Anna P, 42 anni, strangolata dal marito

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Foto di Barbara Krawcowlcz (CC)

Mi chiamo Anna, insegno matematica in un liceo scientifico, sono sposata e ho un bambino che compirà quattro anni fra cinque mesi. Ogni tanto vado in palestra. Ci andavo, in realtà. Da quando mi sono sposata non ho più il tempo. Anzi, prima o poi devo passare e disdire l’abbonamento. Mio marito si arrabbia sempre quando gli dico che non l’ho ancora fatto e ha ragione. Comunque, dicevo, amo la musica classica e con la mia amica un tempo andavamo a un sacco di concerti. Adesso, con la famiglia e tutto il resto ci andiamo molto meno, ma ce n’è uno il mese prossimo al teatro qui in zona e ci siamo ripromesse di andarci davvero, questa volta. Domani devo ricordarmi di comprare i biglietti, quando esco da scuola. Ah, no, domani è il giorno che devo portare mio figlio dal pediatra, è vero. Dopodomani, allora.

Comunque, sono una donna fortunata. I miei genitori sono ancora vivi e non hanno problemi di salute troppo gravi, ho amiche magnifiche, un lavoro che mi piace e con i colleghi… insomma, non posso dire di andare d’accordo proprio con tutti, ma alcuni di loro sono simpatici. Ogni tanto si organizzano e vanno a mangiare una pizza tutti insieme. Io non posso andare, con il bimbo ancora piccolo, ma appena sarà un po’ più grande mi hanno fatto promettere che non inventerò più scuse e sarò dei loro.

Di tutti i momenti della giornata, i più belli sono quelli che trascorro con mio figlio, quando vado a prenderlo all’asilo e ce ne stiamo insieme noi due, nel nostro mondo speciale. Se c’è bel tempo andiamo ai giardinetti in piazza, altrimenti ce ne torniamo a casa e guardiamo i cartoni insieme oppure mi invento qualche attività da fare con lui. Martedì scorso per esempio abbiamo fatto i biscotti e abbiamo riso un sacco. Certo, poi ho dovuto rimettere tutto a posto prima che rientrasse mio marito, è stata una faticaccia, ma ci sono riuscita e non c’era più neanche un granello di farina quando lui ha suonato il citofono.

Ecco, se proprio potessi cambiare qualcosa nelle mie giornate, l’unica cosa che vorrei che scomparisse è quella sensazione d’ansia che mi stringe lo stomaco quando alle sette e mezzo suona il citofono e so già che mio marito arriverà su arrabbiato per come gli è andata al lavoro e sarà di cattivo umore e mi insulterà per qualcosa che ho fatto male. Ecco, è quello l’unico momento della giornata che non mi piace. Ma passa in fretta. In fondo basta andare a dormire presto e quando mi sveglio di solito lui sta ancora dormendo. Tranne la mattina dopo quella sera, quando mi ha dato uno schiaffo perché non avevo pulito bene il fornello e sono finita contro il frigorifero e mi si è conficcata la maniglia nella schiena. Quella mattina si è svegliato prima apposta per scusarsi e mi aveva preparato la colazione e si capiva che era dispiaciuto davvero. Così gli ho detto che non importava, che non era colpa sua se ero finita proprio contro la maniglia e che avrei fatto più attenzione a pulire bene i fornelli, adesso che sapevo che ci teneva tanto. In fondo vivere insieme è anche questo, no? Ricordarsi di quello che piace all’altro e starci un po’ attenti. L’amore è fatto di piccole cose, come ricordarsi quanto zucchero vuole tuo marito nel caffè, cose così.

L’altra sera, a proposito di caffè, quando lui era via per lavoro, la mia vicina è venuta a prenderlo da me dopo cena. Non avevo tanta voglia di bere il caffè, dopo cena poi, ma mi sembrava scortese non farla entrare. Che poi lei non l’ha neanche toccato il caffè. È rimasta seduta lì con la schiena rigida e mi ha detto che sentiva tutto da anni, ogni sera, e che avrei dovuto denunciarlo, lei era disposta a venire a testimoniare, non aveva paura, potevo contare su di lei. All’inizio non ho mica capito di che cosa parlava, giuro, e le ho chiesto chi era che dovevo denunciare. Lei mi ha risposto che sentiva mio marito urlare tutte le sere, e i mobili che sbattevano, e che suo figlio dormiva proprio nella camera che confinava con la nostra cucina e doveva portarlo via di corsa, nell’altra stanza, quella che dà sulla strada, in modo che non ci sentisse. Mi ha fatto tenerezza quella signora. Un po’ mi sono arrabbiata, all’inizio, ma poi mi ha fatto tenerezza, perché si capiva che voleva solo essere gentile. Allora ho cercato di essere più educata che potevo e le ho spiegato che ovviamente lei dall’altra parte del muro non poteva saperlo, non era colpa sua, ma mio marito mi ama davvero, mi tiene in palmo di mano, dovrebbe sentire come parla di me ai suoi amici. E come mi ha difesa sempre, davanti a sua madre e sua sorella. Solo che ha un modo di parlare un po’ brusco e grida troppo, su questo le ho dato ragione. Ma denunciarlo, ma no, ma che assurdità.

Lei ha provato a insistere, così alla fine ho dovuto chiederle di andarsene, anche perché avevo paura che finisse per svegliare il bambino. Non mi andava, in realtà, di provare a spiegarglielo. Che io in realtà ero fortunata, avevo una vita meravigliosa, piena di cose belle. Ma niente è perfetto, giusto? Tutti dobbiamo sopportare qualcosa che non ci piace, ogni tanto, ma mica per questo ne facciamo una tragedia. Io non sono come quelle disgraziate del telegiornale, che vengono picchiate dai mariti e dai fidanzati. Io ho una vita bellissima. Che cosa dovrei fare secondo la mia vicina? Rinunciare a tutto solo perché lei sente qualche urlo dall’altra parte della parete?

Più ripenso alla nostra conversazione, più mi viene una gran rabbia dentro. Io non sono una vittima, non c’entro niente con le storie che legge sul giornale. Io sono appena stata scelta dai ragazzi di quinta per accompagnarli alla gita di fine anno, hanno tanto insistito per andare con me, mica lo fanno con tutti. E ho i miei concerti, la palestra, i miei libri. E quella meraviglia di mio figlio. Io per mio figlio voglio una vita normale, una famiglia normale, con un padre e una madre. Non voglio che mio figlio abbia un padre violento. Ma poi violento perché? Per qualche schiaffo? Come se fossi l’unica che li piglia. Quel che è successo quando eravamo fidanzati non conta, è passato un sacco di tempo, lui è cambiato. No. La mia vicina con i suoi consigli e le sue belle parole vuole trasformarmi in qualcosa che non sono, vuole recitare la parte dell’eroina, ma io non ci penso neanche a recitare la parte della vittima. Mio figlio non avrà una vittima, per madre.

Per un po’ non ci siamo salutate più, con la vicina. C’è stato un momento in cui ho pensato di chiederle se voleva venire al concerto di Mozart con me, per dimostrarle che la mia vita è bella e felice almeno quanto la sua, se non di più, ma poi ho deciso di non farlo, tanto alla fine non ci sono potuta andare neanch’io. Era la sera della partita e mio marito non voleva che il bambino lo disturbasse. La mia amica si è arrabbiata un sacco, come se un uomo non avesse il diritto di guardarsi la partita, ogni tanto, dopo aver lavorato tutto il giorno.

Dal giorno della nostra chiacchierata, però, ogni volta che mio marito urla, la sera, io penso a quel bambino dall’altra parte del muro. Me lo vedo, magro magro com’è, con i capelli dritti in testa, in pigiama, che scappa fuori dalla stanza e tiene le mani premute sulle orecchie per non sentire, povera creatura spaventata e indifesa, e mi si stringe il cuore ogni volta.

24 risposte a "Anna P, 42 anni, strangolata dal marito"

  1. Credo che siano la maggioranza e i fatti lo dimostrano, purtroppo…. Quella ricerca di normalità, di redenzione, di clemenza per minimizzare e sentirsi normali, come tutte. Io avrei recitato la parte dell’amica perché amo contrastare le ingiustizie. Ma spesso la ricerca di normalità rende davvero cieche e chiude la porta a qualsiasi proposta di aiuto….

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  2. Finchè non sei pronta ad ammettere con te stessa che non va bene, nessuno ti può convincere del contrario, anche se dentro di te lo sai benissimo. E’ facile giudicare o dire io farei così, bisogna trovarcisi dentro. Alcune sono fortunate, come me, altre non hanno il tempo di arrivare alla consapevolezza, le uccidono prima.

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  3. Verissimo. Hai ragione. Anche per questo ho scritto questo post. Sono convinta che la violenza prima di finire nei titoli dei giornali sia qualcosa di molto più sottile e difficile da identificare, almeno per chi la vive. Fa parte del quotidiano, ma non ti definisce come persona e faresti di tutto, credo, proprio perché non arrivi a definirti come persona, perché la tua vita sia tutto il resto, non quella parte della tua giornata.

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  4. Per me è giustissimo dire: io non farei così finché tu stesso non provi di persona . Purtroppo sono troppe le donne che ci cascano e non saranno certo ,tutte,delle sprovvedute!

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  5. Io ho messo fine al mio matrimonio, prima che diventasse troppo tardi…soprattutto quando mi è stato lanciato un martello!!!A suo dire non mi avrebbe mai colpita….Adesso sono serena.

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  6. Lina, le donne che ci riescono hanno tutta la mia più profonda e sincera ammirazione. Immagino che sia terribilmente difficile. Complimenti, bravissima. Te la meriti tutta quella serenità.

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  7. Mentre leggevo provavo rabbia. Quante volte mi sono detta è solo uno spintone. È solo un “troia”…. Ma lui mi ama. Il primo occhio nero il primo pronto soccorso….finché non riconosci che qualcosa non va. La mia vicina all’ultimo pestaggio mi ha detto che i suoi figli piangevano. Ero inorridita. I suoi figli…e il mio? Il mio era li che vedeva. Lo avevo ” addestrato” a non avvicinarsi a me in quei momenti. Non riuscivo a difendermi e tantomeno a proteggere lui. Me ne sono andata con una custodia cautelare. È intervenuto il TM (motivo per cui molte donne non denunciano) e essere giudicati come genitore al suo pari è l’umiliazione delle umiliazioni. Ma io sono rinata. Mio figlio è rinato. Vede suo padre e sopratutto vede sua madre felice. Non rimpiango nulla di ciò che ho fatto…se non di averlo fatto prima!

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  8. Daniela, grazie mille per queste righe. Sono strazianti, nella loro lucidità e nella loro forza. Ho un’ammirazione sconfinata per le donne che riescono a uscire da queste situazioni, perché immagino che sia terribilmente difficile. E sono convinta, convintissima, che leggere queste tue righe aiuterà molte altre donne. Perché è facile riconoscersi e c’è tanta dignità e tanta sincerità, che si sentiranno incoraggiate a cercare di seguire il tuo esempio. Grazie mille, davvero.

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  9. Me lo auguro. Mi auguro davvero che tutto questo dolore non sia vano. Che possa risvegliare quella frazione di lucidità per dire “ora basta”. Mio figlio lo ricorda ancora cosi come ancora ricorda tutti i dettagli tutte le frasi tutti i telefonini spaccati gli occhiali distrutti. Ricorda i pneumatici sulla ghiaia. E già dal rumore capivamo se arrivava con una torta o con le mani che gli prudevano. Ora ogni tanto mi dice ti ricordi quando hai detto ” adesso basta”? Credo mi abbia visto come un supereroe. Ma non lo ero. Avevo tanta di quella paura. Non volevo morire. Sapevo che quella prima o poi sarebbe stata la mia fine. Non perché lui volesse uccidermi volontariamente. È troppo cattivo. Sapeva che uccidendoli sarebbe finito in carcere. Io ero il suo schifoso insetto da torturare da umiliare. Mi ha picchiata diverse volte ma quando penso al dolore provato non mi vengono in mente i dolori fisici. Li c’era la paura che anestetizzava. Quello che era più doloroso erano le parole. Le umiliazioni. Può sembrare una frase da nulla a confronto di tante altre che mi ha detto ma a me viene sempre in mente quando è nato Achille… Ho fatto il cesareo perché podalico…mi ha detto :fai talmente schifo come donna che non sei nemmeno riuscita a partorire. Ecco. La violenza psicologica è quella che di più ti incatena. Quella che ti devasta. Quella che poi ti fa dire “è solo una sberla” perché di fondo ti hanno già picchiata senza nemmeno alzarti un dito. E della violenza verbale visto che non è provabile ed ha meno impatto di uno sberlone se ne parla sempre troppo poco.

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  10. Non sarà vano, ne sono sicura. Sei riuscita a raccontarlo terribilmente bene. Ne ho letti tanti di racconti di violenze, ma nessuno incisivo come il tuo. Vedi che essere psicologa sì che è servito, alla fine. Grazie Daniela, grazie davvero. Ti auguro il meglio!

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  11. Senza parole, solo lacrime e un sospiro. Una cosa possiamo farla, come donne, come madri: crescere i nostri figli nella cultura del rispetto, per le donne se sono maschi. per se stesse se sono femmine,
    Un abbraccio, che scalda più me che voi e grazie, Raffaella.

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  12. Davvero straziante leggere queste righe.
    Pensare che molte donne vivono la violenza come normalità.
    Come fare?.
    Purtroppo entrano in campo troppe dinamiche psicologiche che a volte ti fanno chiudere a riccio, ti fanno subire senza possibilità di reagire, oppure ti fanno svegliare e guardare in faccia la realtà una volta per tutte.
    E’ stato bello leggere i commenti di donne che ce l’hanno fatta ❤
    Sapere che ci sono, che ne hanno avuto la forza.
    Il mio cuore è con voi.

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  13. Grazie Roberta per aver affrontato l’argomento e soprattutto grazie a Daniela per avere condiviso con noi la sua esperienza e il suo coraggio. Con la speranza che le tue parole possano toccare le corde giuste di chi ancora non è riuscito ad uscirne.

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