Uno stipendio di sensi di colpa

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“Oggi le donne possono lavorare senza problemi.”

Ogni volta che lo sento ripenso a quando entravo in macelleria spingendo il passeggino e la macellaia mi guardava sogghignando ed esclamava “Oh, oggi tocca a te, eh!”. Mi ricordo di quando hanno chiesto al marito di un’amica, che lavorava e si prendeva cura dei figli, se per Carnevale si vestiva da casalingo. Mi ricordo di quando hanno detto a un’altra amica che avrebbe dovuto ringraziare il suo compagno, che era disoccupato e si occupava quasi esclusivamente di casa e bambini, perché le permetteva di lavorare.

Mi ricordo di tutte le volte che hanno compatito mio marito quando io viaggiavo per lavoro e non hanno mai ricambiato il favore quando ero io a restare da sola con figli e computer. Di ogni occasione in cui le maestre hanno detto che la mamma doveva aiutare il bambino a fare i compiti e controllare il diario, delle riunioni scolastiche a cui i padri si contano sulle dita di una mano, dei gruppi di whatsapp in cui i pochi uomini presenti sono osannati come special guests da un esercito di geishe che parlano per emoticon.

E non è neanche questo il peggio. Questa è la parte divertente. Non fa male quanto sentire tuo figlio che ti dice che non c’eri quando ha fatto i suoi primi biscotti. Non fa male come sopportare il cattivo umore di tuo marito quando tutte le biglie che di solito fai girare per aria tu all’improvviso gli cascano addosso come tanti proiettili di inadeguatezza e frustrazione. Non fa male come rientrare a casa dopo una giornata di lavoro di dieci ore e sentirsi in colpa nell’istante in cui giri la chiave nella serratura.

Perché non ci sei stata. Ecco la tua colpa. La colpa delle donne non è lavorare. La nostra colpa imperdonabile è non esserci. È quello il peccato che dobbiamo espiare. Non esserci quando gli altri hanno bisogno di noi. Non esserci quando gli altri non hanno bisogno di noi ma potrebbero averne. Non esserci, non essere pronte a ricucire litigi, a curare graffi sulle ginocchia a suon di baci, a chiedergli com’è andata a scuola quell’unico giorno in cui ha intenzione di rispondere qualcosa di diverso da “bene”.

La nostra colpa è non irrorare il nido familiare di amore, pasti in tavola, magliette piegate, merende biologiche e cessi puliti. Nessuno ci dirà mai che non possiamo andare a lavorare. Ma nessuno dice mai abbastanza che ogni donna che lavora si porta a casa uno stipendio fatto di assenze e mancanze materne e tensioni familiari e sensi di colpa. Eccolo il vero motivo per cui non lavoriamo. Non è che qualcuno ce lo impedisca, non è che ci costringano ad andare da casa al lavoro con una lettera scarlatta cucita sul petto. Se non lavoriamo, spesso, è soltanto perché così è più facile per tutti.

E possiamo raccontarci tutte le storielle che vogliamo e ripeterci che non c’è insegnamento più prezioso di una madre che lavora e insegue i suoi sogni, ricordare quanto è stato importante il ticchettio della macchina da scrivere di tua mamma, da bambina. Ma al momento di aprire la porta di casa la sentiremo, quella scheggia dentro di noi che si ribella e che vorrebbe tanto che fosse più facile continuare a sentire di meritarsi l’amore che c’è dall’altra parte. Che tornare a casa non significasse anche dover mettere a tacere un pezzetto di sé.

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10 risposte a "Uno stipendio di sensi di colpa"

  1. È bellissima la frase che hai detto uno stipendio fatto di assenze. Voglio però credere che questi sensi di colpa siano un problema più di noi adulti, e che i figli bambini invece sappiano accettare con più leggerezza. Davvero molto bello quello che hai scritto!

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  2. mia madre lavirava (ora è in pensione) e nessuno di noi l’ha mai colpevolizzata. quando leggo ‘sti post sembra che gli anni ’50 non siano mai passati, sicuramente esistono situazioni del genere ma spero che le giovani coppie siano diverse e che la donna che lavora non sia più percepita nel 2020 come qualcosa di strano

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  3. Grazie, come centri bene il punto: non è che qualcuno ci colpevolizza di lavorare, uscire, inseguire i nostri sogni. Non tutti almeno, e sempre meno, almeno spero. Ma c’è comunque quel senso di colpa che ci attanaglia, in ogni caso, sempre. Non a tutte, e sempre a meno, almeno spero. Ma tant’è. Mi riconosco perfettamente nelle parole “…perché così è più facile per tutti”. Ma come se ne esce..? La consapevolezza è il primo passo sicuramente. Perciò ancora, grazie.

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  4. Non so bene come se ne esce, immagino che sia diverso per tutte. Per me è stato importante decidere che quello che ritenevo giusto lo era, anche se ero l’unica a pensarla così. E smettere di pensare che la felicità degli altri dipendesse da me. Ho deciso che era una responsabilità di ciascuno e che ero responsabile prima di tutto della mia. Poi, certo, dal dire al fare…

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  5. Buonasera Roberta
    Bell articolo, ci sono molti aspetti nel quale mi riconosco: lavoro, viaggiare, riunioni, compiti, attività extra scolastiche, gruppi whatsapp….casa, e chi più ne ha più ne metta. Chissà come mai durante gli otto anni a casa ad accudire i miei adorabili pargoletti, sembrava tutto così facile, perfetto, famiglia modello a detta di molti. Le cose cambiano quando ci rendiamo conto che anche noi abbiamo diritto ad uno spazio. Grazie

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  6. Ciao Paolo, sei lo stesso Paolo che ha commentato dicendo che si dovrebbe separare l’artista dalla sua arte in riferimento a Polanski? Se ancora oggi esistono (purtroppo) blogs che parlano di queste cose e’ perche’ la donna che lavora e’ ancora percepita come qualcosa di anomalo. Dici che nessuno ha mai colpevolizzato tua madre perche’ lavorava. Benissimo. Ma qualcuno le ha mai chiesto come si sentiva ad andare a lavorare? Se questo le creava dei sensi di colpa? Il post parla proprio di questo. Del punto di vista della donna che va a lavorare. Il tuo commento mira a sminuire, ridicolizzare e svalorizzare l’opinione femminile perche’ non si conforma alla tua percezione (di uomo) del mondo contemporaneo. Da donna dico che mi identifico al 100% con quello che la scrittrice dice. Da donna dico che tu, uomo, non puoi giudicare quello che una donna sente e rigettarlo come invalido e superficiale.

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