Lo smartworking e la fabbrica dei sensi di colpa

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Di tutte le menzogne che racconta chi lo smartworking l’ha studiato a tavolino, o dalla scrivania del proprio ufficio, la più pericolosa per le donne è che sia un modo fantastico per conciliare casa e lavoro e mettere quindi a tacere ogni senso di colpa.

Lasciatevelo dire da chi lavorava in smartworking quando ancora si chiamava essere così sfigata da lavorare da casa: i sensi di colpa non scompaiono affatto, si moltiplicano.

Scena uno: lasciate il pargolo al nido in lacrime e correte in ufficio. Vi sentite uno schifo, non importa quante volte vi ripetono che appena svoltate l’angolo lui si trasforma nell’animatore dell’aula e fa il giocoliere con i cubi per le costruzioni, voi ve lo immaginerete comunque con l’espressione e l’allegria di quei cani sui poster delle pubblicità progresso che ti spiegano perché è sbagliato abbandonare il migliore amico dell’uomo in autostrada. Ma siete in ufficio, avete un orario da rispettare, un capo e quattro pareti e un intero sistema contrattuale su cui scaricare parte della responsabilità.

Scena due: lasciate il pargolo al nido in lacrime e correte a casa perché siete in ritardo con una consegna. Riuscite a ignorare la lavatrice, la lavapiatti e perfino quelle due dita di polvere che fanno tanto Sahara e vi tuffate davanti al pc. Al vostro tavolo. A qualche metro di distanza dal punto esatto in cui vostro figlio ora potrebbe giocare allegro e spensierato, senza traumi da abbandono e senza dover fare lo slalom fra i bacilli e la fase orale dei morsi altrui. Voi siete a casa, vostro figlio no, eccola la crudele verità. Nessuno vi obbliga a lavorare proprio adesso, diciamolo, la notte è il momento perfetto, nel silenzio, quando nessuno ha più bisogno di voi e non rischiate di perdervi qualche tappa epocale del suo sviluppo. Basta solo non essere così egoiste da pretendere di passarla dormendo.

Scena tre: siete in grado di lavorare con il piccolo sulle ginocchia, sulle spalle, sulla schiena, solfeggiando la canzone del Re Leone e lanciandolo per aria con una mano per poi afferrarlo con l’altra nel tempo che vi ci vuole a stendere un piano aziendale. Voi non avete bisogno di conciliare, voi siete la conciliazione, nulla vi separerà dal vostro cucciolo e dai vostri obiettivi. Nulla tranne un raggio di sole, quel raggio di sole che scenderà sul vostro tappetino per il mouse a ricordarvi l’esistenza dei parchi e delle malattie orribili dovute alla carenza di vitamina D. Per non parlare di idraulici, elettricisti, corrieri, pediatri e dei supermercati che dopo le sette c’è una coda pazzesca e se potessi passare tu dal meccanico sarebbe fantastico altrimenti non preoccuparti, prendo un giorno di permesso che sarà mai, l’ultimo l’hanno solo trascinato per l’ufficio coperto di pece e piume prima di licenziarlo ma non voglio mica disturbarti.

Lavorare in casa può essere la scelta migliore o la peggiore, non c’è una vita uguale all’altra, ma una cosa posso assicurarvela: piovono sensi di colpa grossi come pietre sulla classe lavoratrice a km 0, e piovono tutto il tempo, non solo in orario d’ufficio. Con ogni probabilità passerete l’intera giornata a schivarli e a sentirvi pure uno schifo per questo. Per lavorare da casa non serve il wi-fi, serve la convinzione incrollabile di meritarvi almeno una parte del vostro tempo in esclusiva, non solo gli avanzi spossati che vi deposita davanti a fine giornata la vostra famiglia. La certezza che il tempo che dedicate a voi stesse non è sempre e comunque rubato a qualcun altro e che il valore di una donna non si misura prima di tutto sul suo sacrificio. Se ne siete sicure, lo smartworking può essere fantastico. Se non lo siete, finirete per scoprire che cosa specificava la postilla scritta in fondo a corpo 8 e per pagare la tassa che il mondo ha messo sulla felicità e sulle ambizioni delle donne.