Non chiamatela prova bikini

grey-seal-2164736_1280Capillari. Peli. Smagliature. Da almeno trent’anni ci combatto come se fossero piante infestanti nel giardino all’inglese impeccabile ed eternamente giovane che il mio corpo non è mai stato, in realtà.

Non è certo l’unica guerra in corso. C’è anche quella contro i chili di troppo, per citarne una, ma in quel caso se non altro la battaglia non è solo contro il mio corpo, anche contro uno squilibrio che lo minaccia, non solo estetico, contro un punto di non ritorno all’orizzonte. O almeno io così sempre l’ho vissuta. Ma l’accanimento contro i peli, contro la pelle che invecchia, inesorabile, ed è liscia e giovane e uniforme più o meno come un fossile del pleistocene, quello è diverso. In realtà sto combattendo contro me stessa. Quella con cui me la prendo sono io.

Certo, i capillari sono il segno di una circolazione che non funziona come dovrebbe e quindi a loro volta la spia di un disequilibrio, ma una spia accesa ormai da quando avevo quindici anni e che non si spegne se non dietro lauto compenso e sempre e comunque in modo provvisorio. Un po’ come la cellulite. Non dovrebbe esistere una sorta di condono cellulitico, dopo tutto questo tempo? Trascorso un determinato numero di anni, non è più perseguibile per legge. Ormai ce l’hai e te la tieni, come la veranda abusiva del vicino o il gatto randagio che dorme ogni sera nel tuo giardino. Dopo un po’ non si fa prima a lasciarlo entrare e dargli un nome?

All’improvviso mi sono resa conto che quella sono io. Non è una malattia, non è un errore di fabbricazione, non è un difetto, sono io. Mi sono stufata di accanirmi contro me stessa, come se non ci pensassero già abbastanza l’avanzare degli anni e i sensi di colpa. Basta. No, non ho le gambe giovani e lisce e perfette che farebbero così bene il paio con l’immagine di me stessa che coltivo dentro e che nessuno vede, ma che fa capolino dietro i sogni e i sorrisi. Continuerò a prendermi cura di me stessa, ma non a misurarmi con un traguardo che non mi appartiene. Prima di guardarmi allo specchio, mi assicurerò che lo sguardo che giudica sia il mio, e il mio soltanto.

Niente prova bikini, quest’anno, insomma. Rimandata a mai più. Se quel che vedete non vi piace, sentitevi liberi di guardare dall’altra parte. Il corpo degli uomini viene esibito, si allarga, si espande, occupa spazio, lo rivendica, si fa metafora del loro potere. Il corpo delle donne viene limato costantemente dagli sguardi e dalle aspettative altrui. Ma è nostro, ci appartiene, possiamo farne quello che vogliamo, ed esistono sicuramente modi migliori di vivere i mesi in cui lo liberiamo dai vestiti che trasformarli in un esame continuo.

Non chiamatela prova bikini, almeno finché non esisterà anche una prova bermuda al maschile e la posta in gioco sarà esattamente la stessa, quella sorta di diritto di cittadinanza sulla spiaggia che le donne si guadagnano a suon di diete e creme anticellulite. C’è uno specchio di cristallo, nell’immaginario collettivo, uno specchio in cui noi donne riusciamo a vedere solo il riflesso del giudizio degli altri e mai davvero ed esclusivamente noi stesse. L’estate è un ottimo momento per provare a farne a meno. Per vedere soltanto il nostro corpo, in quello specchio.