Perché un Period party potrebbe essere un’ottima idea

Una festa per celebrare l’arrivo delle mestruazioni. Ma anche un appuntamento annuale per festeggiarle fra amiche, volendo. Negli Stati Uniti i period party impazzano sempre di più e stanno raggiungendo per popolarità i baby shower. Allora perché non provare a organizzarle anche in Italia?

Ma perché una festa per le mestruazioni? Il comico Bert Kreischer ha raccontato di averne organizzata una per la figlia e ha consigliato a tutti i padri di fare altrettanto, superate le perplessità iniziali sulla indispensabile red velvet cake. Uno dei motivi per cui un period party potrebbe essere una buona idea, infatti, è che si tratta di un ottimo modo per condividere l’esperienza anche con padri e fratelli. Un’occasione per parlarne, insomma, per smontare i tabù divertendosi, per confrontarsi, raccontarsi, ma anche per informare, per riderci sopra, per aiutarsi a vicenda.

Il rosso è l’ospite d’onore, ovviamente, ma a partire da lì tutto è lecito. Vi sono le versioni più allegre, festive e fantasiose, per sbizzarrirsi con dolci, bevande e aperitivi a tema (a cominciare dallo sciroppo di fragola per cui avrebbe optato la mamma di Luna in Fazzoletti rossi), oltre che con la decorazione, l’abbigliamento, i regali (è il momento ideale per la prima coppetta, per un fazzoletto rosso da sfoggiare a scuola o per un kit personalizzato, come questi suggeriti su Pinterest) e i giochi. “Pin the uterus” è un’ottima alternativa all’attacca la coda all’asino, per non parlare delle tombole o dei giochi dell’oca sull’argomento. Assorbenti, salvaslip e tampax possono rivelarsi molto versatili e non avere niente da invidiare a striscioni e bandierine. E fra dolcetti e decorazioni, tutti gli invitati usciranno di lì con un’idea molto più chiara dell’anatomia femminile.

Ma una festa dedicata alle mestruazioni può anche essere un modo per affontare argomenti più seri, fra invitate un po’ più adulte. Riunendo competenze diverse si può parlare della dieta consigliata per i diversi giorni del ciclo, di endometriosi, fare lezione di yoga per imparare ad alleviare i dolori mestruali o, perché no, iniziare ad affrontare la menopausa.

C’è la versione solidale, in cui raccogliere fondi o assorbenti da donare a centri e associazioni per le donne e le ragazze in difficoltà, oltre a promuovere iniziative di informazione e sensibilizzazione. Ma anche la versione bookclub, se ci si riunisce attorno a uno “scaffale rosso” popolato di romanzi, saggi e manuali per tutte le età, o quella cinematografica o musicale (se volete risparmiare tempo, c’è già una playlist su Spotify, da The Tide is High a Bleeding Love, passando per Purple Stain).

Insomma, non ci sono limiti alla fantasia. L’importante è parlarne, parlarne e ancora parlarne. Capire, imparare. E riderci sopra. Fra le tante testimonianze sul menarca raccolte sul sito fazzolettirossi, una costante è l’ansia, la difficoltà di vivere il momento con serenità, quel “signorina” che ti pesa addosso come un dovere, più che come un privilegio. I ricordi più belli invece sono quelli festivi, i regali, le piccole celebrazioni, l’affetto e la tenerezza. Perché allora non aggiungerci anche due risate? Dopo essere state lasciate fuori dalla porta come Malefica, le mestruazioni adesso non si meritano forse una bella festa?

Perché serve una scatola rossa per gli “assorbenti sospesi” in tutte le scuole

foto statale
All’Università degli Studi di Milano

“Durerebbe una settimana, massimo, poi la distruggerebbero.”

“Abbiamo problemi più seri, a scuola.”

“Non ci sono i soldi neanche per la carta igienica.”

“Le ragazze non hanno alcun problema a procurarsi gli assorbenti.”

“È poco igienico.”

“Per le ragazze di oggi non è mica un tabù, ne parlano tranquillamente.”

“Il cartone può essere incendiato.”

Sono alcune delle obiezioni che ho raccolto davanti alla proposta di mettere in tutte le scuole, a partire dalle medie, una scatola rossa dove chi può e vuole lasci ogni tanto un assorbente e chi ne ha bisogno ogni tanto lo prenda. Le obiezioni sono tutte legittime, tranne forse quella sul costo, dal momento che per realizzarla bastano una scatola riciclata e un po’ di fantasia. È vero, le ragazze oggi ne parlano serenamente. Alcune. Di quelle che se ne vergognano e le vivono con imbarazzo non potremo mai tenere il conto. Ci sono. Ci sono anche loro. Solo che non lo sappiamo.

Certo, quasi tutte le ragazze possono pagarsi un assorbente. O almeno così crediamo.  Ne siamo proprio sicuri? I dati per l’Italia non ci sono, ma la period poverty esiste eccome, ed è un problema. Nel Regno Unito, dove dal 20 gennaio vengono distribuiti gratuitamente nelle scuole e nei college pubblici, una ragazza su dieci ha dichiarato di non potersi permettere gli assorbenti. In Nuova Zelanda un’alunna su 12 salta la scuola perché non può permettersi di acquistare gli assorbenti.

È vero che la scatola rossa in un bagno scolastico avrebbe una vita spericolata e forse qualche spiritosone se ne andrebbe in giro per il corridoio con due assorbenti incollati in testa a mo’ di orecchie o userebbe il tampax come missile, magari colorato ad arte. Anche i gessetti del resto possono essere usati per fare disegni sconci, ma non è un buon motivo per proibirli. La carta igienica prende fuoco facilmente, ma se ne incoraggia comunque l’uso. Le porte delle aule vengono prese a calci e a pugni, a volte, ma ancora non sono state abolite. Perché? Perché sono necessarie. E gli assorbenti invece no?

Il problema allora è un altro. Il problema è che i problemi delle donne si affrontano solo quando non creano problemi. Se non sono a costo zero, in tutti i sensi possibili e immaginabili, i problemi delle donne passano in fondo all’ordine del giorno e da lì al dimenticatoio. Vengono ignorati, non esistono, hanno la stessa rilevanza sociale dell’artrite delle cavallette. Ci sono sempre questioni più gravi di quelle che riguardano le donne, oltre al fatto che sarebbe cosa gradita che le donne facessero quello che ci si aspetta da loro, ossia dedicarsi a risolvere i problemi altrui, invece di assillare con i propri.

Una scuola che non mette nei bagni delle ragazze non dico un distributore gratuito di assorbenti, ma almeno un contenitore in cui sia possibile prenderli e lasciarli, è una scuola che ignora il fatto che una percentuale vicina alla metà della sua popolazione ha le mestruazioni una volta al mese. Le ragazze possono scambiarsi gli assorbenti sotto banco, in qualche caso possono chiederle a una bidella ben disposta, possono parlarne con una professoressa complice, ma per la scuola intesa come istituzione le mestruazioni non esistono. Al massimo, e non sempre, troveremo un cestino apposito in cui buttare gli assorbenti sporchi.

Ecco perché è fondamentale che il progetto della scatola rossa (o bianca, o lilla, o verde) prenda piede in tutte le scuole, come ha già iniziato a fare in alcuni licei e università, e che succeda a partire dalle medie. Non (solo) perché gli assorbenti costano. Non (solo) perché nessuna ragazza debba andare in giro con un rotolo di cartaigienica fra le gambe per tutta la mattina. Non (solo) per aiutare le ragazze a parlarne apertamente. Anche e soprattutto perché le mestruazioni devono diventare visibili, devono rivendicare un posto nello spazio pubblico. È il primo passo perché il femminile smetta di essere fatto di segreti e tabù. Ho scritto “Fazzoletti rossi” proprio perché mi sembrava necessario che le mestruazioni comparissero nei romanzi rivolti a un pubblico giovane e giovanissimo. Perché è a quell’età che è importante che siano un argomento come tutti gli altri.

Se fossero gli uomini ad avere le mestruazioni, nessuno se ne vergognerebbe, anzi. La sindrome premestruale se la giocherebbe con la peste bubbonica in termini di gravità e i distributori nei bagni ci sarebbero eccome. Non è soltanto una questione di privilegio, ma della rappresentazione che lo rispecchia. Il maschile è la norma. Il femminile l’eccezione a quella norma. Per questo la presenza degli assorbenti nei bagni deve essere giustificata da ragioni imprescindibili, per questo viene subordinata a tutti gli altri problemi di cui soffrono la scuola e i ragazzi. Perché il femminile non è la norma. E in un mondo in cui non è la norma, quando ti arrivano le prime mestruazioni capisci che per te valgono regole diverse e che dovrai conquistarti con i denti i luoghi di potere, perché “di norma” non ti sono concessi. E la tua vita inizia a cambiare e a prendere, sottilmente, in modo quasi inavvertito, una direzione diversa.

L’idea è facile da realizzare: bastano una scatola di cartone, un pennarello e un po’ di creatività. “Prendine uno se vuoi, lasciane uno se puoi” è la scritta che ho visto più di frequente, ma nulla impedisce di scriverci sopra tutt’altro. È un progetto a costo zero, che fomenta e rafforza la solidarietà e lo spirito di collaborazione, che permette di riflettere sui tanti modi in cui la nostra società vive gli spazi comuni, che incoraggia lo scambio di informazioni e la consapevolezza. I luoghi pubblici devono appartenere a uomini e donne, e perché sia davvero così, devono essere in grado di interpretare le esigenze di entrambi.

Si può fare. Basta volerlo fare.

copertina fazzoletti rossi

HO LE MESTRUAZIONI!/2 In spiaggia

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Sì, sempre in maiuscolo e a voce bella alta, come nel primo post, ma in bikini questa volta!

Quando il gioco si fa duro, le donne mestruate cominciano a giocare a racchettoni in spiaggia. Ma che ne sapete, voi che passeggiate sul bagnasciuga sfoggiando muscoli palestrati tutti bozzi e steroidi, con una tartaruga capovolta al posto della pancia e un costumino stretto stretto si sa mai che non si noti. Ma che ne sapete voi di forza, di resistenza, delle prove di sopravvivenza, quelle vere?

“Non è che spunta il filo del Tampax?”

“Esisterà un modo per attaccare l’assorbente al pezzo di sotto del bikini e non ritrovarmelo sotto le ascelle?”

“Sicura che una volta in acqua si bloccano? Ma poi quanti secondi di autonomia ho fino al bagno?”

“Sangue? No, no, faccio il peeling con i semini del pomodoro. Fanno miracoli.”

“Uh, che schifo, non vorrai mica fare il bagno con le mestruazioni? Nell’acqua in cui poi entriamo anche noi per fare la pipì?”

Ebbene sì, fatti due rapidi calcoli, di tutte le bellezze in bikini intorno a voi, almeno un quarto ha le mestruazioni. Le mestruazioni. Quel piccolo dettaglio fisiologico da cui dipende sostanzialmente la sopravvivenza della specie, il segreto più difeso dopo la ricetta della Coca-Cola (“Sì, certo che lo so che cosa vi succede, state buttando fuori l’uovo scaduto.” “Ci credo che sei debole, perdere trenta litri di sangue ogni mese…”).

L’altro giorno il mio vicino di ombrellone ha cambiato il pannolino pieno di cacca santa sotto il mio naso e io ho capito e sono stata zitta. E l’altro giorno ancora l’ho vista quella signora con la messa in piega a prova di salsedine che entrava in acqua giusto giusto fino all’inguine e poi usciva più leggera con un sorrisino finto innocente, e io ho capito e sono stata zitta. E ho visto anche quel signore anziano che a riva si è fatto un lavaggio del cerume che neanche dall’otorino, e ho capito e sono stata zitta. E in acqua mi sono trovata davanti una nonna che ha tirato fuori dalle narici della nipotina abbastanza moccico da costruirci una diga, e anche quella volta ho capito e sono stata zitta.

E allora sapete che c’è? Io farò del mio meglio per non sporcarmi (per me, non per voi), ma se dovesse succedere, se mi ritrovassi con il costume insanguinato, con un alone rosso fra le gambe o con il cordino del Tampax che sporge dal costume, mi aspetto che voi capiate e stiate zitti.

Le nostre mestruazioni vi infastidiscono? Che peccato. Ce lo segniamo, fra le cose interessantissime  di cui non possiamo non tenere conto, subito dopo i rituali di accoppiamento dei pappagalli. Nel frattempo, mentre voi fingete che non esistano, vi spiace se per il Tampax zuppo usiamo il cono di plastica per i mozziconi di sigaretta?

HO LE MESTRUAZIONI!

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Sì, così, tutto in maiuscolo e a voce bella alta.

“Mi dia una confezione di ASSORBENTI ULTRA CON ALI.”

“Lei che cosa dice, L’APPLICATORE DEI TAMPAX serve davvero o con il dito vanno al loro posto lo stesso?”

“Ma LA COPPETTA, poi siamo sicuri che riesco a tirarla fuori?”

Senza sussurrare, senza infilare nel carrello i primi che troviamo per non farci sorprendere davanti allo scaffale. Senza vergogna. Il governo ha deciso che gli assorbenti sono un bene di lusso e devono essere tassati al 22%, a differenza di altri beni di prima necessità come i tartufi, tassati al 5%. Ma allora, se le mestruazioni sono un lusso, sfoggiamole come si deve, dico io! Ne parliamo sussurrando, compriamo gli assorbenti come un adolescente alle prese con l’acquisto del primo preservativo, siamo noi le prime, spesso, a fingere che non esistano. Ci capita un lusso simile ogni ventotto giorni e ce ne vergogniamo, neanche ci avessero sorprese a mangiare pane e tartufi.

Se stiamo male “in quei giorni lì” lo diciamo quasi scusandocene, perché non siamo “abbastanza donne” da soffrire in silenzio. Tolleriamo che i pubblicitari versino sangue azzurro a nobilitare con un tocco maschile il nostro sangue e il nostro utero. Abbiamo permesso che una malattia dolorosa e terribile come l’endometriosi diventasse quasi invisibile.

Le mestruazioni sono un lusso? Ve lo diamo noi il lusso. Vi impediremo di fingere che non esistano. E non c’è bisogno di andare in giro con i pantaloni insanguinati. Basta parlarne, parlarne, parlarne. Ad alta voce, e con orgoglio, proprio come faremmo con qualunque altro bene di lusso.

“Buongiorno signora, come sta?”

“Oh, non ha idea, mi sono arrivate con una settimana di anticipo e sanguino come un maiale sgozzato da ieri.”

“Non me ne parli. Ieri mi sono infilata così tanti assorbenti interni che alla fine pensavo che mi avrebbero chiesta in moglie.”

“Non posso venire, ho le mestruazioni.”

“Metto motivi personali?”

“Ho le mestruazioni.”

“Mal di pancia, allora?”

“Non ho mangiato troppo. Ho le mestruazioni.”

“Parenti in visita? Indisposizione mensile?”

“Le mando una foto?”

Parliamone. A voce alta. E non solo fra donne. Parliamone soprattutto davanti agli uomini. Parliamone con le nostre figlie e senza aspettare che il fratello o il padre siano usciti dalla stanza. Se succede ogni ventotto giorni non è un lusso. E non è un segreto.

Essere donna non è una colpa e non è una condizione da scontare. Non siamo tenute a soffrire in silenzio. Volete fingere che gli assorbenti non esistano e non siano necessari? Aspettate e vedrete. Ne parleremo così tanto che in confronto il calcio diventerà un argomento di nicchia. Ci sarà perfino uno status apposta su Facebook. “In che fase del ciclo sei?” Con tanto di gif. Ne parleremo fino allo sfinimento. E alla fine non potrete più fare finta di niente.

C’è un elefante nella stanza, signori, un elefante rosso sangue. Vi impediremo di fingere che non esista.

copertina fazzoletti rossi

Femminismo Super Plus

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Foto z a m i r a no more (CC)

Ci sono cose che capisci davvero solo quando cerchi di spiegarle ai tuoi figli. Come la fotosintesi, il plurale in -ie o i lati buoni di tua suocera. E le mestruazioni. Non solo perché ti scopri vergognosamente impreparata su un sacco di dettagli tecnici o perché non sai mai dove ti porterà la domanda successiva o dove finirà il tampax che il figlio minore sta usando come elica. È perché ti scopri a parlarne come di una condanna, un piccolo segretuccio imbarazzante, una cosa che ti capita, da sopportare stoicamente come ogni brava donna che si rispetti, nel più assoluto silenzio. «E ringrazia che adesso puoi andare in spiaggia lo stesso»  ti scopri a dire, con le stesse parole che hanno detto a te in quel giorno che ti sembra ieri ma che ieri non è, quando avevi visualizzato schiere di donne in costumi a mezza coscia coraggiosamente incollate alle sdraio. «E non devi neanche metterti le mutande di plastica.»

Poi leggi qualcosa negli occhi di tua figlia, una sorta di incomprensione mista a incredulità, in cui ritrovi la stessa incredulità che avevi provato anche tu anni prima. E capisci che non è per la faccenda degli ovuli e neanche per la tua spiegazione raffazzonata e men che meno per il sangue. I bambini il sangue lo vedono in continuazione, a ogni caduta e a ogni graffio al parco. No. È la vergogna la parte che non capisce, come non la capivo io allora. Se succede tutti i mesi, dice quello sguardo in cui mi riconosco, se succede perché lo dice il mio corpo, non può esserci niente di male. Dove è andato a finire l’orgoglio di essere donna che mi hai insegnato finora? Entra in stand by per qualche giorno al mese? Come funziona esattamente, in quei giorni sei donna a metà? Sei donna nel modo crudele in cui ti impongono di essere donna, a volte, quando significa subire in silenzio, dimostrare il proprio valore soffrendo, come sa bene qualunque donna sia entrata in sala parto e abbia chiesto un’epidurale.

Poi un giorno senti sussurrare all’uscita di scuola di una compagna che ha sporcato di sangue il bagno e ti immagini che cosa deve aver provato quella bambina e all’improvviso capisci che è lì che nasce tutto il maschilismo del mondo, in quello stigma che ci portiamo dietro, senza neanche accorgercene. In quel peccato mensile da scontare, per cui non bastano tutti i cicli e tutti i palloncini rossi del mondo. E che torna puntuale come l’aglio, ogni ventotto giorni.

Pensi a tutte le situazioni in cui hai dovuto mentire, nasconderti, a tutte le volte in cui sei arrossita. A tutti gli anni in cui, una volta al mese, automaticamente, hai ricordato a te stessa che a essere donna in fondo in fondo c’è un po’ da vergognarsi. E il prezzo di quella vergogna si paga in monete sonanti, comprando assorbenti che al chilo costano più del tartufo.

Per più di trent’anni una parte di me ha creduto che una volta al mese la natura ti insegnasse ad abbassare la testa, che ti ricordasse qual era il tuo posto. Ora mi rendo conto che la natura non c’entra niente, che sono sempre stati solo condizionamenti sociali e culturali, gli stessi che ti spingono a pensare che la felicità delle donne sia intrinsecamente sbagliata e che essere donna sia essere meno, a prescindere. È una differenza sottile e sfuggente, forse, ma cambia tutto radicalmente.

Non so bene come se ne esce, confesso. Ma confido che lo sapranno le nostre figlie. Confido in un futuro in cui gli assorbenti costeranno come la schiuma da barba, in cui non ci si vergognerà a vederli sfilare sul nastro alla cassa e in cui le pubblicità la pianteranno di dirti che con l’assorbente giusto non te ne accorgi neanche, perché col cazzo che non te ne accorgi, sappilo, caro creativo uomo. Te ne accorgi eccome. Prova tu ad andartene in giro con un tampax infilato nel sedere, poi vediamo se ti viene voglia di fare la ruota.

«Ma perché succede?»
«È la natura, serve per riprodurci.»
«Come quando l’albero mette le ciliegie, ma una volta al mese.»
Sorrido. Messa così sembra improvvisamente facile. «Esatto.»
«Il sangue poi smette di uscire da solo, vero?»
«Sì, a un certo punto sì.»
«Allora okay, non c’è problema.»

La generazione on demand forse in fondo ha proprio l’atteggiamento giusto.