà, se non cambiamo il piano della casa. Qualche volta tocca sacrificare un personaggio e cacciarlo fuori di casa, qualche altro personaggio avrà una stanza più grande o magari addirittura un piano nuovo, tutto per sé. Possiamo togliere un’ala o aggiungerne una nuova, cambiare il colore della facciata e magari aprirvi intorno un bel giardino, o un piccolo parco. L’importante è che sentircisi a casa e lasciare che parli di noi.
La riscrittura, quando la affrontiamo con un pizzico di freddezza necessaria, ha qualcosa di frastornante e di rassicurante al tempo stesso, come smarrirsi in un labirinto e poi trovare finalmente l’uscita. Un labirinto costruito da noi, ma di cui abbiamo smarrito la mappa. E come per ogni viaggio, è quando ci si perde che si fanno le scoperte più belle. E si capisce che cosa è davvero importante.
Le regole del tè e dell'amore (1)

Manuale di NON scrittura creativa/16

 

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Foto Isidre García Puntí

Quando una storia non funziona, c’è quasi sempre un grande assente. La metafora. È la metafora infatti a fare la differenza. È lei, spesso, a trasformare ciò che si voleva raccontare in un racconto, le idee in una storia, le figure in personaggi. Come una bacchetta magica degna della fatina di Cenerentola, trasforma la zucca dello spunto iniziale in una carrozza, in grado di trasportare di gran carriera la fantasia verso il palazzo e il romanzo verso il lieto fine.

Sostituzione di un termine proprio con uno figurato, similitudine sottintesa, trasferimento di significato… Qualunque sia la definizione che preferite, sarà la metafora  a far spiccare il grande salto alla storia. Soprattutto se ci ricordiamo di usarla quando iniziamo a delineare i contorni di quello che racconteremo.

Nella stragrande maggioranza dei romanzi che aspirano a essere pubblicati manca un tema. E nella stragrande maggioranza dei romanzi in cui il tema è presente, viene messo in bella mostra così com’è stato concepito dalla mente dell’autore. Nudo e puro, quasi l’autore avesse paura di rovinarlo. Senza passaggi intermedi. Senza, appunto, diventare metafora.

Eppure le grandi storie nascondono tutte qualche metafora. Il taxista di Taxi Driver è una metafora della solitudine; la peste di Camus è una metafora del male; gli alieni dei romanzi di fantascienza sono spesso una metafora della diversità; gli zombie una metafora dell’alienazione; il mare di Baricco è una metafora della vita, il labirinto del Nome della rosa è una metafora della ricerca della verità… E gli esempi potrebbero continuare quasi all’infinito, sterminati e affascinanti.

Ma torniamo al nostro manoscritto, quello che il Manuale di NON scrittura creativa è qui per smontare impietosamente e sottoporre alla prova del fuoco. Riprendiamo in mano il nostro testo, già quasi pronto per essere spedito, e aggiungiamo un’altra domanda a quelle elencate nei post precedenti: dov’è la metafora?

Se l’intenzione era parlare della solitudine, ho introdotto un lungo dialogo del protagonista davanti allo specchio o l’ho raccontata attraverso una metafora, come l’autismo, la prigionia, l’isolamento, il gelo? Se il tema che mi stava a cuore era la vulnerabilità, ho tratteggiato una protagonista lamentosa e spaventata o mi sono affidata a metafore come una porta che non si chiude, una bambola senza un braccio, una mosca intrappolata in una ragnatela?

Ci saranno metafore più riuscite e altre meno, alcune più originali e altre più banali. Qualche metafora arriva sulla pagina per caso o trascinata dalla nostra ispirazione, senza bisogno di chiamarla. Qualche altra forse avrà bisogno di un lavoro più consapevole, nel momento in cui la storia prende vita. Non ha importanza. L’importanza è che non ci dimentichiamo di cercarle. E di usarle. E non solo perché arricchiscono il romanzo, non solo perché ci evitano di essere troppo diretti e didascalici. Soprattutto perché sono la bacchetta magica che darà vita alle nostre pagine nella mente del lettore. Perché non importa quanto siamo bravi, non importa quanto è interessante quel che abbiamo da dire. Senza la magia, senza qualche topolino come cavallo e un cavallo come cocchiere, la nostra fantasia non correrà mai a briglia sciolta e le idee non si trasformeranno in storie.

Manuale di RIscrittura creativa/3

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Foto glasseyes view (CC)

La riscrittura arriva molto più vicino al processo creativo di quanto non faccia la scrittura, il che spiega fra l’altro perché sia più difficile da insegnare. Di manuali sulla scrittura sono pieni gli scaffali delle librerie, virtuali e non, ma di testi dedicati alla riscrittura ne esistono molti meno.

Innanzitutto c’è un equivoco di fondo da chiarire: non si riscrivono solo i testi che non funzionano. Anche un romanzo riuscito può essere riscritto, perché no? Per provare a esplorare la storia da un’angolazione diversa, per allungarla magari, farla diventare più seria, più spiritosa, più esplicita… Le ragioni possono essere le più svariate.

Nella mia esperienza, riscrivere è come sbirciare sotto la storia originaria, per scoprire che cosa nasconde. Un personaggio può avere un vissuto molto più interessante e ricco di conseguenze narrative di quanto sembri. Qualcosa nel suo passato può non solo aiutarci a definirlo meglio, ma portare avanti la storia, spingerla in una direzione leggermente diversa.

Un luogo può essere più ricco di dettagli di quelli che sono arrivati sulla pagina. Dettagli che è importante menzionare, perché conferiscono un’atmosfera del tutto nuova alla storia, aggiungendovi significato. Frasi che completano le conversazioni, gesti che chiariscono le emozioni del momento, oggetti che reclamano un posto sulla scena…

Ma è sul piano strutturale che la riscrittura riserva le sorprese più emozionanti. Scoprire che fra due personaggi esiste un legame più intimo e intenso di quel che credevamo alla prima stesura, scoprire che qualcun altro al contrario è più utile da morto che da vivo, o non è utile affatto.

E poi quel momento particolarmente magico in cui ti accorgi di aver sempre girato intorno a quel che ti stava a cuore davvero, per paura di non saperlo raccontare, di averlo relegato in un angolo, in una trama secondaria, e aprire la porta di quella storia, concederle più spazio e lasciare che si prenda – finalmente – l’importanza che meritava e che aveva sempre avuto.

La riscrittura è sfuggente e delicata, come le idee, che nel momento in cui si impongono spazzano via le tracce che si sono lasciate alle spalle, come un personaggio in fuga sulla neve. Ma soprattutto la riscrittura è azzardata, e ha qualcosa di rivoluzionario e di ribelle.

Di tutti i cambiamenti portati dal digitale, questo secondo me è quello destinato a lasciare le conseguenze più durature: la possibilità di intervenire sui testi in modo quasi immediato, privandoli della immobilità a cui ci aveva abituati il cartaceo. Il digitale ci ha riportati alla magia della narrazione orale, con la sua immediatezza, la sua padronanza assoluta sul racconto e la sua capacità di trasformare le storie ogni volta, raccontandole, consegnandole all’istante in cui le parole si fanno storia.

Quell’istante in può succedere davvero di tutto.

 

Manuale di RIscrittura creativa/2

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Quando decidiamo di riscrivere un testo, perché ci sembra che non funzioni o semplicemente per provare a vedere che cosa succede, con la curiosità di un bambino che smonta il suo giocattolo preferito, finiamo spesso per fare scoperte inaspettate. Proprio come il bambino. E come lui, anche a noi servono coraggio e incoscienza in parti uguali per cominciare, perché stiamo per mettere mano a qualcosa che amiamo e che molto probabilmente non tornerà mai più come prima. O almeno noi non lo vedremo più con gli stessi occhi. Quasi sempre, però, ne vale la pena. Perché arriviamo a conoscere la nostra storia molto più di prima. A conoscere il nostro percorso creativo. E a migliorarlo.

Ma da dove cominciare? La storia molto spesso ci piace già così com’è. Dopo tutte le ore che le abbiamo dedicato ci siamo affezionati a ogni singola riga e sì, certo, intuiamo che da qualche parte c’era qualcosa in più che ci sarebbe piaciuto dire, ma non sappiamo come arrivarci.

Un buon punto di partenza per la riscrittura sono i personaggi. Perché a volte ce ne sono almeno un paio che possono essere sacrificati. Attenzione, non sto dicendo che sia indispensabile farli fuori, che sia un errore non farlo e che ogni bravo scrittore dovrebbe avanzare fra le fila dei suoi personaggi mietendo vittime in modo spietato. Ovviamente ci sono storie in cui non è possibile farlo, per esempio quando sono molto corte o hanno pochi personaggi. Ma quando è possibile, spesso è un ottimo modo per cominciare a riscrivere una storia e soffiarci dentro nuova vita. Come capire quindi quali personaggi sacrificare?

Per cominciare, pensiamo che più miriamo in alto più i risultati saranno interessanti. Non sto suggerendo di far fuori il protagonista o la protagonista (cosa che peraltro aprirebbe scenari davvero impensati!), ma neanche di prendervela con qualche comprimario di cui forse non si sentiva la necessità, ma di cui non si noterà neanche la mancanza. E che quindi non ci costringerà a ripensare la storia.

I personaggi ideali da eliminare sono quelli che entrano a far parte della storia per un unico motivo, di solito per dare il via alla vicenda o per apportare un’informazione fondamentale o per presentare qualcuno a qualcun altro. Sono personaggi rilevanti, ben caratterizzati, spesso molto vicini al nostro protagonista e abbastanza presenti nella storia. Di quelli che non si può fare a meno di citare in quarta di copertina, per intenderci. Eppure, non appena proviamo a eliminarli, ci accorgiamo che quasi tutte le scene funzionano perfettamente anche senza di loro. Questo perché di solito erano distratti mentre il protagonista si occupava delle cose davvero importanti, si limitavano a qualche commento ininfluente ai margini della vicenda, non erano insomma di nessun aiuto e di nessuna utilità. Si limitavano a svolgere una funzione ed esaurita quella, vagavano per la storia come anime in pena, salvo di solito scomparire improvvisamente per non fare più ritorno.

Ecco dunque da dove possiamo cominciare se vogliamo cimentarci con la riscrittura. Proviamo a eliminare una o due di queste figure e vediamo che cosa succede.

Ecco alcune delle conseguenze possibili:

  1. il protagonista è costretto ad affrontare da solo le situazioni in cui usava il nostro personaggio-funzione come spalla, quindi ora non solo ha più spazio, ma siamo obbligati a farlo agire di più, a misurarsi con i problemi e le novità, ad assumersi un maggior numero di responsabilità narrative. A crescere, insomma, in un certo senso. Soprattutto se a scomparire è un membro della sua famiglia, un migliore amico, un fidanzato, un fratello o una sorella.
  2. in assenza del personaggio-funzione, siamo costretti a trovare un altro modo per giustificare determinati snodi, per esempio, il coinvolgimento del protagonista nella vicenda, il modo in cui viene a conoscenza di una certa informazione, il perché di una sua scelta. È uno dei momenti più interessanti della riscrittura e spesso la struttura narrativa ne esce enormemente rafforzata. Eliminare il personaggio-funzione infatti può servire a portarci più vicini al cuore della nostra storia, a sviluppare meglio il tema, a rendere più intimo e ricco il percorso del protagonista. Tolta la scusa, eliminato il pretesto, anche il protagonista sarà costretto a dire chiaro e tondo che cosa cerca, che cosa spera di imparare o quale conflitto spera di risolvere.
  3. alcuni dei tratti del personaggio-funzione possono ricadere su altri personaggi secondari, arricchendoli. Capita spesso che in una storia ci siano personaggi che si assomigliano o che hanno qualche affinità emotiva o caratteriale. Se decidiamo di eliminare uno dei due, l’altro avrà molte più sfumature a disposizione e potrà diventare più complesso e articolato.

Ma non finisce qui, ovviamente. Ora abbiamo una storia sbilanciata, un po’ zoppa. Nel prossimo post vedremo alcuni dei modi in cui possiamo provare a rimettervi mano, intervenendo sulla trama e sulla struttura narrativa. Per ora, anche se ci sembra impossibile, abbiamo una visione privilegiata dei meccanismi interni della nostra scrittura, dopo averla messa a nudo in modo un po’ crudele, dopo averla smembrata per poterla guardare più da vicino. Proprio come il bambino davanti al suo giocattolo, quando, tolti i primi pezzi, riesce finalmente a sbirciarci dentro.