Per l’8 marzo, regaliamoci un NO

No, sono stanca.

No, non ne ho voglia.

No, non spetta a me.

No, non ti amo più.

No, non ho bisogno del tuo permesso.

No, devo lavorare.

No, pensaci tu.

No, non ho tempo.

No, non sono d’accordo.

No, non ho detto questo.

No, non mi scuso.

No, non mi sento in colpa.

No, vengo prima io.

La strada verso i sogni delle donne è costellata di NO. Quei NO che pesano, che ti si incastrano in gola, che ti fanno sentire sbagliata, egoista, ingiusta, inadatta, quei NO negati con cui vorrebbero farci misurare la nostra femminilità, perché i NO delle donne suonano come schiaffi, non come quelli degli uomini, che cadono giusti e pacati come sassi in uno stagno. I nostri NO sembrano sempre urlati, isterici, ingiustificati, i nostri NO scatenano piccoli tsunami incontrollabili nella vita degli altri, suonano come una dichiarazione di guerra. I nostri NO distruggono equilibri impossibili che sorreggiamo a suon di rinunce camminando sul filo della nostra salute.

Per l’8 marzo allora, niente mimose, regaliamoci un NO.

Il tempo delle donne

faccia bolla

«Che bello dev’essere, il tuo lavoro, un po’ come l’uncinetto.»

«Sei davvero fortunata ad avere un marito che ti permette di lavorare.»

«Povero bambino, eh, sono gli svantaggi di avere una madre di successo.»

«Oh, come sei drammatica, non ti si può neanche parlare quando sei al computer.»

Se sei donna e lavori hai delle pretese. Se sei donna e lavori da casa fai passare il tempo fra una lavatrice e l’altra. Se sei donna e lavori da casa facendo qualcosa che ti piace, te la stai spassando.

Sembra che ci sia qualcosa di tossico, nelle donne che si realizzano, come se lo facessero sempre a spese altrui, come se fossero una minaccia per la sopravvivenza della specie che in confronto al buco dell’ozono ci metti una pezza e via. Ma siamo nel 2019, travolti dalla quarta ondata femminista, fra #metoo e bambine ribelli, non puoi mica saltar su e dire che le donne dovrebbero pensare alla famiglia prima di tutto. No, la strategia che viene usata è molto più sottile.

Si comincia con una narrazione del materno da crisi iperglicemica, a metà fra Madre Teresa di Calcutta e una chioccia sotto acido, di cui le mamme pancine sono la versione hardcore, per intenderci. Perché sia credibile, però, bisogna avvolgere le creature in una serie di esigenze, bisogni e necessità inarrestabili e spesso incomprensibili, ma abbastaza vitali da costringere le genitrici a non abbassare mai la guardia. Mai. Quale leonessa nella selva, puoi avere una riunione decisiva per la tua carriera, un appuntamento con l’estetista fissato un secolo prima o – Dio non voglia – essere fuori a divertirti con le amiche, ma saprai sempre che là fuori sono in agguato l’olio di palma, il senso di abbandono, la frustrazione, i pidocchi, i compiti, il gruppo di whatsapp, la maestra che mina la sua sicurezza, una gamma infinita di patologie, sindromi, virus e una sfilza di traumi tutti riconducibili in sostanza al fatto che tu sei una stronza.

No, no, prego, liberissima di lavorare e uscire con le amiche e divertirti, ci mancherebbe altro. Ciascuna ha le sue priorità, certo. Se non ti preoccupa il fatto che tua figlia mangi una merendina confezionata con grassi saturi e zuccheri e un biglietto di sola andata per colesterolo, infarto e tumori a scelta, invece di un panino fatto in casa con farina integrale, lievito madre, polvere di curcuma anti infiammatoria, semini antiossidanti e pomodorini dell’orto, fai pure.

Speravano che fosse sufficiente per farci desistere. E invece no. È saltato fuori che le donne sono disposte a farsi in due in quattro in otto, invece di sbrigare due cose per volta ne fanno dieci, quindici, venti, tutte quelle che sono necessarie, pur di riuscire a lavorare, uscire con le amiche, andare dall’estetista e preparare un panino perfetto e monitorarlo per quando le verranno a dire che i semini irritano e i pomodorini fanno acidità e allora meglio una conserva di frutta di stagione fatta in casa, che con cinque o sei ore te la cavi ed è tutta salute.

Il tempo delle donne è come la borsa di Mary Poppins, la riempi e la riempi e continui a riempirla e ci sta dentro tutto, sempre, non scoppia mai. Il tempo delle donne è il materiale del futuro, non esiste lega altrettanto resistente ed elastica. Sono sicura che alla Nasa ci sono almeno un paio di scienziati che lo stanno studiando, scienziati uomini, certo. Il tempo delle donne è una grande enorme Big Babol, una bolla di sapone che cresce cresce cresce e non scoppia mai. Perché scoppieremo prima noi.

Ci siamo fatte fregare, ammettiamolo. Ci siamo cascate. E il peggio è che ce ne vantiamo. Non dovremmo essere orgogliose perché riusciamo fare cinquanta cose alla volta, dovremmo darci delle sceme. L’esaltazione della stanchezza materna è una trappola e noi ci siamo cascate. Siamo circondate da annunci di integratori pensati apposta per la spossatezza e lo stress delle donne, quando l’unico integratore di cui avremmo bisogno è una porta chiusa e qualche senso di colpa in meno.

Non siamo tenute a stancarci, non siamo tenute a sfinirci per stare dietro a tutto, non dobbiamo dimostrare di essere in grado di pensare a casa e famiglia e figli e lavoro e cani e pesci rossi, tutto insieme. Non abbiamo nessuna colpa da lavare, nessuno a cui chiedere scusa perché abbiamo usato il nostro tempo per noi stesse, nessuna giustificazione da dare se ci siamo realizzate e nessun peccato da espiare perché ci stiamo divertendo. Ogni volta che ci ammazziamo di fatica e riempiamo le nostre giornate all’inverosimile quello che stiamo facendo in realtà è dire che non ce lo meritiamo, che non ci meritiamo un lavoro che ci piace, che non ci meritiamo di essere lasciate in pace mentre lo facciamo, che non ci meritiamo di essere felici.

Non è necessario. Non è necessario autodistruggerci. Tutto il contrario. Pensiamoci. L’unica cosa di cui abbiamo bisogno è sorridere. Un sorriso è l’unico permesso che ci serve. Il nostro.

Donne, difendete il vostro tempo

people-2582815_1280“Però difenditi i tuoi spazi. Se non lo fai tu non lo farà nessuno.”

È quello che avrei voluto dire a un’amica, ce l’ho avuto sulla punta della lingua per tutta la durata della conversazione, mentre lei mi raccontava che da qualche tempo si dedica soprattutto ai bambini e alla casa, e ha messo da parte il lavoro, per un po’. “Del resto è lui che porta i soldi a casa, adesso.”

“È un circolo vizioso” avrei voluto dirle. “Più tempo hai a disposizione, più coltivi il tuo lavoro, più frutti ti dà. Meno tempo dedichi alla tua attività, meno la coltivi, meno frutti ti darà.” Quante donne conosco che hanno iniziato sottraendo solo qualche ora al proprio lavoro, per poi essere inghiottite sempre di più dalle esigenze familiari. La routine domestica è un aspiratore impazzito, cattura il più vicino, senza distinzioni, e lo trascina nel proprio vortice di spese, pasti da cucinare, vestiti da comprare, figli da accompagnare, domande a cui rispondere, sciroppi da dosare, orari da rispettare… Ed è un aspiratore senza fondo e senza fine. Più dai e più ti chiederà, più bisogni soddisfi più ne salteranno fuori. Ed è bellissimo, è un privilegio, questo cerchio di affetto e di cure, di amore e di preoccupazioni, è un lusso potervisi dedicare e probabilmente sarà la cosa che rimpiangeremo di più quando terminerà, ma è anche sfiancante. Ti lascia senza fiato. E senza tempo.

E per quanto il nostro compagno ci ami, per quanto ci incoraggi a seguire la nostra strada, per quanto creda in noi, non sarà lui a tirarci fuori dall’aspiratore. Mors tua vita mea. Suona terribile, lo so, ma nelle coppie con figli piccoli e senza nonni a portata di mano da schiavizzare  funziona un po’ così. Ci si vuole bene lo stesso, ma se tu lavori io non lavoro, e non c’è scadenza che regga davanti a un figlio con la febbre o al costo di una baby sitter a fine giornata.

Ecco, questo avrei voluto dire alla mia amica. Tieni duro, difenditi il tuo tempo, anche quando sembra un lusso. Anche quando sembra un vezzo. Anche quando significa creare tensioni in famiglia. Le tensioni passano, quando ci si vuole bene. Ma passa anche il tempo, passa veloce, e ci lascia più vecchie e più stanche e meno fiduciose nelle nostre possibilità. “Ne vale la pena”, avrei dovuto dirle questo. Ne vale sempre la pena, se si tratta di te.

Ma a lei non l’ho detto, per lo stesso motivo probabilmente per cui lei adesso lavora meno. Per non creare tensioni, perché le cose continuassero a scorrere, nel modo più facile per tutti. E così adesso lo dico a voi. A tutte le donne che leggeranno questo post e che lo condivideranno. Lo grido a pieni polmoni da qui. Donne, difendiamo il nostro tempo, ne vale la pena, non ce lo dirà nessuno probabilmente, ma se ci crediamo noi per prime non avremo bisogno di aspettare il permesso. Prendiamoci il nostro tempo. Difendiamolo con le unghie e con i denti. Non siamo egoiste, non siamo cattive mogli, non siamo pessime madri. Siamo solo noi stesse. E abbiamo bisogno di tempo. E va bene così.

Molla l’osso, mamma

“Sii più egoista.” È quello che mi ritrovo a dire sempre più spesso alle mie amiche. “Prenditi il tempo per te stessa, rivendicalo, non aspettare il permesso di nessuno, perché non arriverà, devi dartelo da sola.”

E le mie amiche annuiscono. Annuiamo tutte insieme. E forse sarà il mio slancio, forse sarà l’enfasi, ma vi assicuro che nove volte su dieci lo sguardo si illumina.

Esisto, sembra dire quello sguardo. Fra le esigenze di tutto il resto della famiglia, fra pipì, compiti, scarpe, cene, spese, merende, raffreddori, propoli, feste di compleanno, succhi di frutta ecologici, biscotti vegani e lezioni di violino a km zero (impartite dal vicino di casa), incredibilmente, esisto ancora.

Sindrome dello Strofinaccio addio. Mentre parliamo siamo possedute dal sacro fuoco del femminismo, buttiamo giù progetti degni del piano aziendale di una multinazionale, vediamo i nostri sogni che si realizzano davanti a noi, sotto i nostri occhi.

Anni passati a elemosinare minuti mentre i pargoli ci riempivano i capelli di mollette, ci massaggiavano, ci risucchiavano più o meno letteralmente, anni in cui accendevamo il pc con una mano mentre con l’altra ci sorreggevamo la palpebra, a rosicare i contorni dei nostri progetti per adattarli ai ritmi familiari finché non si riducevano a una briciola di quello che erano. Ma adesso basta. Adesso ci prenderemo il tempo che ci serve. Fanculo gli orari del nido e la spesa e la lavatrice e il costo astronomico della tata. Finché qualcuna non pronuncia la parola fatale.

“Ci penserà suo padre!”

E cala il gelo. La luce negli occhi si smorza, i progetti si restringono come un maglione di cachemire lavato a novanta gradi.

Suo padre? Sembrano voler dire tutti quegli sguardi abbassati. Lo stesso che mentre lo mette a dormire gioca a Minecraft sul cellulare? Che gli ha dato la supposta per la diarrea invece di quella per la tosse? Quello che per quattro anni ha pensato che Berta fosse il nome della giraffa peluche e non la maestra? Lo stesso che l’ha mandato a scuola in pigiama e che gli ha messo la lasagna avanzata nello zaino per merenda?

A questo punto di solito si cambia argomento, fra l’imbarazzato e il diplomatico, e non c’è nessuna che abbia il coraggio di dire che sì, funziona così, non c’è altro modo, facciamocene una ragione. Dobbiamo cedere il comando, se vogliamo acquistare quello sulla nostra vita. Concedersi il permesso significa anche spostare lo sguardo su noi stesse e smetterla di usare i figli come termometro del nostro valore e del nostro successo. Della riuscita delle nostre giornate. I nostri figli non sono il nostro antidepressivo, non sono il nostro progetto personale, non sono neanche nostri, come capiremo fra qualche anno quando li vedremo sparire ai controlli di sicurezza dell’aeroporto e abbasseremo lo sguardo sul cellulare e scopriremo che ci hanno tolto la visualizzazione del loro profilo Instagram.

Se vogliamo più tempo per noi dobbiamo mollare l’osso. Forse non andrà tutto altrettanto bene, forse la vita familiare non funzionerà più alla perfezione, forse non ci assomiglierà più tanto e non brillerà come vorremmo. Ma saremo noi ad assomigliare di più a noi stesse e il nostro sguardo a brillare. E capiremo che ne è valsa la pena.

Mamma, e se ti facessi una vita?

Mamma, e se ti facessi una vita?

Non dico che quella che hai non vada bene, però ogni tanto assomiglia un sacco alla mia. Come quel giorno che credevo di avere un Whatsapp tutto mio e invece mi hai detto che no, è il tuo, anche se la foto è la mia. Che hai messo la mia foto perché mi vuoi un sacco di bene. E non è che non mi faccia piacere, anzi, l’ho perfino detto alla maestra che parli sempre di me su Facebook, solo che mi sembra un po’ strano. Se c’è il tuo nome, non dovresti metterci la tua di foto e usarlo per raccontare gli affari tuoi?

La maestra ha detto che sono molto fortunato, perché è chiaro che per te sono molto importante. Mi ha anche detto che c’erano tre errori nell’esercizio di matematica che mi hai fatto tu e che devi, cioè devo, ripassare le tabelline. E ha detto che il tuo blog è molto carino e che non avrebbe mai pensato che io facessi ancora la pipì a letto a sei anni.

Ecco, mamma, io sono molto felice che tu parli di me nel tuo blog, ma quella parte dovevi proprio scriverla? O di quella volta che ti ho detto che volevo baciare la Claudia perché sapeva di fragola o di quella volta che ho giocato a tiro a segno con il pisellino? Dovevo proprio scriverlo nel tuo blog?

Ma se invece ti facessi una vita solo tua, mamma?

Lo so che non è tanto facile con tutte le lezioni di yoga e di pilates e di acrobazia e di zumba a cui mi porti e che non trovi neanche il tempo di andare in palestra, figuriamoci. E lo so che l’altro giorno hai perso un’ora solo per cancellare tutte le foto della gita a teatro da Whatsapp, che poi in realtà si vedeva soltanto Carlo perché le foto le aveva fatte la sua mamma, e lo so che spiegarmi le divisioni a due cifre è stata una faticaccia e che per fortuna poi la mamma di Giulio ti ha mandato quel video di Youtube dove lo spiegavano benissimo e usavano un metodo molto più facile di quello della maestra.

Però io ti volevo dire di non offenderti, ma che quando sarò grande sulla mia pagina Facebook ci metterò la mia di foto, non la tua. E anche su Whatsapp, credo. Spero che non sia un problema, questa cosa, se mi farò la mia vita e tu non ci sarai tanto. Perché io ti vorrò bene lo stesso, anche con la mia vita, questo ci tenevo a dirtelo. E secondo me dovresti mettere la tua di foto su Whatsapp, visto che sei la mamma più bella del mondo.