Si scrive felicità delle donne, si legge ribellione

Maureen Barlin
Foto Maureen Barlin (CC)

Qualche sera fa sono andata a cena a casa di un’amica che si è separata da poco. L’appartamento accogliente e mezzo vuoto, una terrazza con vista sul mare, il camino acceso, la sua musica preferita sul computer e la bottiglia di vino con i due bicchieri sistemata su una cassetta della frutta rovesciata. Era tutto così palpabile da essere quasi imbarazzante: quel punto di passaggio fra una vita e l’altra, il momento in cui il nuovo inizio si confonde con la fine, in cui la vita si svuota così di colpo da rendere tutto, almeno per un attimo, dolorosamente ovvio.

Ma quel che mi ha colpito, mentre chiacchieravamo affondate nell’enorme divano di cuoio, guardando le luci delle barche da pesca che ingioiellavano il mare scuro, era che la mia amica avesse dovuto fare tanto vuoto intorno a sé per ritrovare se stessa.

L’ultima volta che ero andata a trovarla, stava sfornando biscotti per gli amici di sua figlia, subito dopo essere andata a correre e subito prima di aiutare l’altra figlia a fare i compiti e preparare la cena. Aveva la casa sempre piena di bambini e di amici, di profumi e di bozze da correggere e di acquarelli appesi alle pareti e di lavoretti per la scuola che si asciugavano sulle mensole in sala. Per questo non ho potuto fare a meno di chiedermelo, l’altra sera, mentre la vedevo guardarsi intorno fra le pareti bianche, felice e un po’ spaesata: perché noi donne aspettiamo sempre che qualcuno ci dia il permesso di essere felici? Al punto che quando quel permesso non arriva – perché non arriva mai, finché lo chiediamo alla persona sbagliata – ci sentiamo costrette a restare da sole, per provarci davvero? Perché siamo così tante a viaggiare sul filo sottile dell’insoddisfazione, in attesa di quel permesso?

Ci sono donne che trascorrono tutta la vita a un passo dai loro sogni, perché aspettano soltanto di sentirsi legittimate a inseguirli. Con l’idea che quando avranno fatto tutto quello che ci si aspettava da loro, quando avranno dato abbastanza e saranno abbastanza stanche, allora finalmente potranno pensare a se stesse senza sensi di colpa. Perché gli uomini che inseguono i propri sogni sono nobili e intraprendenti e un po’ eroici, ma le donne che lo fanno sono egoiste e perditempo e un po’ stronze.

Una cosa l’ho imparata, guardandomi dentro e attorno: quando decidi di non avere bisogno di quel permesso ti si spalanca dentro una solitudine cattiva e pericolosa, che sembra non aspettare altro che l’occasione per inghiottirti. E cammini su quel filo sottile fino alla prima gratificazione, fino al primo riconoscimento, sperando di arrivarci alla svelta e non scivolare giù, in quel vuoto fatto di sensi di colpa e di vergogna. E di inutilità. Mentre una parte di te si sente messa a nudo in modo imbarazzante e vergognoso.

Sarebbe bello non essere costrette a crearsi il vuoto intorno per poter provare a essere felici. Non avere bisogno di una casa vuota per essere libere da obblighi e doveri. E sarebbe ancora più bello, in una casa affollata, ricordarsi che la prima responsabilità che abbiamo è quella verso noi stesse, verso il dovere di ascoltarci. Verso il dovere di essere felici. Perché quando si inizia a camminare sul filo senza permesso, gli occhi puntati sui propri sogni, e capita di mettere un piede in fallo, si scopre quasi sempre che il filo in realtà è a pochi centimetri da terra. Il vuoto era tutto nella nostra testa, ma camminando l’abbiamo riempito di entusiasmo e di speranza.

Non so perché la mia amica si sia separata, abbiamo parlato di tutto fuorché del suo ex marito, ma sono convinta che molte donne lascino il compagno di una vita anche per questo, perché aspettavano un permesso che non sarebbe mai arrivato. E di cui in realtà non avevano bisogno. Perché l’unica persona che poteva darglielo davvero era quella che si portavano dentro. E che non lasciavano parlare.

16 risposte a "Si scrive felicità delle donne, si legge ribellione"

  1. Che bel post, Mara. Mi hai fatto pensare alla mia quotidianità, forse più banale di tutte le riflessioni che hai descritto. Ma anche io, passo spesso le giornate dicendo: prima di fare quella certa cosa devo sistemare la casa, fare il bucato, preparare la cena, fare quella telefonata, fare quel piacere… e poi, potrò finalmente leggere quel libro che ho così voglia di leggere, o andare in palestra perché sono sei mesi che mi riprometto di farlo, o andare dal parrucchiere perché sono sei mesi che ci rinuncio. Inevitabilmente, le incombenze si moltiplicano e io mi ritrovo a fine giornata che ho fatto un sacco di cose che dovevo fare ma non ho fatto quelle che avrei voluto fare. E dentro mi sento insoddisfatta, perché ho rispettato le esigenze di tutti, tranne che le mie. Quanto mi sarei sentita molto meglio se, invece, mi fossi seduta un’ora a leggere, prima di fare tutto il resto. Imparando a non sentirmi in colpa.

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  2. E quante volte non ci mettiamo a scrivere il libro che vogliamo scrivere perché prima ci sono i bambini, e il cane, e le lavatrici e la spesa? E non dico che non siano importanti, lo sono, ma ogni tanto devo ripetermi che la prima cosa di cui hanno bisogno i miei figli è una madre presente e felice, che insegni loro a esserlo. Non una madre stressata, da imitare in futuro.

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  3. Quoto parola per parola ciò che ha scritto Edy. Dio, quant’è difficile trovare quel benedetto equilibrio fra doveri e desideri! Stamattina me lo chiedeva mia figlia di quasi 7 anni: “Mamma, un po’ di tempo fa non avevi detto che volevi andare a tagliarti i capelli?” Le ho risposto che alla fine rimando sempre perché sento una specie di vocina, tipo il Grillo Parlante di Pinocchio, che mi ricorda le cose più importanti a cui devo pensare, e così giorno per giorno rimando sempre il taglio. Lei: “va bè, mamma, ma a un certo punto a ‘sta vocina dille di stare zitta!” 🙂

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  4. “Perché gli uomini che inseguono i propri sogni sono nobili e intraprendenti e un po’ eroici, ma le donne che lo fanno sono egoiste e perditempo e un po’ stronze.”
    Tutto, ma proprio tutto, sembra più importante della nostra felicità. Mi chiedo, allora, se sia possibile essere felici se non da sole. Padrone di noi stesse.

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  5. Secondo me sì, ma bisogna smettere di aspettare quel famoso permesso. Fare quel che vuoi fare davvero, fidandosi di se stesse abbastanza da provarci. E fregarsene se questo significa beccarsi più di un’alzata di sopracciglia di disapprovazione (che peraltro arrivano quasi sempre dalle altre donne).

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  6. Ciao, se posso dire la mia, non si può essere felici per noi stesse se si è anche giovani. Quando si diventa “grandi”, allora sì. Forse.
    Complimenti, Rosa per Caso!

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  7. Questo post mi ha commosso molto, avrei veramente voluto leggerlo 3 anni e mezzo fa quando anche io, 30 anni appena compiuti, mi stavo separando e adottavo esattamente lo stesso atteggiamento. Farmi il vuoto intorno, addirittura emigrare da sola, cambiare aria, alla ricerca di una solitudine agognata che non mi ero mai permessa prima. Ora leggo queste tue parole e sorrido, perché l’assimilazione del “non ho bisogno del permesso di nessuno” è qualcosa che non è di facile apprendimento, se non sei cresciuta con questa “cultura” (chiamiamola così). In ogni caso, arrivarci è un grande grandissimo traguardo, e sono contenta di non aver dovuto aspettare tutta la vita per farlo 🙂 Grazie!

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