Mini corso di scrittura creativa per ragazzi

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Foto di fancycrave1 da Pixabay

Mini che più mini non si può. Cinque regole rapidissime per provare ad affrontare la pagina bianca con qualche punto di riferimento in più.

1. Prendete la vostra idea e spaccatela in due. Dovete tirarci fuori due mondi il più distanti possibile. Più saranno diversi, più la vostra storia sarà efficace. E sarà proprio il confronto fra questi due mondi a rendere il percorso del protagonista interessante. Povertà/Ricchezza Freddo/Caldo Realtà/Magia Sconosciuto/Famoso Timido/Estroverso Di successo/Imbranato… Se poi si tratta di una storia d’amore, la regola vale anche per i due protagonisti. Più saranno diversi, più la loro storia sarà impossibile, più il lettore si appassionerà. ESEMPIO: Élite, la serie di Netflix, non sarebbe la stessa cosa senza Samuel, Nadia e Christian, se tutti i protagonisti fossero ricchi.

2. Qualcuno ha detto impossibile? Ogni storia ha una posta in gioco, ossia quello che c’è in ballo e che il protagonista, o l’intera società, rischia di perdere. Quello che si vuole ottenere davvero. Un poliziotto può desiderare di risolvere un caso per il proprio senso innato di giustizia, ma se lo fa anche per riscattarsi, per mettere a tacere un senso di colpa nascosto, perché anni prima per esempio non è riuscito a salvare qualcuno che amava, la storia diventerà molto più appassionante. Nella posta in gioco è implicita anche la difficoltà della missione che aspetta i personaggi. Più l’obiettivo è difficile, più la storia sarà intrigante. ESEMPIOLa casa di carta, la serie di Netflix, a chi era mai venuto in mente di derubare proprio l’inespugnabile Fábrica Nacional de Moneda y Timbre?

3. A cena con il protagonista. Non basta dargli un nome, un passato, un colore per gli occhi e i capelli. Il vostro protagonista deve prendere vita sulla pagina. Significa che dobbiamo vederlo muoversi, dobbiamo sentire il suo tono di voce, dobbiamo sapere come cammina, che cosa lo spaventa, che cosa nega perfino a se stesso. Immaginatevelo davanti a una porta. Come la apre? Bussa? La spalanca? Aspetta di sentire chi c’è dall’altra parte? Se bussa lo fa con decisione o con discrezione? Si pulisce i piedi sullo zerbino? Non è necessario sapere tutto dei vostri personaggi, ma quando si muovono sulla carta dovete vederli, il movimento deve nascere da loro, non dovete muoverli voi come marionette. Date loro spazio, guidateli e lasciatevi guidare da loro. ESEMPIO: una storia di Instagram. Quante cose vi rivela una storia di Instagram dei vostri amici? Molto più di quello che crede chi l’ha postata. Sapremo qualcosa della sua casa, dei suoi gusti musicali, dei suoi orari, del suo stato d’animo… Con i vostri personaggi è lo stesso, ogni volta che agiscono ci svelano molto di più di quanto credono.

4. Sì, ma dove? Tutto ciò che accade nella vostra storia si svolge in uno spazio ben preciso, non avviene nel nulla. Questo non significa che ogni volta dobbiate fermare l’azione e descrivere tutto nei dettagli, stile catalogo Ikea, ma è importante che ci arrivi almeno l’atmosfera, qualche pennellata, i colori, la luce, un soprammobile, un profumo, un suono fuori dalla finestra. Non riferite quello che succede ai vostri protagonisti, non riassumete, mostratelo. Per questo non deve esserci nulla di casuale. La vostra stanza vi assomiglia, giusto? Ecco, anche il mondo della vostra storia deve assomigliare alla vostra storia. ESEMPIO: i meme di Harry Potter. Se non conosciamo il mondo di Harry Potter, i meme non ci diranno niente, al massimo potranno strapparci un sorriso poco convinto. Se scoppiamo a ridere quando li vediamo su Instagram è perché conosciamo il mondo a cui appartengono, proprio come la vostra storia ha bisogno di appartenere a un mondo.

5. La battaglia reale. Una storia non è una linea tesa fra l’inizio e la fine, ogni tanto bisogna aggrovigliarla, scomporla e cambiare l’ordine dei tasselli, spostare le informazioni qui e là, per rendere tutto più avvincente. Vi sono poi alcune tappe che tornano spesso e che possono aiutarvi a costruire la vostra trama. Ci sarà per esempio un momento in cui l’equilibrio iniziale del vostro protagonista cambia, per esempio quando riceve una notizia o conosce qualcuno o riceve un nuovo incarico. Ci sarà un momento in cui conosce i suoi nuovi compagni di viaggio e di avventura, ci sarà un momento in cui affronterà un mondo nuovo (forse perché si è messo in viaggio, forse perché ha conosciuto qualcuno che lo porta in quel mondo) e un altro in cui capirà che non può più tornare indietro, ci sarà un primo scontro con il nemico da cui uscirà malconcio, ma soprattutto ci sarà un momento in cui penserà che tutto è perduto, prima della battaglia finale. Per chi è interessato ad approfondire, cercate le 12 tappe dell’eroe di Christopher Vogler. Gli sceneggiatori dicono che quando scrivi una storia devi prendere il tuo protagonista, farlo salire su un albero, iniziare a tirargli le pietre e poi farlo scendere dall’albero. Solo mentre lo prendiamo a sassate infatti il nostro protagonista ha occasione di cambiare, di capire che cosa vuole davvero e di fare scelte diverse. ESEMPIO: i videogiochi ci portano in un mondo diverso, di cui dobbiamo conoscere le regole, per cui dobbiamo attrezzarci. Nel corso del gioco possiamo stringere alleanze e avere nuovi compagni e il nostro personaggio può cambiare pelle, come le skin di Fortnite, per avere maggiori possibilità di vincere. E più andiamo avanti, più il gioco si fa difficile. Proprio come per i nostri personaggi.

Dopo aver buttato giù la vostra storia, se volete fare la prova del nove, cercate il Manuale di NON scrittura creativa, crudele, ma utile. 🙂

Buon lavoro!

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Sì, scrivere è un mestiere. E sì, bisogna impararlo

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274. È il numero dei testi di esordienti che ho letto in questi anni, per lavoro. Non è una cifra altissima, ci sono professionisti che probabilmente ne leggono quasi il doppio in un anno solo. Il dato interessante è un altro, ossia che nella stragrande maggioranza dei casi, le debolezze dei testi erano le stesse. E si traducevano in due parole: non raccontavano.

È curioso, ma neanche tanto, se pensiamo che la letteratura è forse l’unica arte che, per molti, non si impara.

Nessuno trova strano che Rembrandt abbia avuto un maestro, prima di diventarlo a sua volta. I pittori, si sa, vanno a bottega come apprendisti per imparare il mestiere. I ballerini si ammazzano di fatica in palestra e si allenano per ore, per conseguire il movimento e la posizione perfetta, ed è proprio quello, la perfezione della tecnica, a sorreggere la loro arte. Gli sceneggiatori studiano sceneggiatura. I fotografi devono studiare a lungo, se vogliono fare qualcosa di diverso dalle foto ricordo delle vacanze. I pianisti passano ore al pianoforte, per eseguire o comporre.

Gli scrittori no. Gli scrittori in un immaginario popolare ancora più vivo di quanto si creda, si ubriacano e poi riversano tutto il loro furore sulla carta o sui tasti del computer. Et voilà, il capolavoro è servito. A partire da lì, tutto il resto è marketing e prostituzione. Non appena una matita rossa si avvicina al testo, questo perde la sua innocenza, viene snaturato, corrotto, piegato alle leggi del mercato. E nessuno pensa che prima delle leggi del mercato vengono quelle del romanzo. Che ogni arte ha le sue regole e i suoi strumenti. Che raccontare è un mestiere e come tutti i mestieri, deve essere imparato. Non tutti imparano allo stesso modo, non tutti faranno ricorso alle stesse regole, i più bravi ne scriveranno di nuove, qualcuno le piegherà alla propria ispirazione e qualche altro piegherà la propria ispirazione a quelle regole. Ma le regole (da regere, “guidare diritto”), o strumenti narrativi, se si preferisce, esistono. Altrimenti succede quello che succede in molti dei testi mandati in valutazione alle case editrici: possono essere ben scritti, possono avere spunti interessanti, ma non raccontano.

Ecco allora i difetti più ricorrenti nei manoscritti:

  1. Non raccontano, riassumono

Il testo riferisce, riassume, corre veloce sugli eventi, sorvola, informa. Veniamo a sapere che cosa è successo al personaggio, ma succedere non succede mai niente, o poca cosa. È tutto già successo. Ciò che preme all’autore o all’autrice, sembrerebbe, è informarci, non raccontarci la storia. Così non vediamo i personaggi in azione, non li sentiamo parlare, non sappiamo che cosa provavano in un determinato momento, che gesti facevano, dove si trovavano, se faceva freddo o caldo, se era sera o giorno, se erano stanchi o pieni di energia. Il romanzo finisce per assomigliare alla sua quarta di copertina. Non sono le quarte di copertina però a fare le storie, ma i dettagli che le rendono uniche.

  1. Non raccontano, spiegano

Sono i romanzi a tesi. Qui all’autrice o all’autore ciò che preme non è riassumere, ma dimostrare. Il tema c’è, e può essere originale e interessante e sincero, ma straborda e finisce per invadere l’intera storia. I personaggi invece di dialogare impartiscono lezioni all’autore, invece di riflettere dimostrano l’esattezza delle loro teorie, invece di agire, sbagliare, mettersi alla prova, soffrire, essere messi di fronte alle proprie ferite e costretti a guardare in faccia i propri conflitti, spiegano al lettore come la pensano.

  1. Non raccontano, illustrano

Sono le trame statiche, che non avanzano, che non propongono azione. Le storie in cui non c’è conflitto, non c’è posta in gioco, non c’è desiderio. Non è detto che non succeda niente, qualcosa succede, spesso si tratta di trame dispersive e poco equilibrate, ma il loro difetto principale non è questo, è che manca una linea d’azione e che i conflitti dei protagonisti sono già stati risolti fin dall’inizio. A muovere la storia non è quindi il loro desiderio, non sono le loro ferite, ma il desiderio dello scrittore di descrivere una determinata situazione, un mondo, un universo. E non perché in quel mondo non succeda niente, non perché l’assenza di azione sia una caratteristica di quell’universo e sia importante da raccontare. I protagonisti non aspettano nessuno, per scomodare Godot. Il punto non è quello. Il punto è che in realtà manca il racconto, perché l’autore sta illustrando, appunto, e non ha scosso abbastanza il suo mondo, non l’ha esaminato e messo alla prova abbastanza da capire che cosa fosse ad attirarlo davvero, dove si nascondesse il vero motivo della sua ispirazione. “Fate salire i vostri protagonisti su un albero, tempestateli di pietre e poi fateli scendere”, ricordo di aver letto in un manuale di scrittura creativa. Ecco, nei romanzi che illustrano senza raccontare i protagonisti restano ai piedi dell’albero, con il naso all’insù.

Insomma, 274 manoscritti per arrivare alla conclusione a cui qualcuno probabilmente era arrivato già molto prima. Scrivere e scrivere romanzi non sono sinonimi più di quanto lo siano farsi il bagno e gareggiare per i cinquanta metri stile libero. O indossare un accappatoio ed essere uno jedi, come dice il meme. Nessuno, credo, andrebbe a vivere nella casa progettata da un architetto senza studi e senza esperienza, quindi non vedo perché dovrebbero leggere il romanzo di un autore che non ha dimestichezza con le regole narrative. E se è vero, parafrasando Truffaut, che tutti hanno due mestieri, il loro e quello di scrittore, allora forse converrà iniziare a imparare anche il secondo. E no, stiamo pure tranquilli, non abbiamo venduto l’anima e la penna a nessuno. Stiamo solo imparando.

Manuale di NON scrittura creativa/12

Foto Benson Kua (CC)
Foto Benson Kua (CC)

Poi c’è l’errore del pesce rosso, diffuso come il pesce da cui prende il nome.

L’errore del pesce rosso è quello in cui cadono le storie che si svolgono nel nulla, in una sorta di vuoto a perdere dove il più delle volte non troviamo neanche un’alghetta finta o un po’ di ciottoli sul fondo. I personaggi parlano, agiscono, si disperano, gioiscono nella loro vaschetta e il lettore li guarda un po’ come guarderebbe un pesce rosso, appunto. Dietro il vetro. Immersi nel nulla.

Quando va bene, sul vetro l’autore ha appiccicato un’etichetta con un’indicazione frettolosa del genere “si spostano in camera da letto” o “passeggiando al parco”, ma se cercate di capire, chessò, se la camera è luminosa o buia, se ha tende colorate alle finestre, se dà su una strada rumorosa o su campi sterminati, o se il parco è deserto o affollato, se tirano folate improvvise di vento, se il terreno è coperto da foglie autunnali o da aiuole vivaci, avrete un bel provare a incollare il naso contro il vetro della boccia. Dove si muova il pesce rosso resta un mistero, di cui deve farsi carico la vostra immaginazione.

Peccato che l’immaginazione, a differenza del pesce rosso (o forse proprio come lui) dopo cinque minuti nella boccia, senza uno straccio di atmosfera a cui aggrapparsi, un dettaglio insolito, una nota musicale, un raggio di luce che disegna ombre curiose sul vetro, finisca con l’annoiarsi e pensare a qualcosa di più emozionante, tipo la lista della spesa. E a quel punto la trasformazione in pesci rossi è compiuta, perché i vostri personaggi inizieranno anche a boccheggiare senza che al lettore importi un fico secco di quel che si dicono.

Se state leggendo questo Manuale sapete già che l’intenzione non è incoraggiarvi a scrivere, è esattamente l’opposto: mettervi in crisi, farvi incazzare, riempirvi di dubbi, perché solo così avrete la prospettiva giusta sulla vostra storia. Al calduccio e felici non si scrivono le storie migliori. Le idee giuste vengono quando siamo stanchi e infreddoliti, quando abbiamo bisogno, mai a pancia piena.

Alle domande da porsi a manoscritto ultimato che ho descritto nei post precedenti, per evitare di spendere un capitale in francobolli, aggiungete allora la Domanda del pesce rosso. Tornate indietro fra le pagine, guardate agire, parlare, soffrire i vostri personaggi e ignorate quello che si dicono, proprio come ignorereste i balbettii del pesce rosso, per concentrarvi invece esclusivamente sul posto in cui si trovano.

E se la risposta è «Quale posto?» potete iniziare a mettere via i francobolli e riaprire il file al computer.

Ecco, non c’è bisogno che vi dica che l’errore successivo è quello del Catalogo Ikea, in cui invadete la boccia del povero pesce rosso di mobili e suppellettili non richieste, di cui non sa cosa fare e che non gli lasciano lo spazio neanche per un colpetto di pinna. Non è necessario che includiate un registro esaustivo dei visitatori del parco nei dieci minuti in cui i vostri personaggi lo attraversano. Ma se c’è un dettaglio che può ravvivare il loro dialogo, qualche personaggio curioso che può fare da segno di interpunzione e, ancora meglio, rafforzare il clima emotivo della scena, il pesce rosso sarà felicissimo di fargli posto.

Allora, per citare una fonte indiscutibile come Ariel la Sirenetta, «Non fate i pesci rossi». Ma non cercate neanche di avere un controllo ossessivo degli ambienti. Funziona un po’ come con le stanze dei figli, noi ci mettiamo i mobili, ma se la camera avrà un’anima sarà soltanto grazie a loro. Lasciate fare ai personaggi, ogni tanto, chissà mai che non trovino una forchetta in una nave affondata e decidano che serve per arricciare i capelli. Altro che pesci rossi.

Donne e scrittura

masella

Il confrontarsi delle donne con la scrittura pubblica è uno dei punti fondamentali del femminismo e si dimostra essenziale nella lotta contro l’oblio e l’effimero.

Duby e Perrot, Storia delle donne. L’Ottocento (pag 491).

Incontrato per caso da Maria Masella.