Le parole che ci curano sono le nostre

Lachlan Hardy

L’altra sera ero a cena con alcune amiche e una di loro ci ha raccontato che sul lavoro la sminuiscono in continuazione. Al vederla in difficoltà, tanto spiazzata e abbattuta, ci siamo affannate tutte a cercare le parole giuste da dirle. “Devi avere più fiducia in te stessa.” “Devi farti valere.” “Devi imparare a dire di no.” “Devi essere più furba e non farti fregare in quel modo.”

Un’altra amica poi ci ha raccontato di un episodio sgradevole accaduto in palestra durante una lezione di kickboxing, quando una donna ha avuto un attacco di panico perché ha rivissuto alcune dinamiche di una situazione di violenza. “Non sapevamo che cosa fare, come reagire. Abbiamo chiesto all’istruttore se era meglio che uscissimo. Lui ci ha detto che potevamo restare. L’unica cosa che ci chiedeva di non fare era dire a quella donna che cosa doveva fare. ‘Sono sicuro che se l’è già sentito ripetere abbastanza là fuori’ ha aggiunto.” E qualcuna di noi ha abbassato lo sguardo, sentendosi colpevole.

A fine serata, all’improvviso, un’altra amica ci ha interrotte: “Sento che devo raccontarlo adesso o non lo farò più”. O forse no, forse ha usato altre parole, non ricordo. Ricordo bene però l’urgenza nella voce, l’abbiamo notata tutte, e tutte siamo rimaste ad ascoltarla in silenzio finché non ha terminato di raccontarci un’esperienza traumatica e dolorosa, che le era accaduta molti anni prima. “Non l’avevo mai detto a nessuno” ha concluso e bastava guardarla in faccia per intuire che la ferita aveva già iniziato a rimarginarsi.

Non l’ho capito subito, mi ci è voluto qualche giorno, ma poi è diventato chiaro: le parole che ci curano sono le nostre, non quelle che ci dicono gli altri. Spiegare a un’amica in difficoltà quello che dovrebbe fare serve soltanto a farla sentire ancora più sbagliata e inadeguata. Perché a nessuna di noi è venuto in mente di chiederle qualcosa, invece? Perché non abbiamo lasciato semplicemente che parlasse lei? Perché non abbiamo almeno aspettato che ce lo chiedesse lei, un consiglio?

Le parole delle donne sono terapeutiche, quelle delle amiche sono preziose, ma soltanto le nostre, quelle che ripeschiamo da dentro di noi e mettiamo in fila come tanti caratteri mobili, dandovi improvvisamente un senso, soltanto quelle sono magiche. Alle parole delle donne è appesa la fiducia in noi stesse, il senso del nostro valore, della nostra presenza, in una società in cui la nostra voce è ridotta a un rumore di fondo a cui nessuno presta davvero attenzione. Dovremmo raccontarci più spesso, per scoprire che basta decidere di farlo perché ne valga la pena. Che quello che abbiamo da dire merita di essere detto. Dovremmo ascoltare di più le storie delle persone che vogliamo aiutare, senza affannarci a seppellire la loro apparente debolezza con la forza illusoria dei nostri buoni consigli.

Non c’è niente di più profondamente ribelle di una donna che si racconta. Non c’è niente di più rivoluzionario della volontà di ascoltarla.

6 risposte a "Le parole che ci curano sono le nostre"

  1. “non c’è niente di più profondamente ribelle di una donna che si racconta. Non c’è niente di più rivoluzionario della volontà di ascoltarla” Questa frase è perfetta, davvero grazie per averla scritta.

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  2. Già. L’ho fatto, qualche volta. E dopo averlo fatto tutti e tutte sapevano dove affondare lo stiletto per farmi stare male, “amici”, “amiche” e familiari. Fino a farmi desiderare con ogni cellula, mitocondrio e apparato del Golgi, un aneurisma cerebrale fulminante. E poi ci sono quelle, perchè sono sempre donne, eh, i maschi se ne fottono proprio, che ti dicono “stai sempre a lamentarti, dai, ripigliati ed esci”. Graziearcà, se avessi una vita diversa non sarei in questa situazione ormai irrecuperabile. Dirlo serve, sì, se ci sono le persone giuste. Dirlo serve, se hai una certa età che ti consente un recupero. Dirlo serve, se il tuo corpo non è allo sfascio. Dirlo serve, se hai un lavoro almeno decente e una indipendenza economica. Altrimenti meglio tacere, perché a dirlo ci si perde e basta: perdi gli amici e ne soffri. In più ti senti anche in colpa, perché l’aver parlato ti ha portato altri danni. O ancora ti senti sempre quella che si vittimizza. Auto-victim-blaming.

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