Come difendere le ragazze dalle molestie

Cose che possiamo fare per cercare di evitare che le ragazze vengano molestate:

  • lottare perché la responsabilità degli abusi maschili non ricada sul corpo e sulle azioni delle donne, lasciandoli quindi implicitamente impuniti;
  • combattere la cultura dello stupro ogni volta che ce la troviamo davanti, anche nella forma di un meme a cui sarebbe più facile rispondere con l’emoticon di una risata che con un pippone sul sessismo (basta anche scrivere “è sessista”, non siamo obbligate a spiegare perché, e ci stupirà scoprire quanto sia efficace);
  • insegnare alle nostre figlie che gli sguardi maschili non sono una loro responsabilità;
  • crescere figlie libere di godersi il proprio corpo nei modi in cui riterranno meglio farlo;
  • insegnare ai ragazzi e alle ragazze l’importanza e il valore del consenso;
  • rivendicare il diritto a essere tutelate e difese dalla società e a occupare in sicurezza lo spazio pubblico.

Cose che dovremmo ricordarci quando pretendiamo che le ragazze si coprano di più:

  • andare in giro coperta da capo a piedi non ha mai evitato uno stupro o una molestia; per essere oggetto di commenti, fischi e sguardi fastidiosi c’è un solo requisito: essere donna;
  • nel momento in cui lo facciamo non le proteggiamo, ma spostiamo la colpa su di loro e sul loro corpo, con tutte le conseguenze del caso in termini di disagio, disturbi alimentari, autolesionismo…;
  • la maggior parte delle molestie non avviene nei luoghi pubblici, ma in quelli privati, non avviene per mano di sconosciuti, ma all’interno della coppia: se insegniamo alle ragazze a prestare attenzione ai segnali di pericolo, non dimentichiamoci di individuarli e riconoscerli anche lì;
  • fare di tutto per sottrarsi allo sguardo maschile, nascondendosi in abiti extralarge o dietro espressioni ostili e vivendo con disagio le proprie forme non ha mai reso nessuna donna meno sessualizzata o più indipendente dallo sguardo maschile, tutto il contrario.

Sì, è victim blaming

“Potevi dire di no.”

“Perché non te ne sei andata?”

“Che cosa ci facevi lì?”

“Eri già grande, non eri più una bambina, potevi difenderti.”

“Te lo sei scelto tu.”

“Perché non hai denunciato?”

“Se ti è successo è perché gliel’hai permesso.”

“Sei sicura che lui non abbia frainteso? Forse non sei stata abbastanza chiara.”

“Ci hai fatto due figli, non lo sapevi com’era?”

“La stai facendo più grande di quanto non sia.”

“Se non ti andasse bene davvero l’avresti già mollato.”

“Devi imparare a fregartene.”

“Tu però non rispondere, non provocarlo.”

“Ma che cosa gli fai agli uomini?”

“Succedono tutte a te.”

“Come hai fatto a restarci insieme. Io me ne sarei andata.”

“Ma come? È così innamorato!”

“Quando ti ci sei messa assieme, qualche segnale l’avrai avuto, no?”

“Non potevi urlare e dargli un calcio nelle palle?”

“Potevi evitare di restare da sola con lui.”

“Bisogna sentire tutte e due le campane, però. Qualcosa avrai fatto anche tu.”

“Perché lo stai dicendo solo ora?”

“Sì, però anche tu…”

“Sei sicura?”

Grazie come sempre alla pagina Facebook di Rosapercaso, da cui arrivano questi esempi e dove ne trovate molti altri.

“Me l’ha data o me la sono presa?”

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“Me l’ha data.”

A ben vedere, comincia tutto da qui.

Le donne vogliono essere corteggiate. Gli uomini vogliono portarti a letto.

È uno scambio. Nella cultura dominante e negli stereotipi diffusi il sesso è uno scambio. Io te la do, e se te la do significa che tu mi hai dato qualcosa in cambio: attenzioni, un mazzo di rose, un tot di messaggini e di telefonate a discrezione dell’interessata. I più tirchi se la cavano con un paio di complimenti. Il conto no, quello tocca dividerlo, altrimenti sei poco emancipata. Per i più galanti lo scambio include la telefonata del giorno dopo, che deve fare rigorosamente lui, mai lei, altrimenti pare che gli uomini corrano tutti all’aeroporto e prendano il primo volo disponibile per poi cambiare numero di telefono, identità, connotati e tutti gli account social.

Se di scambio si tratta, questo significa che qualcuno può anche saltarsi qualche passaggio e prendersela senza aspettare che gliela diano, un po’ come se sgraffignasse una busta di caramelle al supermercato. Non c’è mica sempre bisogno di immobilizzare la cassiera e tirare fuori il coltello, per la miseria, se sei un po’ abile te la infili in tasca senza tante storie. “Oh, guarda là, che begli occhi quanto sono triste e depresso e mia mamma mi trascurava e il mio capo è uno stronzo e tu sei così comprensiva e così dolce e tanto carina con me per fortuna ci sei tu, e zac, è un attimo, il tempo che la cassiera si distragga e tu hai già la busta in mano e non vorrai mica mollarmi adesso sul più bello, che fai, la gatta morta, provochi e poi ti tiri indietro?” Et voilà, te l’ha data. Facile, no?

Stupro? Ma non diciamo sciocchezze. Se la cassiera stava guardando dall’altra parte è furto lo stesso? Se non aveva voglia, se stava dormendo, se prima dice di sì e poi di no, se è mia moglie, se è la mia fidanzata, se è sbronza, se è già nuda nel mio letto, se dice di non volerlo ma lo vuole eccome, è davvero tanto grave se me la prendo e basta? Stupro? Chi ha parlato di stupro?

In teoria non è difficile: dove non c’è consenso c’è stupro. Ma il consenso strappato a forza è un consenso? Il consenso perché non hai voglia ma se no tuo marito si incazza è un consenso? Il consenso perché altrimenti ti licenziano è un consenso? Il consenso perché lui ha pagato un conto astronomico al ristorante e ti senti in colpa a dirgli di no è un consenso? Il consenso perché non vuoi che vada in giro a dire a tutta la scuola che sei una sfigata è un consenso? E se stai zitta e gemi e apri le gambe è un consenso sufficiente? O meglio tirare fuori un modello prestampato, per sicurezza?

Quanti uomini hanno stuprato una donna e non ne sono consapevoli? Per quanti uomini si è trattato solo di semplificare un po’ lo scambio e prendersela, senza aspettare che lei gliela desse? Quanti uomini sono convinti che basti una fede al dito per assolvere la propria parte dello scambio e che il resto sia dovuto? Quanti uomini sono sinceramente e profondamente convinti, per pigrizia o ignoranza o analfabetismo emotivo, che prendersela fosse un loro diritto, quando non un dovere?

Non basta parlare di consenso. E non basta neanche parlare di potere, perché se è vero che lo stupro è una questione di potere, è altrettanto vero che non lo è sempre. O meglio, a volte basta il potere di essere uomo. Secondo la Treccani lo stupro è “un atto di congiungimento carnale imposto con la violenza”. Eppure quante donne sono state stuprate senza violenza?

Per affrontare la cultura dello stupro bisognerebbe innanzitutto smettere di considerare il sesso uno scambio. Serve una campagna che affronti il tema del consenso in tutte le sue forme e sfaccettature, che insegni alle donne che il sesso non è uno scambio, non è la moneta con cui siamo tenute a ripagare le attenzioni maschili e che il piacere maschile non è una nostra responsabiltà, non più di quanto sia una responsabilità dell’uomo il nostro. Detto in altri termini, possiamo fare a meno di sentirci in colpa se a fine serata ha bisogno di farsi una doccia fredda.

Non basta parlare di sesso nelle scuole, cosa che peraltro si fa ancora troppo poco. Non basta neanche parlare di contraccezione e di orgasmo, che pure è fondamentale. Dobbiamo insegnare alle nostre figlie e ai nostri figli che il sesso non è mai una concessione o un diritto, non lo si dà e non lo si pretende. Dobbiamo insegnare ai ragazzi e agli uomini a riconoscere comprendere e cercare il consenso, e insegnare alle ragazze e alle donne a riconoscere comprendere e cercare il desiderio. Bisogna raccontare il sesso e il piacere dal punto di vista delle donne e smettere di considerarlo una necessità soltanto maschile, neanche Madre Natura avesse dato a loro l’orgasmo e a noi il parto.

Cercheranno di farvi sentire sbagliate, stupide, ingenue, piccole e ignoranti, quando l’unica cosa che vi mancava era il desiderio. Questo dovremmo cacciare in testa alle nostre figlie e alle donne che conosciamo. Cercheranno di farvi passare per guastafeste per mascherare la propria incapacità. Vi daranno delle frigide o delle puttane a seconda di quello che reclama la loro insicurezza. Travestiranno il desiderio e il sesso con il volto di una mascolinità in cui forse non si riconoscono neanche e che proprio per questo rincorrono con più ansia e rabbia del dovuto.

Che paura, un esercito di donne consapevoli del proprio desiderio. Che comodo, tante donne che pensano di dovertela dare, prima o poi. Ma no, dai, ripensandoci, che cosa la facciamo a fare quella campagna? Sai che sbattimento, poi, mettere le mani su quella borsa di caramelle?

 

Non c’è posto per lo stupro nella giustizia degli uomini

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La verità è che lo stupro non trova posto nella giustizia maschile, e forse non lo troverà mai. La sentenza della Manada di Pamplona è solo l’ultimo esempio e l’ultima dimostrazione. Nove anni per abuso sessuale e nessuna condanna per violenza sessuale per i cinque uomini – fra cui un guardia civil e un militare – che durante la festa di San Fermin hanno portato una diciottenne in un androne, le hanno tolto il cellulare, il reggiseno, le hanno abbassato i pantaloni e l’hanno tenuta per i capelli mentre a turno la penetravano analmente e vaginalmente, oltre a farsi praticare sesso orale, filmandola per tutto il tempo.

Eppure uno dei giudici, lo stesso che avrebbe voluto assolvere i cinque uomini, nelle immagini video portate come prova non vede traccia di disgusto, schifo, ripugnanza, disagio o paura, da parte della ragazza. Era sesso, sostiene. Si sente perfino qualche gemito, insomma, la ragazza ha gli occhi chiusi, non parla, è completamente passiva. Dov’è la violenza?

Dov’è la violenza? È questo il problema. È proprio qui, in una giustizia maschile che identifica la violenza con i pugni, gli schiaffi, le ossa rotte, le urla. Quella è violenza, la violenza degli uomini, di certi uomini, l’unica che sanno riconoscere. La violenza del silenzio, della passività, dello shock, della sopraffazione, la violenza della paura e delle emozioni non ha un nome, non ha un posto nella giustizia maschile.

Se hai diciotto anni e ti circondano in cinque e hai paura e sei sotto shock e l’unica cosa che riesci a fare è chiudere gli occhi e non fare niente di niente, non dire niente di niente, mentre ti violano in tutti i modi possibili, mentre si incalzano a fare a turno, mentre ti muovono come una marionetta e tu non hai detto di sì ma non hai detto neanche di no, perché non hai detto niente di niente, hai solo tenuto gli occhi chiusi per tutto il tempo, sperando che finisse in fretta, e con un po’ di fortuna forse una parte di te non era lì, era altrove, dove nessuno poteva arrivare, dove non potevano violarti del tutto, dove non potevano prenderti per i capelli e mettertelo in bocca e nel culo, in cinque, a turno, se per tutto il tempo non ti sei opposta, se non hai gridato, se non hai reagito, allora non hai subito violenza. Lo dice la legge. Lo dice questa sentenza.

Se non ti hanno presa a schiaffi, non è violenza. Se non sei ferita, non è violenza. Se non hai detto di no, non è violenza. Per gli uomini, per i giudici, non è violenza. Ma chi si è eccitato a tue spese, durante e dopo, magari perfino guardando quel video, nel fondo lo sa che è stata proprio quella violenza a eccitarlo. E non c’è sentenza che possa assolverlo.

La verità è che non c’è spazio per lo stupro nella giustizia maschile, non in una società in cui lo stupro è segno di virilità, in cui fa capolino in battute di dubbio gusto senza che nessuno si scandalizzi, le stesse battute dei cinque del Branco, che prima della festa annunciavano agli amici di voler violentare tutto quello che vedevano, e giù risate. Non c’è giustizia possibile in una società in cui lo stupro continua comunque a dare meno fastidio di una donna che denuncia, e che ha il coraggio di farlo senza neanche un osso rotto e senza aver gridato No davanti al telefonino che la filmava o aver fatto almeno una smorfia di dolore, quelle che il giudice ha cercato sul suo viso senza trovarle.

Se vuoi essere creduta, qualcosa devi darci in cambio, vogliamo un pezzo di te. Della tua dignità, del tuo dolore, della tua paura. Dacci qualcosa che possiamo soppesare, con cui misurare quanto hai sofferto, quanto hai pagato. Dacci un po’ del tuo sangue, una smorfia di dolore, un braccio rotto, un urlo lacerante. Dacci un po’ di quella carne e di quel corpo che vuoi tenerti tutto per te. Perché la giustizia per le donne non è mica gratis, ha un prezzo, e si paga con una moneta maschile.